08/02/2017
Paolo Cova
Malpezzi, Senaldi, Crimì, De Menech, Zanin, Paola Bragantini, Carnevali, Casati, Romanini, Brandolin, Becattini, Bergonzi, Borghi, Fragomeli, Lenzi, Coppola, Preziosi, Bazoli, Lacquaniti, Manzi, Capozzolo, Crivellari, Richetti, Paola Boldrini, Taranto, Moscatt, Tinagli, Dallai, Cardinale, La Marca, Miotto, Zan, Rossi, Mauri, Gasparini
2-01648

 I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che: 
«l’European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption» (ESVAC), nella sua ultima relazione sul consumo di farmaci veterinari, indica l'Italia come terzo Paese europeo per consumo di farmaci veterinari in Europa; 
nella relazione annuale al Pni (Piano nazionale integrato) 2015 vengono indicate tutte le attività svolte per verificare la tracciabilità del farmaco veterinario e l'uso corretto negli animali da reddito e da compagnia; 
la relazione indica un livello minimo di controlli/annuo diversificato a secondo delle strutture interessate per verificare la tracciabilità del farmaco prima di arrivare all'utilizzatore finale e questa relazione indica in: attività commercio ingrosso una ispezione/annua, farmacie e parafarmacie controlli/annui pari al 33 per cento, ditte produttrici di medicinali veterinari e attività di vendita al dettaglio e all'ingrosso una ispezione/annua; 
inoltre, la relazione indica un livello minimo di controlli/annuo pari al 33 per cento per gli allevamenti di animali da reddito senza detenzione di scorte, mentre deve essere fatto un controllo/annuo per gli allevamenti zootecnici di animali da reddito con scorta di farmaci veterinari; 
nella tabella 1 della «Relazione annuale al PNI 2015» appare evidente come gli allevamenti «con scorte» risultino in percentuale tra lo 0,5 per cento e il 5 per cento degli allevamenti italiani effettivamente presenti sul territorio con controlli quasi sempre al di sopra dell'80 per cento degli allevamenti/anno. Mentre gli allevamenti «senza scorte», che risultano il 95-98 per cento degli allevamenti, vengono controllati solo nel 5-20 per cento dei casi. Questo dato indica che i controlli sulla corretta tracciabilità del farmaco veterinario e sull'uso corretto dei farmaci veterinari risultano estremamente deficitari, in quanto vanno ad interessare un numero ridottissimo di allevamenti e di animali da reddito; 
dalla relazione annuale al Pni non vengono identificati i criteri di scelta degli allevamenti di animali da reddito senza scorte che vengono controllati annualmente, in quanto è previsto solo il 33 per cento annuo di ispezioni in questi allevamenti. Questo fatto potrebbe portare ad andare a verificare annualmente sempre le stesse aziende zootecniche, lasciando sfuggire la tracciabilità dei farmaci veterinari negli altri allevamenti; 
la relazione annuale al Pni indica che il mancato raggiungimento del numero minimo di controlli dipende «da carenze croniche di personale veterinario ed amministrativo e da difficoltà di riorganizzazione territoriale». In Italia risultano assunti circa 6.500 medici veterinari pubblici dipendenti e altri circa 1.500 medici veterinari assunti come convenzionati dalle regioni con un patrimonio zootecnico composto da circa 5.800.000 capi bovini, 400.000 capi bufalini, 8.600.000 capi suini, 6.700.000 capi ovini. In Francia, con una popolazione identica a quella italiana, risultano assunti circa 900 medici veterinari pubblici dipendenti, con un patrimonio zootecnico composto da circa 19 milioni di capi bovini, 13 milioni capi suini, 7 milioni di capi ovini. In Germania con una popolazione di circa 83 milioni di persone si hanno circa 1.200 veterinari pubblici dipendenti assunti dai singoli Lander che vigilano su un patrimonio zootecnico di 12,6 milioni di capi bovini, 28 milioni di suini e circa 1,6 milioni di capi ovini; 
nella seduta del 24 gennaio 2017 la Camera dei deputati ha approvato una mozione sul tema dell'antibiotico resistenza. Fra gli indirizzi approvati, c’è l'impegno a garantire maggiore tracciabilità e controllo dei farmaci veterinari nelle aziende zootecniche di animali da reddito –: 
se il Ministro interpellato non ritenga che la tracciabilità del farmaco veterinario negli allevamenti di animali da reddito «senza scorte» sia troppo bassa, visto che i dati indicano che si arrivi a verificare solo 25.832 (21 per cento) allevamenti bovini su 122.557 senza scorte e 4.990 (7 per cento allevamenti di capi suini su 67.972, mentre sono stati controllati 5.564 (89 per cento) allevamenti bovini con scorte su 6.269 e 1.024 (85 per cento) allevamenti di suini con scorte su 1.206, e che a queste verifiche sfuggono il numero maggiore di aziende zootecniche e il maggior numero di capi; 
se tutti gli allevamenti senza detenzione di scorte siano stati controllati almeno una volta ogni tre anni (secondo l'obbiettivo minimo previsto) e se le aziende senza detenzione di scorte controllate rappresentino almeno il 40 per cento degli animali da reddito a seconda delle specie ogni anno; 
se il Ministro interpellato, anche alla luce di questi dati, non ritenga sia necessaria una migliore organizzazione dei servizi di farmaco-vigilanza e farmaco-sorveglianza veterinaria, vista la diversa consistenza del numero di veterinari pubblici dipendenti assunti in Italia rispetto a quello di altri Stati. 

Seduta del 24 febbraio 2017

Illustra e replica Paolo Cova, risponde  Antonio Gentile, Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico

Illustrazione

Grazie, signora Presidente. Grazie sottosegretario, la presente interpellanza urgente sottoscritta da altri colleghi prende origine dal fatto che un mese fa l'Aula della Camera ha approvato una mozione con degli impegni per quanto riguarda il tema dell'antibiotico-resistenza che si è sviluppato in questi anni soprattutto a livello umano. Tra i vari impegni che sono stati sottolineati nelle mozioni da tutti i colleghi e illustrati a suo tempo era compreso proprio quello dell'attenzione al tema dell'uso degli antibiotici e dei farmaci a livello del mondo animale e degli allevamenti zootecnici, di animali che finiscono per essere animali da reddito per il consumo umano. In questi anni è stato già fatto molto negli allevamenti zootecnici. In particolare penso ai decreti legislativi n. 118 e n. 119 del 1992 che sono intervenuti arrivando a normare in modo chiaro e netto qual era il sistema della tracciabilità del farmaco veterinario nelle aziende zootecniche e soprattutto hanno previsto la richiesta di un intervento con delle ricette. Si tratta di una normativa che è stata un po’ farraginosa ed è stata anche modificata negli anni ed ha una sua complessità tuttavia queste due decreti legislativi hanno cominciato a porre paletti e hanno cominciato a sistemare e a cercare di regolare la tracciabilità del farmaco negli allevamenti zootecnici. Dobbiamo dire che in questi anni anche ultimamente gli allevatori sono oggetto continuo di attenzione da parte dei media e da parte dei consumatori per la preoccupazione per la loro salute proprio perché si teme un uso e un abuso dei farmaci. Devo dire che l'introduzione di queste norme ha migliorato enormemente la situazione: infatti, c’è un uso più responsabile del farmaco sugli animali.
  Tuttavia questo non esime dal dire che l'Italia resta comunque il terzo Paese per consumo di farmaci veterinari sugli animali da reddito. L'Agenzia europea di sorveglianza del consumo degli antimicrobici veterinari dichiara ancora che l'Italia è al terzo posto per consumo in Europa. Questo è ancora un grosso problema per cui è un tema da affrontare per i nostri consumatori considerato che soprattutto stiamo trattando di una delle eccellenze italiane: l'Italia ha puntato in tutti questi anni su prodotti di qualità; si è distinta a livello mondiale soprattutto per i suoi prodotti di grande qualità, le sue DOP, le IGP, la sua tipicità e soprattutto anche per avere prodotti che sono espressione della propria biodiversità. Per questo in Italia si è investito molto sui controlli rispetto ad altre nazioni europee, è stato costituito un sistema veterinario pubblico completamente diverso, con una struttura completamente diversa da quello che è avvenuto a livello europeo. Questo è anche un'eccellenza: permette di avere un maggiore controllo e garantire una maggiore sicurezza per il consumatore italiano. A fronte di questo dobbiamo dire che, come abbiamo anche sottolineato nell'interpellanza urgente, in Italia ci sono circa 6.500 veterinari pubblici rispetto ai 900 in Francia o ai 1.200 veterinari dipendenti in Germania. In Italia ci sono 6.500 veterinari pubblici, più 1.500 veterinari assunti dalle regioni, quasi come i 1.200 veterinari tedeschi assunti nei Lander. Pertanto abbiamo un numero consistente di medici veterinari con un patrimonio zootecnico che a volte risulta simile a quello delle altri nazioni – citavo la Francia e la Germania – o addirittura in alcuni casi la metà. Per cui possiamo dire che abbiamo un patrimonio di medici veterinari pubblici dipendenti consistenti che può intervenire direttamente su questo controllo. Eppure, nonostante questo, il Piano nazionale integrato del 2015 segnala che non sono stati raggiunti gli obiettivi che erano stati prefissati. Siamo ancora lontani da quelli che erano gli obiettivi prefissati. La motivazione riportata dal PNI del 2015 è indicata nelle carenze croniche di personale veterinario ed amministrativo e nelle difficoltà di riorganizzazione territoriale. Partendo da tali considerazioni è importante, a mio avviso, chiedere e verificare quello che sta avvenendo. Quelli segnalati dal PNI sono dati che un po’ stupiscono perché, guardando quello che riporta la tabella, si deve affermare che i controlli avvengono e non avvengono. La normativa che citavo prima, il decreto legislativo n. 119 del 1992, prevede che vi sia la possibilità di tenere le scorte, un armadietto farmaceutico, per cui l'allevatore può detenere in casa farmaci e usarli sotto prescrizione medica quando ce n’è l'occasione, in altri casi senza scorte. Cosa sta avvenendo guardando i dati ? Solo il 5 per cento degli allevamenti di bovini da latte e da carne si è regolarizzato e ha fatto richiesta di detenere le scorte; nel campo dei suini 1.206 allevamenti che corrispondono al 2 per cento degli allevamenti suini. Perché abbiamo fatto questa distinzione ? Perché le aziende che detengono le scorte devono essere soggette al controllo da parte dei medici veterinari almeno una volta all'anno. Tutti gli allevamenti zootecnici che non sono detengono scorte hanno un controllo che è pari al 33 per cento all'anno, perciò non tutti gli allevamenti vengono controllati.
Come balza completamente agli occhi di tutti solamente il 5 per cento degli allevamenti viene controllato il 100 per cento delle volte, il 100 per cento all'anno, mentre quelli senza scorte avviene in modo veramente ridicolo o poco consistente.
  Andando anche a guardare – a volte noi possiamo segnalarla e vederla – anche la consistenza dei capi, perché aziende familiari potrebbero non avere la necessità di detenere le scorte, gli allevamenti bovini che hanno più di 50 capi, e che pertanto sicuramente sono soggetti ad avere una scorta sono 25.000, quelli che hanno fatto richiesta sono solo 6.000, quelli che hanno da 20 a 50 capi sono altri 23.000, per cui su quasi 50.000 aziende potenzialmente soggette a una richiesta di scorte solo 6.000 hanno fatto richiesta. Questo dato poi possiamo riportarlo anche con riguardo ai suini: solamente 1.200 aziende – come accennavo prima – hanno richiesto scorte su 67.000 e le aziende che hanno una consistenza non familiare in Italia sono circa 30.000, per cui si nota un po’ il gap. La mia amarezza, la nostra amarezza – e per questo facevamo anche questa richiesta – è che effettivamente detenere le scorte vuol dire essere sottoposti al controllo, controllo annuale e controllo dei medici veterinari; non avere la detenzione della scorta comporta che ci sono meno controlli e lo vediamo dai dati. Pochissime aziende, come ho segnalato nell'interpellanza, vengono controllate. A fronte di questo, un altro dato che ci riporta il PNI, il Piano nazionale integrato, è il numero delle ricette: 6.000 aziende fanno 93.000 ricette all'anno; delle altre restanti – qui sto parlando sia di bovini che di suini, per cui stiamo parlando di quasi 250.000 aziende – quelle che hanno scorta, che sono 6.000 allevamenti di bovini, più 1.200 di suini fanno 93.000 ricette. Tutte le altre aziende ne fanno 5.000. Questo dimostra che probabilmente non mettersi nella condizione di accettare o di essere sottoposti alle scorte o a una scorta veterinaria comporta meno controlli e meno verifiche. Io credo che su questo debba essere fatto anche un ragionamento. Difatti – e vado a chiudere – chiedevamo giustamente al Ministro risposte su questa situazione. Chiediamo se le aziende che non sono sottoposte alle scorte, senza una scorta farmaceutica, vengono almeno controllate una volta ogni tre anni, perché, se quel numero che nel PNI ci viene indicato in circa il 20 per cento riguarda sempre le stesse aziende, riusciamo a capire come viene a mancare e a cadere il tema della tracciabilità del farmaco e invoglia anche gli allevatori a non detenere le scorte e poi soprattutto se ogni anno viene controllato almeno il 40 per cento degli animali presenti sul nostro territorio. Concludendo, credo che il numero consistente che abbiamo di veterinari rispetto ad altre nazioni – come accennavo in precedenza – può solo far pensare che ci sia l'opportunità e l'occasione di avere un controllo maggiore, cosa che non sta avvenendo, per cui chiediamo anche al Ministro se non sia il caso di pensare a una migliore organizzazione del sistema veterinario pubblico dipendente. Chiediamo una maggiore attenzione soprattutto a quello che è il processo che si sta mettendo in atto del veterinario aziendale, da parte sia del Ministero della salute, sia del Ministero delle politiche agricole che ha istituito il sistema della consulenza. Per cui io credo che i tempi siano maturi per poter intervenire e migliorare questa situazione.

Risposta del governo

Onorevole signora Presidente, onorevole Cova, i controlli ufficiali in materia di distribuzione e impiego dei medicinali veterinari vengono disciplinati – come lei sa – dal decreto legislativo 6 aprile 2016, n. 193 e sono stati oggetto inoltre di specifiche linee-guida adottate nel 2012 per la predisposizione, effettuazione e gestione dei controlli anzidetti.
  Tali linee-guida si prefiggono l'obiettivo di armonizzare sull'intero territorio nazionale la programmazione di piani di sorveglianza di competenza regionale, tenendo conto del numero minimo di controlli richiesti dalla norma e sulla base di indicatori di rischio e di valutazione di congruità d'uso. A tal fine, le linee-guida sono correlate da check-list che permettono di eseguire i controlli ufficiali in base alla valutazione dei rischi e secondo procedure documentate in conformità con il Regolamento CE n. 882/2004. In particolare, per gli allevamenti, sono presi in considerazione i seguenti indicatori di rischio: il management aziendale, la verifica della coerenza per quantità e tipologia dei trattamenti eseguiti e dei medicinali presenti nella scorta alla realtà zootecnica, alla dimensione e alla tipologia dell'allevamento e alla situazione epidemiologica locale, la registrazione dei trattamenti, le segnalazioni di reazioni avverse e di sospetta diminuzione di efficacia, l'uso prudente degli antimicrobici anche attraverso l'acqua di abbeverata dei mangimi, unitamente alle implicazioni di benessere animale legate alla dimensione e alla tipologia dell'allevamento stesso. Ciò permette di classificare ciascuno allevamento in tre classi di rischio: alto, medio e basso. Gli allevamenti autorizzati alla tenuta delle scorte e anche quelli in cui viene dichiarata l'assenza di trattamento sono considerati ad alto rischio e pertanto la frequenza dei controlli è di almeno una volta all'anno. Per quelli invece sprovvisti di scorta le ispezioni avvengono in un congruo tempo (tre anni) sulla base del rischio definito «rischio alto»: almeno un controllo annuo, «rischio medio»: almeno un controllo ogni due anni, «rischio basso»: almeno un controllo ogni tre anni. Pertanto la percentuale di attuazione per dette attività dovrebbe essere del 33 per cento annuo. Tra gli allevamenti a basso rischio, rientrano anche quelli registrati per autoconsumo che, sebbene certamente caratterizzati da elementi di rischio meno rilevanti rispetto alle attività di allevamento per fini commerciali, non possono comunque prescindere da un'accurata e puntuale valutazione da parte delle autorità competenti. Quanto ai controlli, lei faceva riferimento ad 8.000 veterinari che vengono assunti sia dallo Stato, che dalle regioni, le attività di controllo ufficiali sono appunto svolte dai servizi veterinari locali, con la supervisione delle regioni e delle province autonome, del Comando dei Carabinieri per la tutela della salute che opera individualmente e/o in accordo con i servizi veterinari. Ottimizzare le attività di farmaco sorveglianza in un contesto più ampio di controllo delle filiere, principio base del Regolamento CE n. 882/2004 mediante sopralluoghi multidisciplinari, che implicano l'integrazione ed il coordinamento tra i diversi servizi veterinari e/o altre autorità o enti può rappresentare un valido strumento per superare le carenze di organico che le regioni e le province autonome denunciano e segnalano come motivazione alle insufficienze nei livelli minimi di controllo, che comunque negli ultimi anni risultano in crescita rispetto agli anni precedenti.

Replica

Grazie, signora Presidente. Signor sottosegretario, provo a dirlo in modo sommesso e in modo un po’ corretto: credo di sapere che cosa avvenga nelle aziende agricole zootecniche perché faccio il medico veterinario, libero professionista. Nella risposta che lei mi ha appena dato non viene indicato il consumo di farmaco come un rischio; anzi, mi è stato detto che la detenzione delle scorte potrebbe essere un motivo di potenziale rischio. Il problema è che, se io ho 25.000 aziende che hanno più di 50 capi e solo 6.000 hanno le scorte, vuol dire che mi sfuggono la bellezza di 19.000 aziende.
Glielo dico da veterinario: è impossibile che non abbiano una scorta di farmaci in azienda. È impossibile, perché chi lavora in un'azienda zootecnica sa che in quella situazione devi avere presente o un antibiotico o un antinfiammatorio o un antimastitico e la stessa cosa si ripercuote sui suini, succede sui cavalli. Allora, io ho un dato e vedo che su 25.000 aziende, 19.000 che sono potenzialmente... perché se aggiungiamo anche quelle da 20 a 50 capi, il numero diventa enorme, lo ripeto, diventa enorme; allora, vuol dire che io non sto tracciando il farmaco, ho l'idea che non c’è un reale controllo o, per lo meno, il potenziale rischio è proprio dato dal fatto che aziende grosse non hanno fatto richiesta di scorte. E, come ho sottolineato prima, se 6.000 aziende da bovini da latte e da carne e 1.200 allevamenti di suini fanno 93.000 ricette in un anno e tutte le altre 250.000 ne fanno solo 4.000 ho presente che sta sfuggendo qualcosa. Non credo solo a me, credo a tutti. Allora, io credo che debba essere messa una particolare attenzione sui nostri prodotti; è quello che ci interessa, bisogna salvaguardare i prodotti italiani, la propria tipicità e i propri controlli. Per cui, io mi auguro che veramente il Ministero voglia fare un intervento deciso su questo, che possa andare, veramente, a riformare, a riverificare quello che sta avvenendo, perché questa situazione mi sembra che stia sfuggendo e prima che siano scappati i buoi è meglio chiudere il recinto. Glielo dico onestamente, sulla situazione del personale, io credo che ci siano dei dubbi, perché, nel chiedere ancora più personale con ottomila veterinari, quando in altre nazioni raggiungono gli stessi obiettivi con novecento o 1.200 veterinari, c’è probabilmente qualcosa che non funziona. Io credo che sia un problema di riorganizzazione; allora, bisogna, probabilmente, riorganizzare tutto questo sistema e porre le basi per ricostruire una nuova veterinaria pubblica a servizio del controllo e una veterinaria libero professionale che possa dare il suo apporto e il suo sostegno agli allevamenti zootecnici.