29/03/2016
Chiara Scuvera
Ferrari, Rubinato, Lavagno, Cani, Coccia, Giuliani, Tartaglione, Gribaudo, Piccione, D'Ottavio, Becattini, Iori,Casati, Carocci, Di Salvo, Carra, Gasparini, Albini, Sbrollini, Cominelli, Bratti, Cova, Murer, Bossa, Barbanti, Argentin, Paola Bragantini, Beni, Berlinghieri
2-01321

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che: 
la regione Lombardia non ha contemplato il reparto di ostetricia dell'ospedale civile di Vigevano con riferimento alla deroga richiesta per i punti nascita con meno di 500 parti l'anno, che potrebbero essere chiusi in base all'accordo tra Governo, regioni ed enti locali del 16 dicembre 2010 contenente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita» e al conseguente decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, con cui si individuano e definiscono gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera; 
con la delibera del 29 febbraio 2016 – n. X/4851 della regione Lombardia, infatti, è stata richiesta la deroga alla chiusura per tutti i punti nascita rientranti nella suddetta fattispecie, salvo che per quello di Vigevano; 
l'ostetricia dell'ospedale di Vigevano, oltre ad essere poco sotto la soglia dei 500 parti (427 nel 2015), vanta strutture idonee ad offrire la massima sicurezza alla partoriente e al nascituro, come la rianimazione e la pediatria 24 ore su 24, standard di sicurezza che nessun altro presidio a Vigevano assicura; 
la questione, ad avviso degli interpellanti, non può non coinvolgere il profilo dei livelli essenziali di assistenza riguardo alle prestazioni di ostetricia e neonatologia nell'intero comprensorio, che presenta oltretutto importanti criticità legate alle infrastrutture viarie e difficoltà di collegamento con gli altri centri lombardi –: 
se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda, nei limiti delle sue competenze e nel rispetto di quelle regionali, verificare se siano garantiti i livelli essenziali di assistenza nell'ambito territoriale interessato, alla luce della prospettata chiusura del punto nascita di Vigevano. 
 

Seduta del 1 aprile 2016

Illustra e replica Chiara Scuvera, risponde Vito De Filippo, Sottosegretario di Stato per la salute

Illustrazione

Sì, grazie Presidente, grazie al sottosegretario per la risposta che vorrà dare a questa nostra interpellanza. Noi, infatti, esprimiamo una forte preoccupazione, cioè se nel comprensorio di Vigevano, nell'ambito territoriale interessato, alla luce dell'eventualità della chiusura del punto nascita, siano effettivamente assicurati i livelli essenziali, anche in considerazione del fatto che ci sono forti criticità legate alle infrastrutture viarie e difficoltà di collegamento con gli altri centri lombardi. 
Questa preoccupazione è originata dal fatto che regione Lombardia non ha contemplato il punto nascita di Vigevano tra quelli che potrebbero essere passibili di deroga alla luce dell'accordo del Governo, delle regioni e degli enti locali. Il punto nascita è al di sotto dei 500 parti l'anno di pochissimo, cioè fa 427 parti nel 2015. La preoccupazione nasce dal fatto – quindi non è un'interpellanza meramente localistica – che il punto nascita di Vigevano è l'unico per cui regione Lombardia non abbia avanzato questa richiesta di deroga. 
E quindi chiediamo al Governo se effettivamente vi sia un rischio di garanzia dei livelli essenziali e di salute delle donne, visto che l'ostetricia di Vigevano è dotata anche di un reparto di rianimazione, cosa che, invece, non hanno altri centri sul territorio.

Risposta del ministro 

Sottosegretario di Stato per la salute. La riorganizzazione dei punti nascita scaturisce, come sa bene l'onorevole Scuvera, dall'accordo del 16 dicembre 2010 tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sul documento che portava il titolo «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione» – obiettivo nazionale rilevante – «del taglio cesareo». 
Quell'accordo impegnava tutte le regioni, comprese quelle in piano di rientro dal deficit sanitario, ad attuare dieci linee di azione per la ridefinizione del percorso nascita, al fine di implementare misure fondamentali per garantire i livelli accettabili di qualità e di sicurezza, sia per la madre che per il nascituro. Gli eventi di cronaca quotidiana, ovviamente, costringono e impongono vieppiù, mi sentirei di dire, il sistema sanitario nazionale ad andare in questa direzione. Di particolare importanza è, in tal senso, la definizione del volume minimo di parti, che, secondo la letteratura scientifica e anche le statistiche che sono abbastanza note e le esperienze in materia, è fondamentale per configurare le condizioni organizzative di competenza e di expertise necessarie per la sicurezza del percorso nascita, nonché la realizzazione di un sistema di trasporto di emergenza specificamente rivolto alla madre e al neonato; e in genere, statisticamente, in quei punti nascita con minori parti, incidono più negativamente dati di nati morti o di eventi sicuramente negativi. 
Il successivo DM n. 70 del 2015, che ha citato l'onorevole Scuvera, recante «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi, relativi all'assistenza ospedaliera», per quando attiene al percorso nascita, sancisce che, relativamente alla classificazione delle strutture ospedaliere, i presidi ospedalieri di primo livello, con bacino di utenza compreso tra 150 mila e 300 mila abitanti, sono strutture sedi di Dipartimento di emergenza e di accettazione, cosiddette DEA di primo livello, dotate delle seguenti specificità di ostetricia e di ginecologia, se previste per numero di parti annui; relativamente ai volumi di attività e ai volumi ed esiti di maternità, si applicano, dice quel decreto, le soglie di volume di attività di cui all'accordo Stato-regioni, che ho già citato, quello del 16 dicembre 2010. 
Ne consegue che, nella riorganizzazione della rete ospedaliera, definita anche dal DM n. 70 del 2015, le strutture ospedaliere classificate come presidi ospedalieri di base non potrebbero mantenere l'attività di punti nascita nemmeno in deroga. Nelle strutture classificate come primo livello, potranno essere previsti, invece, i punti nascita di primo livello, solo se i volumi di attività rientrano in quelli definiti dall'accordo del 16 dicembre 2010, che voglio ricordare: quell'accordo raccomandava di fissare il numero di almeno 1000 nascite all'anno quale parametro standard a cui tendere per il mantenimento e l'attivazione di punti nascita; le regioni devono procedere a pianificare la riorganizzazione dei punti nascita sulla base di questo parametro, provvedendo, pure in tempi differiti e congrui alle necessità organizzative, a chiudere o accorpare strutturalmente i punti nascita con volumi compresi tra i 500 e 1000 parti all'anno. 
La possibilità di mantenere in attività punti nascita con un volume di attività inferiore a 500 parti all'anno, pur se non espressamente previsto dall'accordo stesso, che indica la possibilità di deroga solo per punti nascita con numerosità non al di sotto del volume minimo, comunque fissato, di 500 parti all'anno, è stata tuttavia accordata per venire incontro a specifiche esigenze legate ad effettive e dimostrabili difficoltà orografiche in alcuni territori. 
In questo senso, il decreto ministeriale a firma del Ministro Lorenzin dell'11 novembre 2015, ha previsto la possibilità di mantenere in attività punti nascita al di sotto dello standard dei 500 parti all'anno, previo parere del Comitato Percorso Nascita nazionale, ed ha predisposto un protocollo metodologico, che è allegato a quel decreto, a cui le regioni e le province autonome devono attenersi per la eventuale richiesta di deroga, che è sempre di provenienza nelle scelte programmatiche delle regioni. 
In merito all'organizzazione dei punti nascita del comune di Vigevano, la regione Lombardia ha inteso precisare quanto segue. Nel comune di Vigevano sono presenti due punti nascita presso l'azienda socio-sanitaria di Pavia e l'istituto clinico Beato Matteo, nei quali vengono effettuati complessivamente circa 1000 parti all'anno, in grande prevalenza pari all'80 per cento per pazienti residenti negli ambiti territoriali dell'Agenzia di tutela della salute ATS di Pavia. La regione, nel comunicarci questi dati, sottolinea che le richieste di deroga agli standard operativi minimi (almeno 500 parti all'anno) sono sostenibili in caso di un potenziale e progressivo di incremento negli anni futuri del numero dei parti, ovvero laddove sussistono, secondo quella regione, oggettive difficoltà negli spostamenti dal domicilio delle pazienti ai punti nascita. A questo riguardo, una recente deliberazione della giunta regionale ha individuato la possibilità di richiedere in deroga, solo nel caso delle zone orografiche più disagiate e comunque caratterizzate da un solo punto di offerta. Questa condizione, secondo la regione, non sarebbe presente nella città di Vigevano, dotata di due punti nascita distanti poche centinaia di metri. Peraltro, le autorità sanitarie della regione Lombardia, insieme all'Agenzia di tutela della salute di Pavia ed in collaborazione con l'Agenzia socio-sanitaria di Pavia e con l'Istituto clinico «Beato Matteo», stanno valutando un progetto che comporti l'unificazione presso la struttura pubblica delleéquipe e degli spazi per il ricovero e il parto, in quanto tale istituto è stato individuato complessivamente più idoneo a fare fronte in modo appropriato agli standard della domanda della città di Vigevano e del territorio circostante della Lomellina. 
La regione segnala che l'aumento dei servizi e della qualità della sicurezza previsto dal progetto in fase di valutazione, inoltre, comporterà potenzialmente un ulteriore incremento della casistica per l'aumento dell'attrattività dei territori circostanti. 
In conclusione, anche il DM di novembre, che dà questa possibilità, affida, comunque, la proposta sull'articolazione dei punti nascita sicuramente alle regioni.

Replica

Sì, Presidente, sono soddisfatta per la completezza della risposta del Governo, un po'meno soddisfatta – io capisco che non sia una diretta competenza del Governo – per l'atteggiamento di regione Lombardia. Noi sappiamo bene, infatti, che c’è un punto di nascita gestito dal privato sullo stesso territorio che non assicura le stesse condizioni di sicurezza per le donne e per i nascituri, che, invece, assicura la struttura pubblica. Quindi, io credo che la regione Lombardia dovrebbe uscire dall'ambiguità e sostenere questo progetto, che, invece, è avanzato dalle autorità sanitarie locali, di unificare nella struttura pubblica tutta l'attività dei punti nascita, perché è quella che garantisce la sicurezza e la salute delle donne e dei nascituri, e di differenziare l'offerta rispetto al privato accreditato. Io non demonizzo assolutamente il privato, ma ritengo che ci debba essere una equilibrata sussidiarietà e che non si debba, sostanzialmente, sempre puntare sul privato accreditato piuttosto che sul pubblico, come, purtroppo, avviene spesso in regione Lombardia.