04/03/2016
Roberto Speranza
Luciano Agostini, Roberta Agostini, Albanella, Amato, Bersani, Bossa, Bruno Bossio, Carloni, Capodicasa, Casellato, Cassano, Cuperlo, D'Incecco, Gianni Farina, Raciti, Ginefra, Giorgis, Lauricella, Gnecchi, Epifani, Iacono, Impegno, Incerti, La Marca, Lattuca, Leva, Patrizia Maestri, Malisani, Marzano, Marco Meloni, Mognato, Montroni, Murer, Pagani, Giorgio Piccolo, Ribaudo, Stumpo, Taranto, Valiante, Ventricelli, Vico, Zappulla, Zoggia
2-01301

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che: 

la perdurante situazione di grave crisi economica e sociale del Mezzogiorno non può non suscitare profonda preoccupazione e sollecitare una significativa inversione di tendenza nell'azione dello Stato; 
in questo quadro si rileva che i tecnicismi connessi con i numerosi decreti ministeriali che determinano le regole per il finanziamento delle università (decreti ministeriali annuali per la determinazione del fondo di finanziamento ordinario, decreto interministeriale per la definizione dei costi standard di formazione degli studenti universitari, decreti ministeriali annuali per la riassegnazione delle risorse per il reclutamento da turnover, oltre ad altri meno significativi inclusi tra i circa 40 decreti attuativi previsti dalla cosiddetta legge Gelmini) stanno sottraendo al Mezzogiorno sempre più risorse; 
da più parti (come segnalato ad esempio dai professori Baccini, Giannola, Fiorentino, Viesti) si stanno delocalizzando ampie fette dei servizi universitari dal Sud verso il Nord e creando le condizioni per una conseguente dismissione di alcune istituzioni universitarie meridionali; 
in particolare, risulta inarrestabile il processo innescato dal meccanismo, interconnesso e consequenziale, che collega il turnover degli atenei alle loro disponibilità economiche, la possibilità di attivare corsi di studio alla disponibilità di docenti strutturati, la possibilità di avere più studenti a quella di avere più corsi di studio e, infine, il finanziamento degli atenei al numero degli studenti iscritti; 
la conseguenza di un siffatto modello non può che essere il collasso degli elementi più deboli del sistema, o meglio di quelli che appaiono più deboli sotto il profilo finanziario e del contesto socio economico di riferimento territoriale, al lordo degli errori e delle omissioni delle procedure di valutazione e di finanziamento (vedi autori citati) operate di recente; 
gli studi citati sembrano dimostrare che si tratta di un indebolimento indotto da scelte ministeriali che richiedono forse, per l'ampiezza del loro impatto sociale, un riesame parlamentare; 
infatti, i tagli economici alle università statali eseguiti tra il 2008 e il 2014 hanno gravato pesantemente sul Mezzogiorno (circa 250 milioni euro/anno tra il 2014 e il 2008) ed in misura irrisoria al Nord (poco più di 25 milioni euro/anno), mentre, già nella precedente fase di crescita dei finanziamenti, al Sud erano state elargite somme aggiuntive nettamente inferiori rispetto al Centro e al Nord (nel confronto tra il 2009 e il 2001, circa 250 milioni euro/anno in più ai primi contro i circa 500 milioni di euro per ciascuno dei secondi); 
il finanziamento delle università meridionali, quindi, è oggi pari a quello dell'anno 2001, mentre al Settentrione, pur nel bel mezzo della ben nota crisi economica nazionale, arrivano, rispetto allo stesso anno, quasi 500 milioni euro/anno in più; 
negli anni della civiltà della conoscenza una porzione molto grande del territorio italiano e delle popolazioni che vi risiedono non ha ricevuto finanziamenti aggiuntivi dedicati alla ricerca e alla formazione nelle università; 
i costi dei servizi offerti sono andati significativamente aumentando e, pertanto, è conseguentemente diminuito il livello di servizio offerto agli studenti delle università del Sud; 
il risultato è un flusso migratorio aggiuntivo, dal Sud verso il Nord, di circa 30.000 studenti universitari all'anno, a servizio dei quali, il meccanismo normativo ideato in sede ministeriale, ha già spostato circa 240 docenti dal Sud al Nord e si accinge a triplicare se non a quadruplicare detto numero nei prossimi anni; 
tra la tante criticità, la preoccupazione più grande è relativa al decreto interministeriale (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero dell'economia e delle finanze) 9 dicembre 2014, n. 893, dal quale dipenderà quasi il 70 per cento del finanziamento statale alle università, che prevede, in attuazione di quanto richiesto dalla legge n. 240 del 2010 (l'articolo 5, comma 4, letteraf), prevede «l'introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'Università»); 
il costo standard, così come definito per decreto, è prevalentemente controllato da fattori di attrattività (numerosità degli iscritti, capacità di saturare le classi di studio, e altro) fattori che, è dimostrato, dipendono significativamente dalla demografia e dal livello di infrastrutturazione dei territori; 
il decreto mette sullo stesso piano, ad esempio, università che operano in regioni a mobilità lenta e ridotta quali la Basilicata, la Calabria o la Sardegna con altre nelle quali l'alta velocità si è andata ad aggiungere ad una rete stradale e ferroviaria già ben più matura; 
lo stesso decreto non considera minimamente gli studenti fuori corso, penalizzando fortemente quei territori nei quali la formazione secondaria produce, in media, come dimostrato dai rapporti OCSE, studenti con competenze inferiori; 
si mortifica così quel ruolo di «ascensore» sociale che solo le università riescono a svolgere; 
per esso sono inoltre state sollevate questioni di illegittimità, ritenute non infondate dal Tar del Lazio in risposta ad un ricorso presentato dall'università di Macerata; 
la stessa università ha rilevato, nello specifico, la violazione dell'articolo 76 della Costituzione; 
elementi di ulteriore criticità sono trasversalmente denunciati con riferimento alla mancanza di un adeguato filtro tra l'azione dell'Anvur e le scelte politiche delegate al Ministero. Così che la valutazione operata dall'Agenzia diventa criterio di finanziamento tout court, con distorsioni varie, delle quali quelle territoriali già richiamate rappresentano il primo campanello d'allarme. Senza considerare che dette valutazioni sono operate tutte con criteri ex post che non garantiscono il ruolo di terzietà che la legge demanda all'Agenzia stessa; 
non risulta, inoltre, che siano in corso iniziative specifiche adeguate per operare un equo riequilibrio dell'utilizzo delle risorse; 
le università rappresentano elementi imprescindibili per il mantenimento e l'attrattività di capitale umano di qualità e quest'ultimo è motore irrinunciabile per la ripresa del Mezzogiorno e, con esso, dell'intero Paese –: 
se non ritengano che l'azione del Governo vada urgentemente allineata ai principi e ai criteri direttivi definiti in ambito parlamentare volti a migliorare la qualità dell'intero sistema universitario e non solo di una parte di esso; 
se non ritengano che il non intervenire tempestivamente per riequilibrare il sistema di finanziamento ordinario delle università aggravi la situazione economica e sociale del Mezzogiorno, in contrasto con i principi che lo stesso Presidente del Consiglio ha più volte richiamato; 
se non ritengano che sia necessario assumere iniziative per sospendere l'attuazione del citato decreto ministeriale n. 893 del 2014 per poter meglio definire i principi direttivi e il periodo con riferimento ai quali il Governo è delegato ad operare; 
se non ritengano che sia necessaria una maggiore attenzione complessiva al ruolo che le università possono e devono svolgere per lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno come componente centrale e ineludibile della strategia per la ripresa complessiva del Paese e, a tal fine, quali iniziative intendano intraprendere in questa direzione. 

Seduta del 1 aprile 2016

Illustra e replica Roberto Speranza, risponde Gabriele Toccafondi, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca

Illustrazione

Presidente, rappresentante del Governo, vorrei molto brevemente portare il senso di questa interpellanza, che ha permesso ad una cinquantina di deputati del Partito Democratico di esprimere una propria preoccupazione. Questa interpellanza va letta dentro il quadro più largo delle iniziative per provare a far ripartire il Mezzogiorno d'Italia, un pezzo del nostro Paese che vive ancora un deficit ed un ritardo non sostenibili; e riteniamo, ritengo io in modo particolare, ma tutti gli interpellanti, che l'università, la ricerca scientifica, più in generale il campo delle risorse umane, della formazione, possano essere una delle chiavi decisive per far riprendere questo pezzo di Paese: l'università come leva per lo sviluppo e per la crescita del Mezzogiorno e per il recupero di un gapche non è più sostenibile. Devo però prendere atto che recenti importanti ricerche – una pubblicata ultimamente dal professor Mauro Fiorentino, un'altra pubblicata ultimamente dal professor Gianfranco Viesti – segnalano un trend che va esattamente nella direzione opposta: anziché investire sul sistema universitario del Mezzogiorno si ha la sensazione, numeri alla mano, che vi sia in corso un processo da ormai svariati anni che porta a ridurre le risorse al sistema universitario del Mezzogiorno. 
Provo a dare alcuni numeri, perché penso che i numeri siano come pietre e valgano più di mille parole: dal 2008 al 2014 i tagli che ha subito il sistema universitario hanno pesato per 250 milioni di euro l'anno al Sud e per 25 milioni di euro l'anno al Nord. Io sono dell'idea che i tagli all'università sono sempre e comunque sbagliati: noi dobbiamo batterci – questa è la linea storicamente adottata dal centrosinistra, dalla sinistra italiana – per difendere il nostro sistema universitario; però leggere che negli ultimi anni c’è addirittura il pezzo più debole del nostro sistema universitario che paga un prezzo maggiore, ritengo che sia sinceramente non tollerabile. Questo provoca una situazione per la quale i finanziamenti che arrivano alle università meridionali è oggi pari a quelli del 2001: sono passati sostanzialmente quindici anni, e la quantità di soldi è esattamente la stessa; facendo una fotografia, per il sistema universitario del Nord rispetto al 2001 sono in dotazione 500 milioni in più: probabilmente anche questi 500 milioni non sono sufficienti, ma la fotografia che io mi permetto di riportare come monito ad un'azione del nostro Governo è esattamente quella di uno spostamento di risorse che va in direzione inversa rispetto alle necessità di un territorio come quello del Mezzogiorno.
Questo non è indifferente anche sul piano degli spostamenti dei nostri studenti: anzi, provoca spostamenti ingenti. Anche qui ci sono dei numeri che vengono portati da queste ricerche, che mi auguro possano essere valorizzate dal nostro Governo anche per un'azione costruttiva: ogni anno questo spostamento di risorse porta al fatto che ci siano 30 mila studenti aggiuntivi che si trasferiscono da Sud a Nord, e circa 250 docenti universitari; ma 30 mila ragazzi del Mezzogiorno sulla base di queste difficoltà tutti gli anni si trasferiscono in più, in maniera aggiuntiva verso il Nord del Paese. 
Sulla base di queste valutazioni, e con uno spirito che è assolutamente costruttivo – cioè di chi vede la fotografia di uno stato delle cose, che non credo sia accettabile e non credo sia negli intenti di nessuno dei legislatori e nessuna delle maggioranze di Governo che ci sono succedute in questi anni – con questa interpellanza vogliamo chiedere al nostro Governo nazionale che provvedimenti si intendano assumere.

Risposta del ministro

Presidente, onorevoli colleghi, il criterio del costo standard unitario di formazione per studente in corso cui collegare l'attribuzione di una percentuale del FFO, del Fondo per il finanziamento ordinario, non assegnata a fini premiali è stato introdotto dalla legge n. 240 del 2010. L'articolo 8 del relativo decreto legislativo n. 49 del 2012 invece ha definito il costo standard per studente come il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale del corso di studio, determinato tenendo conto della tipologia del corso di studi, delle dimensioni dell'ateneo, dei differenti contesti economici, territoriali, infrastrutturali in cui opera l'università; il tutto determinato con decreto interministeriale MIUR-MEF, e sentita l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca Anvur. In attuazione della sopra indicata normativa il costo standard di formazione per studente in corso è stato determinato con decreto interministeriale n. 893 del 9 dicembre 2014, e applicato gradualmente nella ripartizione della quota base del FFO a decorrere dall'anno 2014. 
È opportuno ricordare che il Fondo per il finanziamento ordinario attribuito alle università si distingue in due principali parti: la quota base, circa l'80 per cento del totale, percentuale destinata a ridursi negli anni futuri fino ad un minimo del 70 per cento; e la quota premiale, circa il 20 per cento che crescerà fino ad un massimo del 30 per cento del totale. La cosiddetta quota base, fino all'introduzione del costo standard, veniva ripartita tra gli atenei integralmente secondo il principio della spesa storica; tale principio, notoriamente affetto da problemi di inefficienza della spesa, è stato parzialmente contenuto con l'introduzione appunto del cosiddetto costo standard. In particolare per il 2014 è stato ripartito sulla base dei costi standard il 20 per cento della quota base, il restante 80 per cento ancora in base alla spesa storica; mentre per il 2015 tale percentuale è stata elevata al 25 per cento, il restante 75 per cento ancora in base alla spesa storica. 
Alla luce di quanto sopra descritto, fatto 100 il Fondo di finanziamento ordinario del sistema (FFO), nel 2015 il suo riparto ha seguito per il 60 per cento il criterio della spesa storica, per il 20 per cento il criterio del costo standard per studente in corso, e per il 20 per cento il criterio della quota premiale. Prima dell'introduzione del costo standard, confrontando il rapporto tra quota base del FFO per studente in corso di atenei simili per grandezza e per caratteristiche dell'offerta formativa, si era rilevata una elevata variabilità dovuta a molteplici fattori intercorsi nel tempo, che hanno portato anche a disequilibri del sistema di finanziamento. In relazione a quanto disposto dall'articolo 8 del succitato decreto legislativo n. 49 del 2012, proprio al fine di tener conto dei differenti contesti economici e territoriali in cui operano gli atenei, il decreto interministeriale n. 893 del 2014 ha previsto, in aggiunta al costo standard, un importo di natura perequativa identico per tutte le università aventi sede nella medesima regione, parametrato alla diversa capacità contributiva per studente della regione ove ha sede l'ateneo, sulla base del reddito familiare medio rilevato dall'Istat. Le università aventi sede nelle regioni del Mezzogiorno, che sono caratterizzate da un reddito familiare medio più basso ricevono pertanto, a parità delle altre condizioni, un contributo per studente più elevato delle università ubicate nel centro, le quali a loro volta ricevono un contributo mediamente più alto di quelle collocate al Nord. Per ogni studente che è in corso, in una determinata tipologia di offerta formativa, quindi, lo Stato assegna alle università un importo diverso in relazione al contesto territoriale di riferimento, anche al fine di compensare eventuali minori capacità contributive delle diverse regioni. Si tratta pertanto di un meccanismo di allocazione delle risorse che si può definire come virtuoso e oggettivo, che il sistema universitario ha adottato in anticipo nel comparto della pubblica amministrazione, proprio al fine di invertire gradualmente il criterio della cosiddetta spesa storica. A conferma di quanto sopra, si osserva che dei 23 atenei statali del Mezzogiorno, ben 14, quindi oltre il 60 per cento, sono addirittura beneficiati dagli effetti dell'applicazione del criterio del costo standard, mentre le università del centro-nord che ne traggono un beneficio sono diciotto su trentaquattro, quindi il 53 per cento. Le università del Mezzogiorno che beneficiano degli effetti di applicazione del costo standard rappresentano il 52 per cento degli studenti iscritti nel Mezzogiorno, mentre quelle del centro-nord ne rappresentano il 49 per cento degli iscritti. Pertanto, ove in ipotesi si pervenisse all'abrogazione del costo standard e si tornasse al precedente criterio basato sul trasferimento storico, non si avrebbero apprezzabili miglioramenti a vantaggio delle università del Mezzogiorno. La finalità del costo standard infatti è quella di fornire al sistema universitario un valore di riferimento che consenta agli studenti di poter disporre di un adeguato livello di servizi in termini di docenza e di servizi amministrativi, didattici, strumentali, riconducibili a criteri di efficienza nell'impiego delle risorse in tutte le aree del Paese. 
Quanto al fatto che il costo standard non tenga conto degli studenti fuori corso, si tratta di esplicita previsione dettata dalla legge n. 240 del 2010, in particolar modo dall'articolo 5, comma 4, lettera f), mentre va ricordato che la norma tiene anche conto della presenza della categoria degli studenti impegnati in attività lavorative e iscritti in regime di part-time in relazione alla durata dei loro studi. L'attuale meccanismo definisce un ammontare di risorse da erogare alle università, per ogni studente iscritto, per la durata regolare degli studi, proporzionale ai crediti formativi che l'ateneo è tenuto ad erogare, che non cambia in funzione del tempo impiegato dallo studente per laurearsi. 
Se quindi il costo standard fosse riconosciuto anche per gli studenti fuori corso, si avrebbe il paradosso che l'ateneo riceverebbe una quantità superiore di risorse pubbliche per lo stesso ammontare di didattica erogata, senza contare il maggiore importo che tali studenti versano all'università in tasse universitarie. A tale proposito non si può inoltre non evidenziare che uno dei problemi strutturali del nostro Paese è rappresentato anche dall'eccessivo ritardo nei tempi medi di laurea, che non sarebbe corretto incentivare anche dal punto di vista finanziario. 
Così chiarita la valenza del costo standard, è evidente che la diminuzione di finanziamenti verificatisi per alcune ma non tutte le università del Mezzogiorno, non è riconducibile all'incidenza del medesimo sulla quota base dell'FFO. Tale diminuzione è piuttosto conseguente all'applicazione di un criterio di assegnazione delle risorse che si è dimostrato ben più selettivo, ovvero quello della quota premiale dell'FFO che, nell'anno 2015, ha costituito circa il 20 per cento delle risorse statali, a fronte del solo 7 per cento del 2009. Nell'ottica di quanto evidenziato dagli onorevoli interpellanti, il MIUR continua a lavorare per fare in modo che, fermi restando criteri obiettivi di finanziamento, si individuino misure che riescano nel contempo a sostenere le università che nel sistema appaiono più deboli.
In tale ottica, eventuali interventi saranno programmati sempre nella direzione di migliorare i passi fatti nel corso degli ultimi anni, che hanno spinto gli atenei verso un miglioramento dei risultati e dell'efficienza.

Replica

Io penso che dobbiamo provare ad utilizzare i mesi che abbiamo di fronte in un dialogo positivo tra Parlamento e Governo per arrivare ad un aggiustamento di alcuni di questi decreti ministeriali. In modo particolare, il decreto n. 893 del 2014, per come è stato definito e anche per come è stato presentato oggi in quest'Aula, rischia di favorire un ulteriore allargamento di quel gap tra gli atenei del sud e gli atenei del nord; è chiaro che ci sono eccezioni, è chiaro che ci sono atenei del nord che hanno pagato un prezzo e atenei del sud che hanno beneficiato negli ultimi anni, ma i numeri macro del sistema universitario meridionale sono questi, con l'utilizzo di questi criteri che in qualche modo sono stati portati avanti negli ultimi anni, anche attorno ad un'idea di valutazione dell'università che, per certi versi, è senz'altro condivisibile, ma, se poi ha come esito concreto quella della riduzione delle risorse che arrivano a quegli atenei, io mi sento di dire che c’è oggettivamente qualcosa che non va. 
Ora io chiederei al Governo di utilizzare questi studi emersi negli ultimi mesi: si tratta di professori universitari di altissimo livello, si tratta di personalità che hanno messo le loro competenze a disposizione, prima del sistema universitario, e poi anche della società più in generale del nostro Paese. Io ritengo che il Governo debba provare, attraverso l'approfondimento ed il confronto con queste persone, a costruire ipotesi modificative di quei decreti, che molto spesso hanno un peso decisivo sulla vita delle università. E questo io penso sia un tema enorme, sia anche un tema, se vogliamo, di tipo democratico, perché sono scelte che si fanno con decreti interministeriali spesso senza un confronto parlamentare compiuto. L'interpellanza di oggi aveva questo senso e la mia opinione è che si possano utilizzare le prossime giornate – voglio ricordare per esempio che ci sarà un confronto tra il Ministero della pubblica istruzione e alcuni di questi ricercatori già nella giornata di lunedì – che possono aiutarci a far fare un salto in avanti, perché – lo ribadisco – senza una qualità e senza una forza e una capacità di costruzione di una proposta formativa all'altezza del sistema universitario nel Mezzogiorno, sarà impossibile recuperare quel gap di sviluppo, che è ancora molto forte e molto presente e che è uno dei limiti per lo sviluppo del nostro intero Paese.