20/03/2015
Marco Miccoli
Roberta Agostini, Albanella, Amoddio, Baruffi, Bonaccorsi, Campana, Capozzolo, Carella, Carloni, Carocci, Carra, Cenni, Coccia, Di Salvo, Fabbri, Ferro, Fiano, Cinzia Maria Fontana, Ghizzoni, Giacobbe, Ginoble, Gnecchi, Guerra, Iacono, Incerti, Lacquaniti, Maestri, Magorno, Manzi, Marroni, Martelli, Marzano, Melilli, Mognato, Montroni, Morani, Pagani, Romanini, Sani, Sgambato, Tidei, Tullo, Verini, Zampa, Zan
2-00905

 I sottoscrittori chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che: 
in data 9 febbraio 2015 il noto quotidiano La Repubblica, in un articolo dal titolo «Da Duce mia Luce all'odio antisemita la marcia su facebook dei 150 mila fascisti», sottolineava l'enorme spazio virtuale dei simboli della storia del fascismo e del nazionalsocialismo: una «rete nera» al limite dell'apologia del fascismo, al confine tra il libero pensiero sancito dalla Costituzione e alcune parole che possono diventare pericolose armi; 
dai fatti di cronaca sembrano emergere forme illecite di comunicazione, riconducibili all'incitamento alla discriminazione di razza e di religione, al negazionismo, all'esaltazione e riproposizione del movimento fascista; 
in Italia, il quadro più significativo in materia può così riassumersi: 
con la legge 13 ottobre 1975, n. 654, detta «Mancino», è stata effettuata la «Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale», già aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, legge secondo la quale «è vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla, violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi», e che prevede pene per chi «partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività» o «per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza»; 
con il decreto legislativo n. 70 del 2003, in capo al fornitore di servizi internet chiamato «prestatore», possono emergere responsabilità limitate (articolo 17): a) ad informare senza indugio l'autorità giudiziaria o quella amministrativa, avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell'informazione; b) a fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l'identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite; 
in base alle sopracitate, norme, e ad ogni altra attualmente in essere, agli obblighi citati non corrisponde, e non può corrispondere, alcuna facoltà decisionale, interpretativa o discriminante del «prestatore». In pratica, alle già scarse possibilità tecniche, derivanti dall'alta frequenza dei casi e grande quantità del «materiale» (testi, video e altro) si aggiunge il fatto che non è giuridicamente ammissibile che questi soggetti (provider e servizi) identifichino o decidano cosa sia reato e cosa non lo sia; 
eventuali altre responsabilità sorgono solo in caso di reato palese come, ad esempio, trasmissione, registrazione o copia di immagini pedopornografiche: reato già contemplato dalla citata legge di conversione; 
il fenomeno internet, per lettera e natura, ha il carattere dell'internazionalità, come lo possono avere gli operatori, identificati ed identificabili come «prestatore» nel citato decreto legislativo; 
nella Costituzione (articolo 11) v’é uno specifico riferimento alla adesione ai trattati internazionali al quale si affianca il diritto «inviolabile» alla riservatezza delle comunicazioni (articolo 15) ed il diritto alla «libertà personale» (articolo 13) anche questo inviolabile, ma ogni eventuale «ispezione o perquisizione» deve essere motivata dall'autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge; 
esiste una norma internazionale specifica e recepibile in materia, il «Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest (STCE n. 189), indirizzato all'identificazione ed incriminazione di atti di «natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di sistemi informatici» e aperto alla firma degli Stati di cui al Trattato STE 185, ovvero alla Convenzione sulla criminalità informatica, già entrata in vigore; 
tale norma: 
a) ha il fine di «fornire risposte giuridiche adeguate» alla propaganda di carattere razzista e xenofoba ed ai reati commessi attraverso sistemi informatici; 
b) definisce come materiale scritto «qualsiasi immagine o qualsiasi altra rappresentazione di idee o teorie, che sostiene, promuove o incita all'odio, alla discriminazione o alla violenza, contro qualsiasi individuo o gruppo di individui, in base a razza, colore, la discendenza o l'origine nazionale o etnica, così come la religione, se usati come pretesto per uno qualsiasi di questi fattori»; 
c) impegna gli Stati sottoscrittori ad adottare «le misure legislative e di altra natura eventualmente necessarie per stabilire reati penali secondo il proprio diritto interno, quando sono commessi intenzionalmente e senza diritto, i seguenti comportamenti: distribuire, o altrimenti rendere disponibile, materiale razzista e xenofobo al pubblico attraverso un sistema informatico» (articolo 3); 
il menzionato protocollo, entrato in vigore nel 2006, è stato firmato il 9 novembre 2011 dal rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio d'Europa (ambasciatore Sergio Busetto) ed ha proprio lo scopo di estendere la portata della convenzione sulla criminalità informatica, rendendo penalmente rilevanti gli atti di propaganda razzista o xenofoba, compiuti mediante il ricorso ai mezzi informatici ed il merito di favorire l'armonizzazione delle legislazioni nazionali e la cooperazione internazionale in materia; 
v’è anche una proposta di risoluzione del Parlamento europeo 2013/2543(RSP) sul potenziamento della lotta al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo, all'antiziganismo, all'omofobia, alla transfobia e a tutte le altre forme di reati di odio e di incitazione all'odio –: 
quali siano le intenzioni e le iniziative in itinere intraprese dal Governo in merito: alla ratifica ed entrata in vigore del protocollo aggiuntivo; ad eventuali ulteriori norme per il coinvolgimento e la vigore del «prestatore», finalizzate ad un efficace contrasto alla diffusione, tramite internet, ed esaltazione di razzismo, xenofobia, antisemitismo e discriminazione religiosa e alle minacce ed offese alla dignità di persone fisiche e giuridiche. 

Seduta del 27 marzo 2015

Illustrazione e replica di Marco Miccoli, risposta del governo di Benedetto Della Vedova, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale. 

Illustrazione

Signor Presidente, Il 9 febbraio 2015, il quotidiano La Repubblica, in un articolo dal titolo «Da Duce mia Luce all'odio antisemita la marcia su facebook dei 150.000 fascisti», sottolineava l'enorme spazio virtuale dei simboli della storia del fascismo e del nazionalsocialismo: una «rete nera» al limite dell'apologia del fascismo, al confine tra il libero pensiero sancito dalla nostra Costituzione e parole che possono diventare pericolose armi. 
  Dai fatti di cronaca sembrano emergere forme illecite di comunicazione, riconducibili all'incitamento alla discriminazione di razza e di religione, al negazionismo, all'esaltazione e alla riproposizione del movimento fascista. 
  In Italia gli ultimi censimenti – uno dei quali contenuto nella ricerca «web nero» di Emanuela Caiani e Lino Parenti (edita dal Mulino nel 2013) – parlano di circa cento principali siti attivi a cui fanno riferimento associazioni, riviste, piccole case editrici, nuclei di skinhead che declinano la loro ideologia in quei territori dove il disagio sociale è più forte. 
  In merito a blogforum, negozi on line – dove è possibile acquistare ogni tipo di feticcio fascista – la quantificazione diventa ardua, ma sappiamo che è in corso un aumento esponenziale: ovviamente tutto molto liquido, con pagine e contenuti che appaiono e scompaiono velocemente. 
  Nel 2002, se ne contavano circa un migliaio: parliamo quindi di un enorme spazio virtuale, in cui i simboli del fascismo e del nazionalsocialismo abbondano e le teorie di intolleranza si propagano attraverso immagini inneggianti al razzismo, al negazionismo, il tutto al fine di incitare all'odio e alla xenofobia. 
  Uno studio condotto da Southern Poverty Law Center – una organizzazione americana che si batte contro i gruppi razzisti che diffondono idee di odio razziale e religioso – ha portato alla luce una realtà a dir poco agghiacciante: monitorando il sitostormfront.com – attivo anche nel nostro Paese e resosi responsabile di insulti minacce a membri delle nostre comunità ebraiche e inoltre conosciuto in tutto il mondo dai fanatici per «la lotta per la sopravvivenza della minoranza bianca» – si è riusciti a collegarlo con decine di omicidi a sfondo razziale o religioso avvenuti negli ultimi anni. 
  La stessa organizzazione ha monitorato anche le conversazioni all'interno di stormfront.com producendo risultati agghiaccianti: tra i frequentatori del sito, che vanta oltre 1.800 visite giornaliere, di cui solo la metà negli Stati Uniti, vi erano Anders Behring Breivik, il terrorista norvegese conosciuto in quanto autore del massacro di Utoya, dove uccise, a sangue freddo, sessantanove giovani ragazzi radunati per un convegno socialdemocratico dopo aver fatto saltare in aria un edificio pubblico provocando altri otto morti. 
  Altro assiduo frequentatore di stormfront.com era Wade Michael Page, autore della strage del 2012 nel Wisconsin dove persero la vita sei persone all'interno di un tempio sikh, oppure Frazier Glenn Cross, assassino di tre membri della comunità ebraica di Kansas City. 
  Al di là dei fatti di cronaca – che pure dimostrano come in alcuni casi l'intolleranza può trasformarsi in efferato delitto – sono le dimensioni degli aderenti a questi gruppi on line a far riflettere: in Italia ad esempio, per il solo «Gruppo fascista per la rinascita d'Italia», uno dei siti più attivi in questo momento, gli aderenti sono 134.000. Questo gruppo è stato l'artefice di insulti al Presidente Mattarella il giorno della sua elezione: la colpa del Capo dello Stato consisteva nell'essersi recato, nel suo primo atto da Presidente, al mausoleo delle Fosse Ardeatine per rendere omaggio ai martiri di quell'eccidio. Venne definito da quel sito, tra i tanti insulti, «un mafioso ebreo». 
  A livello internazionale si è quindi posto il tema del contrasto al fenomeno. 
  Nel 2003 il Consiglio d'Europa ha adottato il Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest sulla lotta alla criminalità informatica, introducendo l'obiettivo del contrasto alle forme di xenofobia, razzismo e negazionismo dei genocidi. 
  L'Italia svolge certo un'azione rilevante di contrasto, ed in merito alla questione si è aperto un ampio dibattito. Le conclusioni tratte parlano della necessità di acquisire nuovi strumenti di contrasto e di repressione e uno di questi potrebbe essere il citato Protocollo addizionale, firmato ma non ancora ratificato dal nostro Paese. 
  Fermiamoci solo un momento a riassumere il quadro normativo in materia. Partiamo dalla «legge Scelba», per poi proseguire alla «legge Mancino», la legge n. 654 del 1975, con la quale veniva effettuata la «Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale». Secondo quest'ultima, «è vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi», e prevede pene per chi «partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività» o «per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza». Con il decreto legislativo n. 70 del 2003, in capo al fornitore di servizi Internet, chiamato «prestatore», vediamo emergere alcune responsabilità, seppure limitate, come quella di «informare senza indugio l'autorità giudiziaria o quella amministrativa, avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell'informazione»; inoltre, «di fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l'identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite». 
  A parte i citati obblighi, non corrisponde alcuna facoltà decisionale, interpretativa o discriminante del prestatore. Eventuali altre responsabilità emergono solo in caso di reato palese come, ad esempio, la trasmissione, la registrazione o la copia di immagini pedopornografiche, reato già incluso nella Convenzione di Budapest. In ogni caso, dobbiamo evidenziare che Internet ha il carattere dell'internazionalità, come lo possono avere gli operatori identificati e identificabili come prestatori nel citato decreto legislativo. 
  Nella nostra Carta costituzionale, all'articolo 11, c’è uno specifico riferimento all'adesione ai trattati internazionali, al quale si affianca il diritto, inviolabile, alla riservatezza delle comunicazioni ed il diritto alla libertà personale, anche questo inviolabile, ma che ogni eventuale ispezione o perquisizione deve essere motivata dall'autorità giudiziaria, nei casi o nei modi previsti dalla legge. 
  Oggi la questione da affrontare è la seguente: fino a che punto la libertà di espressione può essere invocata per tutelare l'incitamento all'odio e alla discriminazione ? Il punto è il grado di pericolosità delle parole e delle immagini che vengono diffuse. Quel confine è spesso ampiamente superato e i comportamenti adottati prefigurano l'apologia di fascismo, un reato previsto dal nostro ordinamento. Quali sono, dunque, i criteri di valutazione ? Perché non si interviene in automatico per cancellare quei contenuti ? Quali sono i limiti della libertà di espressione ? 
  In merito a ciò, sempre La Repubblica e sempre in quell'inchiesta ha chiesto a Facebook Italia di rispondere a queste domande, chiarendo la propria posizione. Dalla risposta emerge che alle scarse possibilità tecniche, derivanti dall'alta frequenza dei casi e dalla grande quantità di materiale, testi, video ed altro, si aggiunge il fatto che non è giuridicamente ammissibile che questi soggetti, appunto i provider e i servizi, identifichino o decidano loro cosa sia reato e cosa non lo sia. 
  Questi interrogativi trovano, invece, puntuali risposte nel citato Protocollo addizionale della Convenzione di Budapest. Quest'ultimo è stato firmato dall'Italia il 9 novembre 2011 ed ha proprio lo scopo di estendere la portata della Convenzione sulla criminalità informatica, rendendo penalmente rilevanti gli atti di propaganda razzista o xenofoba compiuti mediante il ricorso a mezzi informatici, ed ha il merito di favorire l'armonizzazione delle legislazioni nazionali e la cooperazione internazionale in materia. Esso è indirizzato all'identificazione ed incriminazione di atti di natura razzista e xenofoba commessi a mezzo di sistemi informatici e, quindi, di fornire risposte giuridiche adeguate. Definisce come materiale scritto qualsiasi immagine o qualsiasi altra rappresentazione di idee o di teorie che sostengano, promuovano o incitino all'odio, alla discriminazione o alla violenza contro qualsiasi individuo o gruppo di individui, in base a razza, colore, discendenza o origine nazionale o etnica, così come la religione, se usati come pretesto per uno qualsiasi di questi fattori. Impegna gli Stati sottoscrittori ad adottare le misure legislative e di altra natura eventualmente necessarie per stabilire reati penali, secondo il proprio diritto interno, quando sono commessi intenzionalmente e senza diritto, i seguenti comportamenti: distribuire o altrimenti rendere disponibile materiale razzista e xenofobo al pubblico attraverso un sistema informatico. Oltre al Protocollo, vi è anche una proposta di risoluzione del Parlamento europeo, la n. 2.543 del 2013, sul potenziamento della lotta al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo, all'antiziganismo, all'omofobia, alla transfobia e a tutte le altre forme di reati di odio e di incitazione all'odio. 
  In Europa, rispetto al recepimento del Protocollo nell'ordinamento interno, Francia, Germania e Spagna lo hanno già sottoscritto e ratificato, mentre il Regno Unito al momento non lo ha neanche sottoscritto. Inoltre, mentre la Germania e la Spagna hanno trasposto la Convenzione ed il Protocollo con distinti atti normativi approvati in tempi diversi, la Francia è il solo Paese che ha recepito entrambi gli atti con un unico atto normativo. 
  È per quanto citato fin qui, quindi, che insieme ad un cospicuo numero di deputati del Partito Democratico chiediamo a lei, sottosegretario, e al Governo: quali siano le intenzioni e le iniziative in itinere intraprese dal Governo in merito alla ratifica e all'entrata in vigore del Protocollo aggiuntivo e le eventuali ulteriori norme per il coinvolgimento e la responsabilizzazione del prestatore, finalizzate ad un efficace contrasto alla diffusione, tramite Internet, di esaltazione del razzismo, della xenofobia, dell'antisemitismo e della discriminazione religiosa, minacce ed offese alla dignità di persone fisiche e giuridiche.

Risposta del governo

Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Miccoli per aver attirato l’ attenzione su una tematica alla quale questo Governo attribuisce grande importanza, ovvero la prevenzione e il contrasto di azioni di natura razzista o xenofoba. Proprio oggi è in approvazione – inserito nell'ordine del giorno del Consiglio dei ministri – lo schema di disegno di legge di ratifica del Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest, citato dall'onorevole interpellante. 
  Sappiamo che possiamo contare sulla collaborazione di questo Parlamento, che sarà presto impegnato nell'esame del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Protocollo. Quest'ultimo costituisce indubbiamente un passo in avanti nella lotta contro il razzismo e contro la sua diffusione attraverso l'uso distorto dei mezzi di comunicazione digitale. Infatti, estende la portata della Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica anche ai reati fondati sulla propaganda a sfondo razzista o xenofobo, e prevede che la pena detentiva o amministrativa, già prevista dalla legge in vigore, sia applicata anche a chi – cito – «con qualsiasi mezzo, anche informatico o telematico» propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Questo disegno di legge estende, inoltre, la reclusione da sei mesi a quattro anni a chi distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza, materiale razzista o xenofobo o che nega, o minimizza in modo grave, approva o giustifica i crimini di genocidio o contro l'umanità. 
  Tutto ciò non può che rafforzare anche l'azione della competente Direzione centrale del Ministero dell'interno, che provvede all'analisi dei contenuti degli spazi virtuali riconducibili a forme di discriminazione e che, in caso positivo, riferisce gli esiti all'autorità giudiziaria competente. 
  Vorrei sottolineare come la ratifica del Protocollo addizionale sia un preciso obbligo che l'Italia si è assunta a livello internazionale lo scorso 18 marzo, quando si è concluso presso il Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite il secondo ciclo della revisione periodica universale relativa all'Italia. In sede di adozione del relativo rapporto, l'Italia ha infatti accettato una raccomandazione che esorta a finalizzare la ratifica di questo Accordo. Il forte impegno del Governo contro ogni forma di razzismo e, in particolare, quella informatica si manifesta anche in una convinta opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Come segnalato dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio, si è appena conclusa l'undicesima settimana d'azione contro il razzismo, organizzata dall'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, in collaborazione con l'ANCI e il MIUR. In tale contesto, è stata presentata, tra le altre iniziative, la campagna di sensibilizzazione contro ogni forma di razzismo e xenofobia dal titolo «Accendi la mente, spegni i pregiudizi», a cui il Ministero degli affari esteri ha aderito con entusiasmo, organizzando un convegno nella propria sede, che ha beneficiato anche della testimonianza di un membro di questo Parlamento, nel corso del quale è stato evidenziato come l'esempio della Farnesina possa rappresentare un laboratorio di «convivenza delle differenze» e un modello di integrazione nelle istituzioni. 
  Numerosi sono anche i comuni che hanno aderito all'iniziativa e che hanno realizzato, insieme ad associazioni locali, mondo della scuola e società civile, eventi per sensibilizzare la cittadinanza sui temi della diversità e promuovere la ricchezza derivante da una società multietnica e multirazziale.

Replica 

Signor Presidente, non posso che dichiararmi soddisfatto della risposta del sottosegretario, che ringrazio, anche per l'annuncio dell'approvazione, oggi, in Consiglio dei ministri, del decreto-legge che richiama la ratifica. In Italia vi è da recuperare molto tempo rispetto a questo punto: vi è stata, in periodi passati, una sottovalutazione del fenomeno, che ha prodotto quanto è stato prima descritto nella presentazione dell'interpellanza. 
  Vi è, oltre a questo, da abbinare un lavoro, che ho visto che è stato, però, anche annunciato; un lavoro di sensibilizzazione, soprattutto, io credo, nelle scuole. Molti degli aderenti a questi gruppi che prima ho citato sono giovanissimi, addirittura minorenni. Vi è, quindi, un'operazione da fare nel Paese di collaborazione anche tra i diversi istituti, quindi anche attraverso il mondo della scuola. 
  In più, introduce anche un elemento di collaborazione a livello internazionale dell’intelligence, perché molte di queste organizzazioni non vivono solo in luoghi virtuali, purtroppo, ma vivono anche in luoghi reali, spesso in stabili occupati in tutta Italia oppure nelle curve degli stadi, dove applicano un regolamento scientifico e militare, che produce spesso aggressioni e cose ancora più gravi. Quindi, rispetto a questo, rispetto alla tematica sollevata dall'interpellanza, mi dichiaro del tutto soddisfatto dalla risposta che il Governo ci ha dato oggi.