09/07/2014
Eleonora Cimbro
Laforgia, Malpezzi, Fitzgerald Nissoli, Iori, Marzano, Chaouki, Villecco Calipari, Capone, Porta, Di Lello, Tidei, Casati, Scotto, Locatelli, Civati, Cominelli, Matarrelli, Piras, Beni, Martella, Fossati, Gnecchi, Gianni Farina, Carra, Pollastrini, Ginefra, Amoddio, Coppola, Cenni, Carella, Amendola, Simoni, Prina, Scuvera, Peluffo, Di Gioia, Pastorelli.
2-00621

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   dal 18 ottobre 2013 la città di Milano ha registrato il transito di oltre 10.000 cittadini provenienti dalla Siria, prevalentemente famiglie con bambini (questi ultimi costituenti il 30 per cento circa del totale). Ogni giorno, alla stazione centrale transitano mediamente oltre un centinaio di persone, con punte quotidiane di anche 555 migranti, come nella sola giornata del 3 luglio 2014; in generale, si registra un costante aumento, che ha portato negli ultimi giorni ad ospitare più di 1000 persone al giorno;
   si tratta di un flusso di solo passaggio; Milano è essenzialmente un luogo di transito per la Germania e il Nord Europa. Quasi nessuna delle persone ha deciso di rimanere nel capoluogo lombardo e di chiedere il riconoscimento della protezione internazionale a cui avrebbero diritto; solo lo 0,15 per cento richiede l'asilo; 
   si è creata nel nostro Paese una sorta di canale umanitario informale: all'approdo, dalla Libia, sulle coste siciliane e pugliesi, i migranti non vengono identificati, né richiedono lo status di rifugiato;
   parallelamente, Milano ha nelle ultime settimane registrato un analogo flusso di cittadini eritrei, prevalentemente ragazzi, che a pochi giorni dal loro arrivo ripartono per i Paesi del Nord;
   in questi otto mesi, Milano ha garantito ai migranti, grazie a una convenzione con la prefettura e al contributo degli enti del terzo settore e dell'associazionismo cittadino, accoglienza e ospitalità presso strutture dell'amministrazione e degli enti stessi; è comunque palese che queste soluzioni siano grandemente inadeguate a fronte della gravità eccezionalità del caso; 
   è necessario provvedere all'identificazione di luoghi per ovviare alle esigenze di accoglienza e smistamento. Purtroppo, Governo e regione, ai quali si devono aggiungere gli enti che gestiscono la stazione centrale, hanno in questi mesi dato scarsa prova di ascolto e disponibilità;
   in generale, è a partire da un'ottica nazionale che tale emergenza umanitaria dovrebbe essere considerata, e in una cornice di coerenza con gli strumenti già esistenti, a cominciare dal sistema Sprar; 
   sono due le azioni normative possibili per dare protezione giuridica ai profughi siriani e dunque permettere loro il regolare transito: l'attuazione dell'articolo 20 del Testo unico sull'immigrazione, attraverso il quale il Governo può concedere protezione umanitaria temporanea ai profughi siriani, tramite decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri; e l'applicazione della direttiva europea sulla protezione temporanea degli sfollati (2001/55/CE), la quale concede un permesso temporaneo da uno ai due anni per gruppi di persone in fuga da conflitti o violazioni dei diritti umani nei loro Paesi; quest'ultima azione normativa non è finora mai stata applicata –:
   quali iniziative normative, in sede nazionale ed europea, il Governo intenda promuovere per risolvere questa grave questione nazionale, al contempo affidando alla città di Milano i necessari ed indispensabili strumenti per ovviare all'emergenza umanitaria.

Seduta del 18 luglio 2014

Illustra e replica Laura Cimbro, risponde Domenico Manzione, Sottosegretario di Stato per l'interno

Illustrazione: Signor Presidente, in premessa so che ieri c’è stato un incontro, convocato dal Ministero dell'interno, al «tavolo Milano», dove si è già aperta un'interlocuzione proficua tra il Governo e il comune di Milano, per rispondere all'emergenza profughi.Nello specifico, però, io intendo fare un breve excursus di tutto quello che è successo, in realtà, da agosto dell'anno scorso, per poi capire, anche dalla risposta che verrà data dal sottosegretario, come intendiamo procedere insieme. 

Dallo scorso 18 ottobre la città di Milano ha registrato il transito di circa 14 mila cittadini provenienti dalla Siria, di cui il 30 per cento costituito da bambini. Il comune di Milano ha garantito a tutti loro, grazie a una convenzione con la prefettura e il contributo essenziale degli enti del terzo settore e delle associazioni di volontariato, accoglienza e ospitalità presso strutture dell'amministrazione degli enti stessi. 
Ogni giorno alla Stazione Centrale di Milano sono transitate mediamente 400 persone, con un costante aumento che, negli ultimi giorni, ci ha portato ad ospitare più di mille persone al giorno. Si è trattato prevalentemente di un flusso di solo passaggio: pressoché nessuna delle persone arrivate a Milano ha deciso di rimanere nel capoluogo lombardo e chiedere il riconoscimento della protezione internazionale, alla quale certamente avrebbero diritto, date le condizioni in cui versa il Paese da cui stanno scappando. Del resto, tale richiesta non è stata formulata neppure presso i luoghi di approdo, in particolare le coste della Sicilia o della Puglia, ove, per legge, avrebbero invece dovuto essere identificati e ove avrebbero dovuto chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato. In altre parole, quel che è stato ricostruito, anche sulla base di una interlocuzione diretta con i profughi, è che nessuno mai chiede a loro nulla di tutto ciò. Nel giro di pochissimi giorni dal loro arrivo in Italia, invece, queste persone sono ripartite verso altre destinazioni in Europa, specialmente verso Paesi del nord, ove intendono richiedere la protezione internazionale.
Si è nei fatti creato, lungo il nostro Paese, un canale umanitario informale, alimentato sovente dalla criminalità organizzata, che nell'immobilismo delle istituzioni nazionali agisce da oggettivo strumento di supporto per i cittadini siriani in transito. Ciò è potuto accadere per l'assenza di scelte da parte del Governo e oggi a Milano registriamo che all'ormai consolidato flusso di profughi dalla Siria si sta affiancando e saldando il flusso di migranti provenienti da altre regioni del mondo, in particolare dal Nord Africa. 
Ormai da settimane registriamo un flusso, in fase di costante incremento, di cittadini provenienti dall'Eritrea, che, allo stesso modo dei cittadini siriani, transitano per Milano, da dove, in pochi giorni, partono verso il Nord Europa, ritenendo di trovare in quei Paesi migliori strumenti di integrazione e inclusione sociale. Si tratta di un fenomeno del tutto nuovo e allarmante, che, in assenza di interventi chiari da parte del Governo, è destinato ad aumentare. 
Milano, per le sue caratteristiche di area metropolitana per i molti servizi che offre, rappresenta, in questo nuovo scenario di canale umanitario di fatto, ma non in diritto, una tappa quasi naturale. In questi giorni abbiamo addirittura visto arrivare pullman pieni di persone sbarcate nelle coste del Sud, inviate direttamente a Milano da comuni e prefetture, senza alcun preavviso e abbandonate al loro destino. 
Milano non può essere spettatrice di una tale tragedia e non sapere in che direzione indirizzare il proprio impegno e le proprie competenze. L'assenza di scelte fino a poco tempo fa – e oggi siamo qui proprio per chiedere conto al Governo di quanto è stato fatto da parte del Governo centrale – non consente alle città (quindi non solo Milano), che meritoriamente stanno organizzando l'accoglienza sui propri territori, di essere parte di un sistema di governo nazionale, ma al contrario le lascia sole di fronte a un fenomeno di dimensioni internazionali. 
Le scelte, però, diversamente dal passato debbono essere adottate in una cornice di coerenza con gli strumenti già esistenti, a cominciare dal sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), che deve essere il punto di riferimento anche in situazioni di emergenza. È dal sistema nazionale, dunque, che si deve partire per consentire ai territori di ospitare le persone presso centri di accoglienza che non siano avulsi dai sistemi di riconoscimento del diritto d'asilo, ma che, al contrario, di esso siano la premessa e consentano alle persone di transitare legittimamente all'interno dell'area Schengen. Le città hanno dimostrato negli anni competenze e capacità di gestione che dovrebbero essere usate, per l'appunto, in ottica di programmazione e non quale soluzione silenziosa, come invece accade da troppi mesi. 
Inoltre, per la realtà di Milano, è indispensabile provvedere all'identificazione di luoghi che permettano di gestire in modo più adeguato il meccanismo di organizzazione dell'accoglienza e dello smistamento. A questo riguardo, credo che nella risposta del sottosegretario si farà menzione dell'identificazione del CIE appena ristrutturato, appunto, nella città di Milano, che servirà come primo centro di accoglienza. 
Il Governo, inoltre, potrebbe attivare, attraverso l'iniziativa europea, alcuni strumenti: in particolare, ci sono due azioni normative che si possono portare avanti per dare protezione giuridica ai profughi siriani e, dunque, per permettere loro di transitare regolarmente. E questo è il secondo intervento che noi chiediamo con forza al Governo di attivare. Al di là dell'emergenza, che può consentire e favorire una programmazione concertata con il comune di Milano per rispondere in una prima fase alla situazione emergenziale, ci deve poi essere anche un'interlocuzione proficua con le istituzioni a livello europeo, proprio per dare delle risposte di più lunga durata. 
In particolare, il Governo può concedere protezione temporanea per motivi umanitari ai profughi siriani, in modo immediato, tramite decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. È la stessa norma applicata dal Governo Berlusconi nel 2011 per i tunisini durante l'emergenza in Nord Africa, quando c’è stato il problema della «primavera araba». L'articolo 20 del Testo unico sull'immigrazione (il decreto legislativo n. 286 del 1998), infatti, permette di concedere, per un limitato periodo di tempo, un permesso di soggiorno temporaneo a gruppi di persone che vengono da Paesi terzi in cui sono in corso conflitti, violenze o violazioni dei diritti umani. La consegna avviene presso le questure con procedura d'urgenza. Il permesso concesso nel 2011 durava sei mesi, rinnovabile e consentiva tre mesi di libera circolazione nei Paesi dell'area Schengen. Il decreto ministeriale deve indicare il Paese d'origine dei cittadini a cui si applica il permesso e il periodo di tempo, da quando a quando, è possibile applicarlo. È possibile, infatti, applicare il permesso anche ai cittadini arrivati prima del giorno di emanazione del decreto, ma non prima della data di inizio indicata dal decreto. Il permesso regolarizza le persone sul territorio italiano e, in teoria, permette di uscire dall'Italia in modo regolare. Il permesso per motivi umanitari consente di svolgere, inoltre, attività lavorativa, consente l'accesso al Servizio sanitario nazionale e l'accesso ai centri di accoglienza dei comuni e alle misure di assistenza sociale previsti per le persone titolari di protezione internazionale, nonché l'accesso alla formazione; non consente il ricongiungimento familiare. È un provvedimento nazionale, per cui l'Unione europea non può impedire all'Italia di farlo. Quello che può succedere è che altri Stati membri neghino l'accesso alle persone titolari del permesso: questo è successo, appunto, con la Francia subito dopo che il Governo italiano aveva applicato l'articolo. La posizione giuridica della Francia poteva, in molti casi, essere corretta: il permesso permette la circolazione, ma nel quadro della normativa Schengen. Tuttavia, l'applicazione dell'articolo 20 appare, comunque, una buona soluzione temporanea, considerato il peso politico diverso dell'Italia in Europa rispetto a tre anni fa e il fatto di concedere la possibilità di risiedere e transitare regolarmente ai profughi. 
La seconda azione che può essere messa in campo è la direttiva 2001/55/CE. L'applicazione di tale direttiva, infatti, permette di concedere un permesso temporaneo per motivi umanitari della durata di un anno, rinnovabile per al massimo due anni, a un gruppo di persone che arriva in Europa perché in fuga da conflitti o violazioni dei diritti umani nel proprio Paese. Si tratta di un dispositivo eccezionale nel caso di arrivo massiccio nell'Unione europea di stranieri che non possono rientrare nel loro Paese. Se applicato, il permesso vale in tutti gli Stati membri. La Danimarca è l'unico Paese che non partecipa alla direttiva. L'applicazione della direttiva è decisa dal Consiglio europeo, su proposta della Commissione europea, che può avanzare tale richiesta in modo spontaneo oppure su domanda di uno Stato membro. Per applicare la direttiva è, quindi, necessaria una decisione del Consiglio che accerti un afflusso massiccio di sfollati nell'Unione europea e che specifichi i gruppi di persone cui si applicherà la protezione. Come viene specificato dalla stessa Unione europea, la normativa stabilisce una tutela immediata e transitoria di tali persone sfollate e assicura un equilibrio degli sforzi realizzati tra gli Stati membri che ricevono tali persone e subiscono le conseguenze di tale accoglienza.
L'ambito di applicazione è stretto, ma la situazione dei siriani, oggi, si adatta perfettamente. Deve trattarsi di stranieri che hanno dovuto abbandonare il proprio Paese o sono stati evacuati e non possono essere rimpatriati in condizioni stabili e sicure a causa della situazione nel Paese stesso. La definizione, appunto, di «sfollati» contenuta nella direttiva elenca ad esempio le persone fuggite da zone di conflitto armato o di violenza endemica e le persone che siano soggette a rischio grave di violazioni sistematiche o generalizzate dei diritti umani o siano state vittime di siffatte violazioni. 
Di fatto, la direttiva non è mai stata applicata; il Governo italiano aveva fatto domanda alla Commissione nel 2011 per i tunisini, ma in seguito all'applicazione l'articolo 20 e dopo che la Francia aveva chiuso temporaneamente le frontiere, di fatto, non c’è stata poi l'applicazione della direttiva. Tuttavia, la situazione dei siriani è molto diversa da quella dei tunisini: non solo il conflitto in Siria è, a livello di diritto internazionale, più chiaro di quanto accadeva in Tunisia, inoltre, dalla Tunisia arrivavano molti migranti economici, per cui la protezione temporanea non era la misura adatta. 
L'applicazione dell'articolo 20 è più immediata, ma lascia sempre la possibilità agli altri Paesi di fare come la Francia e la Germania nel 2011 che avevano considerato irricevibili i permessi emanati da un altro Stato membro. L'applicazione della direttiva è più difficile da ottenere, ma sposta davvero la responsabilità politica sull'Unione europea e non permette agli Stati di respingere i profughi. Infine, uno dei motivi per cui si pensa che la Commissione non abbia mai voluto applicare la direttiva è perché essa prevede uno stanziamento economico, appunto, dal Fondo europeo per i rifugiati per l'assistenza alle persone che, appunto, hanno diritto alla protezione. Quindi, un elemento di negoziazione con l'Unione europea potrebbe essere, dunque, nel semestre di Presidenza italiana, la proposta di applicare la direttiva senza impegno economico. 
Allora, per concludere, signor sottosegretario – poi nella replica tenterò di rispondere anche sulla base di quello che lei, oggi, ci dirà in Aula – credo che, al di là della questione dell'emergenza che è stata affrontata proficuamente anche nell'incontro che è avvenuto ieri, l'Italia debba essere protagonista e debba porre seriamente la questione a livello di Unione europea.

Risposta del governo

Signora Presidente, onorevole Cimbro, aldilà delle risposte formali, se capisco bene il senso dell'interrogazione, lei chiede di sapere in che modo il Governo abbia affrontato, in generale, la situazione migratoria e che tipo di sforzi intenda fare nei confronti dell'Unione europea con riferimento alla Presidenza del semestre attuale e, infine, in questo contesto, chiede disponibilità al Governo con riferimento alle esigenze di Milano che, obiettivamente, ha avuto un flusso, che ovviamente non è sfuggito, di cittadini provenienti da quell'area che lei richiamava prima e che sono normalmente cittadini, per così dire, in transito. Ci chiede, sostanzialmente, di comprendere la praticabilità dell'applicazione dell'articolo 20 del Testo unico sull'immigrazione e poi, eventualmente, della direttiva europea sulla protezione temporanea degli sfollati. 
Con riferimento alla situazione generale direi che il Governo si è sforzato fortemente di evitare di considerare la situazione come una situazione eccezionale. Tant’è che si è accuratamente evitato di predisporre ogni tipo di decretazione per determinare una situazione di urgenza che avrebbe implicato, di necessità, il superamento di tutte le regole esistenti e si è invece sforzato di andare esattamente nella direzione da lei auspicata, cioè quella di una valorizzazione e di una corresponsabilizzazione di tutte le istituzioni del Paese; obiettivo che ritiene di aver raggiunto attraverso la predisposizione di un accordo tra Stato, regioni ed enti locali che è stato ratificato nella Conferenza unificata, giovedì passato, predisposto anche per allentare una evidente pressione che c’è sulle regioni del sud che oltre a sopportare il maggior flusso migratorio – per esempio la Sicilia sopporta circa il 35 per cento di tutte le presenze sul territorio nazionale – ha anche, evidentemente, problemi collegati con il fatto di essere il front line rispetto agli sbarchi. La stragrande maggioranza dei 75 mila extracomunitari sbarcati in Italia fino ad oggi sono tutti partiti dalle regioni del sud, o meglio, sono partiti da una determinata area geografica dell'Africa per approdare nelle regioni del sud. Quindi, da questo punto di vista è stato predisposto un piano nazionale che non fa alcun riferimento ad una situazione emergenziale, quindi tiene conto del fatto che i numeri sono in crescita in termini obiettivi, tant’è che non prevede una limitazione numerica ma una distribuzione sul territorio secondo determinati criteri che tengono conto ovviamente della situazione geografica, della popolazione, delle condizioni economiche e via discorrendo, e si articola, questo nuovo accordo, in tre fasi, in cui la prima è condizionata dall'individuazione, da parte delle stesse regioni, di veri e propri hub regionali – a questo le regioni si sono impegnate – dove poter prestare una prima attività di soccorso immediato – perché normalmente chi sbarca non è in condizioni psicofisiche idonee, ha bisogno di una serie di supporti fisici e psicologici, oltre che di cure mediche –, quindi di una prima accoglienza e infine dell'immissione nel circuito SPRAR, che lei prima citava. Rispetto a questo sforzo, il Governo, quindi, una volta approcciata la tematica sotto un profilo di ordinarietà, cioè evitando di considerarla come una situazione eccezionale, ha ritenuto che questo impedisse di poter fare ricorso allo strumento che lei citava prima, vale a dire l'articolo 20 del Testo unico per la concessione della protezione umanitaria temporanea ai profughi siriani. Ritiene, invece, che possa essere più utile, durante il semestre europeo, procedere per portare avanti una serie di iniziative di cui in Europa si incomincia a prendere atto e a rendersi conto in maniera sempre più significativa, che sono: il mutuo riconoscimento delle decisioni di asilo, una modifica dell'Accordo di Dublino, l'esame congiunto delle richieste di asilo e il pooling che riguarda le strutture di accoglienza. 
All'interno di queste connotazioni di carattere generale ovviamente si inserisce il discorso di Milano. Sul discorso di Milano io le posso dire che, appunto, c’è tutt'altro che scarsa attenzione da parte del Governo, nei confronti della situazione milanese, e a conferma credo lei sappia che ieri c’è stato un incontro diretto con gli assessori delegati dal sindaco Pisapia, e la situazione attualmente è la seguente, nel senso che c’è lo sforzo per reperire nuove strutture nonostante fino ad ora siano state fatte molte cose. A me risulta che la disponibilità massima dell'accoglienza è stata incrementata di 500 posti, successivamente estesa a 900 e da ultimo, a decorrere dal 15 luglio scorso, è stata portata 1.100 posti, con ulteriore proroga della durata al prossimo 31 dicembre. A tutt'oggi, nell'ambito della convenzione che è stata stipulata fra il comune di Milano, la prefettura e altri enti, sono state accolte circa 14 mila persone in 13 strutture gestite da sette differenti enti. Inoltre, grazie all'apporto del volontariato sono stati reperiti altri 240 posti, che si sono aggiunti a quelli della convenzione. Pertanto, il totale degli stranieri accolti ammonta a oltre 17 mila. Il sistema di accoglienza comprende anche il presidio fisso organizzato dal comune, di intesa con la prefettura, presso la stazione Centrale, principale luogo di transito dei profughi. Il presidio vede coinvolti diversi soggetti pubblici e privati in un'attività di accoglienza e assistenza – ovviamente del tutto encomiabile – che si estende anche agli aspetti medico-sanitari. È una soluzione, siamo perfettamente d'accordo, allo stato insufficiente, tant’è che ci sono trattative in corso per riuscire ad ottenere le disponibilità di altri locali in attesa che il piano nazionale che le citava prima entri completamente a regime. Ovviamente avrà dei tempi di entrata a regime non particolarmente brevi, perché anche all'interno dello SPRAR i posti devono essere ricercati e poi aperti.
Nell'attesa, nelle more dell'entrata a pieno regime del piano, ovviamente sorgeva l'esigenza che lei rappresentava. Questa può essere fronteggiata nell'immediato o attraverso un accordo con le Ferrovie dello Stato, come lei stessa rammentava prima e come noi stiamo cercando di fare; però, anche questo evidentemente richiede una sua tempistica, perché non tutti i locali messi a disposizione dalle Ferrovie dello Stato sono locali immediatamente agibili. Quindi, in perfetta sintonia con l'amministrazione milanese, stiamo seriamente valutando la possibilità di prorogare la riapertura del centro di identificazione, in maniera da poterlo usare per scopi in questo caso del tutto diversi, sia pure in via del tutto provvisoria, cioè nell'attesa che si rendano agibili i locali della stazione di Milano. 
Ovviamente, non sfugge al Governo l'esistenza di un interesse anche criminale sulla vita delle persone che transitano dalla stazione di Milano, e da questo punto di vista siamo costantemente attenti, e c’è stata già in realtà in parte una risposta di polizia giudiziaria nei confronti dei soggetti che sfruttano queste persone; così come siamo perfettamente consapevoli della necessità di procedere alla loro identificazione, anche perché il sistema nazionale programmato intanto consente l'accesso, in quanto le persone siano state identificate, e facciano ovviamente una richiesta di riconoscimento del diritto d'asilo e di protezione internazionale. Da questo punto di vista stiamo studiando il sistema più congruo, visto che molte di queste persone si rifiutano di farsi identificare, e stiamo studiando il sistema più congruo che consenta la minima limitazione dei diritti individuali, raggiungendo ugualmente l'obiettivo che lei ci segnalava come prioritario.

Replica

Signor Presidente, sottosegretario, lei ha dato una risposta puntuale e precisa alla questione emergenziale che Milano, la città di Milano nello specifico, sta affrontando; tra l'altro sono qui in Aula a rappresentare anche i tanti deputati che hanno sottoscritto questa interpellanza, i molti deputati che sono impegnati sul territorio, e ovviamente anche il comune di Milano, specialmente nella figura, nell'espressione degli assessori che si stanno occupando di questa questione. 
Però, credo che sia necessario fare una riflessione più ampia su questo tema: perché ripeto, al di là delle risposte che possiamo dare rispetto al caso specifico e ad un'emergenza che di fatto si è venuta a creare dall'anno scorso (quindi son passati nove mesi da quando è iniziato questo flusso migratorio che approda nella città di Milano), al di là di questa situazione emergenziale, è necessario fare una riflessione più ampia sul tema dell'immigrazione e su come affrontare le sfide del presente e del futuro, anche sfruttando la presidenza del semestre europeo. Questo tema, il tema dell'immigrazione, non può che essere risolto solo attraverso interventi specifici e dettati dall'emergenza, ma è evidente che si debba intervenire su più fronti, in un contesto globale. 
Questo tipo di immigrazione è determinata da tante cause: i cambiamenti climatici, le guerre civili, la carestia e la fame. C’è bisogno di affrontare il tema nella sua globalità: in caso contrario, continueremo a gestirne gli effetti con tutte le difficoltà e i problemi che sono ad esso collegati. Il caso di Milano propone una serie di considerazioni e di interrogativi che sono alla base della stessa interpellanza: queste considerazioni riguardano l'azione dei diversi soggetti istituzionali, innanzitutto il Governo. C’è bisogno di affrontare il tema dell'immigrazione attraverso la predisposizione di un piano nazionale che miri a due obiettivi. Il primo: un utilizzo efficace e migliore delle risorse fornite anche dall'Unione europea – perché ci sono, come lei ha ricordato prima –; secondo: un tavolo nazionale di programmazione degli interventi che dev'essere associato agli enti locali. 
A questo riguardo, pur considerando positivo il tavolo di Milano, bisogna essere consapevoli che ciò è una parziale risposta a fronte di un'emergenza, e non già il frutto di una gestione programmata. In questo quadro, bisogna altresì essere consapevoli che non ce la caviamo lasciando la soluzione alla spontaneità della mobilità migratoria interna. 
Che cosa voglio dire ? Il sotterfugio di non registrare le persone che entrano nella speranza che queste raggiungano altri Paesi è un pensiero di cortissimo respiro – perché di fatto questo sta avvenendo in Italia – oltre che un'aperta contraddizione rispetto all'idea di una gestione programmata e controllata del processo migratorio e questo è un dato di fatto. 
Tra l'altro ciò può aprire – come si può immaginare – anche possibili contenziosi con altri Paesi, come ho avuto modo di ricordare rispetto al caso dei tunisini e alla Francia. 
In secondo luogo, il tema riguarda gli enti locali che, se coinvolti in un quadro di gestione nazionale, possono essere messi nella condizione di gestire preventivamente queste problematiche e di non ritrovarsi nelle condizioni di Milano, così come è stato descritto nell'interpellanza. 
Il terzo soggetto istituzionale è l'Europa. Comprendiamoci: noi oggi abbiamo una straordinaria opportunità di affrontare, con un salto di qualità, il tema dell'immigrazione e della questione relativa alla solidarietà. Ci sono delle opportunità. Quali sono queste opportunità ? La prima è che abbiamo assunto la Presidenza del semestre, che dobbiamo giocare in prima persona a livello europeo. Dico questo perché, oltre alle questioni economiche che stanno giustamente animando il dibattito europeo, anche il tema dell'immigrazione dovrebbe essere centrale, così come è stato più volte ricordato anche dal nostro Presidente del Consiglio. Inoltre, la relazione svolta da Yunker al Parlamento europeo lo scorso martedì, laddove, soffermandosi sul tema dell'immigrazione, ha posto l'esigenza di una nuova politica comune per l'immigrazione e di una nuova solidarietà tra i diversi Stati membri per affrontare questo problema. 
Queste opportunità vanno colte oggi, non domani, ponendo con più forza la necessità di intervenire su alcuni aspetti. Il primo è la revisione del Regolamento di Dublino: per i richiedenti asilo bisogna rendere possibile, oltre alla registrazione, anche la mobilità intraeuropea. Il secondo è la predisposizione di una rinnovata politica di vicinato, soprattutto rivolta verso i Paesi del Mediterraneo, che sia in grado di affrontare contemporaneamente il rafforzamento delle riforme democratiche, la possibilità di sviluppo economico e sociale in quei Paesi anche attraverso le politiche economiche e commerciali bilaterali, insieme alla questione della mobilità intesa in due modi: intesa come immigrazione regolare e intesa anche come immigrazione circolare, cioè la possibilità per tanti giovani di recarsi in Europa per studiare e avere formazione professionale e poi ritornare nei loro rispettivi Paesi per contribuire allo sviluppo economico e sociale. 
Come si può immaginare, il tema dell'immigrazione non è per nulla disgiunto dalla politica estera europea. Se ci troviamo oggi ad affrontare, ad esempio, la questione dei profughi siriani ed eritrei è perché i conflitti nel Corno d'Africa o in Siria non sono stati seriamente affrontati a livello europeo, anche europeo. 
Tra l'altro, non sfugga che, in merito alla Siria ci sono milioni di profughi a ridosso del confine libanese, turco e giordano. Un nuovo protagonismo della politica estera europea sarebbe di buon auspicio per iniziare ad affrontare con la dovuta forza e determinazione tragedie di questa natura. 
Dunque, sottosegretario, è del tutto evidente che affrontare in questo modo la questione migratoria renderebbe possibile anche creare le condizioni perché ci possa essere nel nostro Paese quel salto culturale necessario in assenza del quale tutto si ridurrebbe esclusivamente a problematiche emergenziali o sicuritarie. 
Per tutte queste ragioni, ritengo necessario che la «questione Milano» non sia semplicemente confinata a questione locale, ma assuma la dimensione che merita e che ho cercato di esporre sia nell'illustrazione dell'interpellanza, che in questa replica. 
Mi auguro dunque che il Governo, al di là delle prime e parziali risposte, che pure sono vitali e necessarie in questo momento di emergenza sia in grado di assumere questa linea nell'azione che svolgerà in Italia nel quadro di responsabilità derivanti dalla nostra Presidenza del semestre europeo.