15/05/2023
Paolo Ciani
Serracchiani, Di Biase, Gianassi, Zan, Scarpa, Lacarra,
2-00151

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:

si apprende da organi di stampa della diffusione di un appello, sottoscritto da oltre 100 soggetti tra organizzazioni operanti nel settore del carcere e privati cittadini, con il quale si chiede ai direttori degli istituti penitenziari di garantire colloqui, telefonate e videochiamate oltre le previsioni normative ordinarie, questo perché dal 28 febbraio 2023, non essendo state prorogate né messe a regime le «Norme in materia di corrispondenza telefonica delle persone detenute» previste durante l'emergenza legata al COVID-19, pare sia tornata una stretta sulle chiamate all'esterno: non più una telefonata al giorno, ma soli dieci minuti di chiamata a settimana e sei ore di colloquio al mese;

il regime previsto durante l'emergenza legata al COVID-19 sul versante delle conversazioni telefoniche non sostitutive dei colloqui in presenza, previste dall'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 – «Norme in materia di corrispondenza telefonica delle persone detenute» – di cui all'articolo 2-quinquies legge n. 70 del 2020 di conversione del decreto-legge n. 28 del 2020, prevedeva infatti che l'autorizzazione alle telefonate poteva essere concessa, oltre i limiti stabiliti dal comma 2 del medesimo articolo e poteva essere disposta anche una volta al giorno, laddove la corrispondenza telefonica si fosse svolta con figli minori o figli maggiorenni portatori di una disabilità grave oppure con il coniuge, con l'altra parte dell'unione civile, con persona stabilmente convivente o legata all'internato da relazione stabilmente affettiva, con il padre, la madre, il fratello o la sorella del condannato qualora gli stessi fossero ricoverati presso strutture ospedaliere;

a ben vedere anche la disciplina ordinaria, all'articolo 1 legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario, va nel senso di agevolare opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia in osservanza dei principi costituzionali;

ci si riferisce agli articoli 29, 30 e 31 Costituzione, che tutelano la famiglia e i suoi componenti, e all'articolo 8 della CEDU, a mente dei quale «ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare», e dunque riconoscono a ciascun individuo il fondamentale diritto al mantenimento delle relazioni socio-familiari;

è noto, peraltro, che molti detenuti non scontano la pena nel luogo di residenza della propria famiglia e i costi degli spostamenti tra una regione e l'altra sono per molte famiglie insostenibili. Lo stesso potrebbe essere consentito ai detenuti stranieri che non hanno occasione di poter vedere in presenza i propri famigliari che risiedono all'estero;

a conferma di quanto richiesto vi è la considerazione che, nel periodo di deroga al regime ordinario, non si sono verificati problemi legati alla sicurezza, né vi è stato alcun aggravio di spesa per l'amministrazione penitenziaria, perché le telefonate sono rimaste a carico delle persone detenute;

ci si chiede allora per quale motivo si voglia far ripiombare nella solitudine i detenuti e le loro famiglie, dal momento che psichiatri ed esperti assicurano che l'aumento delle opportunità e delle connessioni con il mondo «al di fuori» non solo rende più tollerabile la vita all'interno dell'istituto di detenzione, ma aiuterebbe nel prevenire alcuni dei troppi suicidi che avvengono ancora nelle carceri italiane –:

se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e degli argomenti esposti in premessa e della loro importanza, considerando le già grave situazione presente all'interno delle carceri italiane – basti pensare al sovraffollamento, alla mancanza di personale, agli atti di autolesionismo e ai troppi suicidi;

quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, per conservare la buona prassi che si è sperimentata con esiti più che positivi durante l'emergenza da COVID-19 nel concedere maggiore discrezionalità nell'autorizzazione delle telefonate e delle video chiamate, le quali potrebbero essere considerate dei veri e propri colloqui in presenza e quindi essere di pari durata.

Seduta del 3 ottobre 2023

Illustrazione di Paolo Ciani, riposta del Sottosegretario di Stato per la Giustizia, replica di Paolo Ciani

PAOLO CIANI, La illustro. Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, le norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della legge n. 354 del 26 luglio 1975 recitano al primo comma: “Il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità delle persone”. È per questo che nel maggio scorso abbiamo depositato con alcuni colleghi, che ringrazio, un'interpellanza che ci è sembrata necessaria ai fini di un chiarimento sulla situazione che si viveva e che si vive, ahimè, ancora, nelle carceri italiani, relativamente alle telefonate e alle norme ad esse collegate.

Il carcere, infatti, è un piccolo mondo, una parte di città abitata da cittadini che hanno compiuto dei reati, ma che rimangono sempre persone e cittadini e con loro tutte le persone che si occupano per lavoro di questi luoghi: la Polizia penitenziaria, chi lavora nell'amministrazione penitenziaria, i servizi sociali, il personale medico e infermieristico, i volontari. È tutto un unico mondo ed è sciocco pensare al carcere come a qualcosa di estraneo alla città e alla vita comune. Non per nulla, infatti, il 15 febbraio del 2023, è stato per questo lanciato un appello dal titolo eloquente: “Quelle telefonate che ti riattaccano alla vita”, sottoscritto dalla Conferenza nazionale volontariato giustizia, da Ristretti Orizzonti, dall'associazione Sbarre di zucchero; una lettera aperta ai direttori degli istituti penitenziari, un appello che in pochi giorni ha ottenuto centinaia di firme di singoli e di associazioni, una campagna volta a consentire ai detenuti ristretti nelle carceri italiane di poter continuare ad avere contatti a distanza tramite videochiamate e telefonate con i propri affetti.

Si è resa necessaria questa mobilitazione, perché dal febbraio del 2023, non essendo state prorogate né messe a regime le norme in materia di corrispondenza telefonica delle persone detenute, previste durante l'emergenza legata al COVID-19, di fatto, pare sia tornata una stretta sulle chiamate all'esterno. Attualmente, infatti, in molte carceri si è tornati alla disciplina precedente a quella del COVID-19 e ciò di cui soffre maggiormente la popolazione detenuta sono le limitazioni alle telefonate con i familiari.

Questa criticità si inserisce in un quadro ben più ampio di difficoltà sociali che vivono i detenuti negli istituti penitenziari italiani, enunciate anche dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale nella sua relazione al Parlamento del 2023, presentata nel giugno scorso qui in Parlamento, di cui cito un breve passaggio. Diceva il Garante: “(…) il nostro Paese non sembra però aver risolto molte delle criticità che caratterizzano il suo sistema penitenziario. Ne costituiscono il sintomo manifesto il generale aumento degli eventi critici che rappresentano una sorta di termometro della qualità della vita detentiva negli istituti penitenziari e in particolare di quelli etero o auto diretti, come gli atti suicidari, che negli ultimi anni hanno fatto registrare una tendenza in aumento. Il diffuso degrado strutturale, le precarie condizioni igienico-sanitarie di numerose aree detentive, l'assenza in moltissimi casi di locali per le attività trattamentali, l'insufficienza di spazi, risorse e personale necessari per rispondere ai numerosi bisogni di assistenza sanitaria delle persone detenute, solo per citare alcune delle criticità sottese alla condizione di diffuso malessere, nella maggioranza dei casi non hanno ancora trovato soluzione, risultando, dall'altra parte, ancora presente e oltremodo condizionante il cronico fenomeno del sovraffollamento carcerario”. Fin qui la citazione.

Difatti, recenti rapporti del luglio di quest'anno, mostrano come le persone detenute nelle nostre carceri fossero 57.749, circa 7.000 in più della capienza regolamentare che è di 51.285 posti. Le presenze sono dunque aumentate in un anno di 2.770 unità, con un incremento del 5 per cento. Tutto questo fa sì che il tasso di affollamento ufficiale - sottolineo, ufficiale - sia oggi del 112 per cento, mentre era del 108 un anno fa. Peraltro, come è noto, questo tasso di affollamento deriva da un conteggio in cui vengono inclusi anche posti detentivi in effetti non disponibili, a causa di interventi di manutenzione più o meno brevi. L'esempio più eclatante è forse quello di Arezzo, in cui gran parte dell'istituto è chiusa da almeno 15 anni, ma i cui posti detentivi vengono sempre inclusi nella capienza regolamentare del nostro sistema penitenziario.

Se il dato medio nazionale ufficiale è del 112 per cento - si tratta appunto di un dato medio -, ci sono regioni che registrano valori medi molto più alti, come la Puglia, con il 144 per cento, la Lombardia, con il 135 per cento e valori ancora più alti si registrano in singoli istituti, come a Brescia, il 181 per cento, a Como, il 178 per cento, a Foggia, il 177 per cento.

È una tendenza alla crescita che riguarda i detenuti italiani in misura leggermente maggiore rispetto agli stranieri, essendo i primi aumentati del 5,2, e soprattutto riguarda le donne più degli uomini, essendo il loro numero cresciuto all'8,8.

Allora, in questo contesto così fragile, quelle telefonate possono essere uno spiraglio di speranza. È noto che molti detenuti non scontano la pena nel luogo di residenza della propria famiglia e i costi degli spostamenti tra una regione e l'altra sono per molte famiglie insostenibili, ma l'articolo 28 della summenzionata legge n. 354 del 1975 stabilisce che particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie. Nel maggio scorso, rispondendo a un'interrogazione in Senato, il Ministro Nordio si faceva attento a questa preoccupazione, ma da allora non è successo molto. Mi chiedo come mai a tutt'oggi il Governo non si sia adoperato in una risoluzione normativa adeguata a queste necessità, ma abbia, anzi, creato un'assenza di linee guida che, tra discrezionalità oggettiva e la disomogeneità di risorse da un carcere all'altro, alimentano confusione e smarrimento tra i detenuti e tra coloro che dei detenuti si occupano. È doveroso che sia concessa una possibilità uniforme di accesso anche ai nuovi strumenti di comunicazione.

Conosco abbastanza bene il mondo del carcere. Ho fatto per 15 anni il volontario in carcere e quando ero consigliere regionale ho visitato tutte le carceri della mia regione, mentre da quando sono deputato anche alcuni istituti nel resto del Paese. Bisogna ascoltare gli operatori del carcere, a cominciare dalla Polizia penitenziaria in grande difficoltà e con risorse e uomini e donne ridotti, che chiede più attenzione al sociale e alle misure alternative; bisogna ascoltare i pochi - pochi - direttori degli istituti, sempre alla ricerca di integrazione con il territorio; bisogna ascoltare gli educatori, che chiedono più lavoro, scuola, attività; bisogna ascoltare i volontari, che chiedono più telefonate, e le famiglie, per cui queste telefonate vogliono dire molto.

Ci sono istituti penitenziari che hanno un vecchio centralino e i direttori non possono autorizzare telefonate giornaliere, altrimenti ci sarebbe il collasso. Quindi, per garantire l'affettività in carcere ci vuole una modifica del regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario e un piano di adeguamento attraverso nuove centraline, fibre ottiche e sale adeguate. Sappiamo che alcune direzioni hanno preso decisioni coraggiose e, oltre ogni sforzo, stanno usando la loro discrezionalità per favorire una corrispondenza più frequente tra le persone detenute e i loro familiari. Inoltre, psichiatri ed esperti assicurano che l'aumento delle opportunità e delle connessioni con il mondo fuori non solo renderebbe più tollerabile la vita all'interno dell'istituto di detenzione ma aiuterebbe a prevenire alcuni dei troppi suicidi che avvengono ancora nelle carceri italiane. Per questo mi ha colpito che il Ministro, nei suoi saluti ai 189 istituti penitenziari in quest'ultimo ferragosto, ha di nuovo solo genericamente espresso questo pensiero. Infatti, diceva: “Approfitto di questo saluto per anticipare una mia intenzione di proporre l'ampliamento dei colloqui telefonici per i detenuti nei contatti con i familiari”.

Voglio attenzionare lei, Presidente, il rappresentante del Governo e quest'Aula che nel 2022 negli istituti penitenziari italiani si sono suicidati 84 detenuti - 84 persone - e, mentre si parla di blitz e di nuove norme punitive, in carcere si continua a morire e pochi - troppo pochi - lavorano per farne quello che la nostra Costituzione dice che debba essere. Cito: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. L'intenzione dovrebbe essere sospinta dalla convinzione che dedicare più tempo alle comunicazioni familiari può favorire una maggiore stabilità emotiva e un senso di appartenenza che possono contribuire a prevenire situazioni di disagio e di disperazione, di solitudine e preoccupazione nei confronti di chi è fuori, perché, ricordiamocelo sempre, prima di essere detenuto si è persona, padre, madre, fratello, sorella, figlia o figlio.

Testimonianza di quanto fosse indispensabile questa deroga ci proviene da alcuni racconti raccolti dalla Conferenza nazionale volontariato e giustizia.

Mi hanno colpito le parole di un detenuto: “Poter telefonare ogni giorno a casa aveva aiutato la mia famiglia a ritrovarsi. Ora ritornare da una telefonata al giorno a una telefonata a settimana significa riperdersi. Questo periodo lo ricorderemo, con i miei cari, per esserci persi di nuovo”. A conferma di quanto esposto vi è la considerazione che nel periodo di deroga al regime ordinario non si sono verificati problemi legati alla sicurezza, né vi è stato alcun aggravio di spesa per l'amministrazione, perché le telefonate - ricordiamolo - sono rimaste a carico delle persone detenute. È importante che le deroghe al regolamento per quanto riguarda le telefonate e le videochiamate non siano ormai limitate a quello che è stato il periodo dell'emergenza sanitaria. Diciamo sempre che avremmo dovuto imparare dal periodo del COVID; forse in carcere avevamo imparato che qualcosa poteva funzionare meglio. Non si possono attuare le norme solo nel caso dell'emergenza, ma dobbiamo apprendere da quell'emergenza.

Concludo, pertanto, assicurando la mia e la nostra attenzione a questa situazione, che monitoreremo e continueremo a seguire con attenzione, sperando che siano accolte le nostre istanze.

ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Grazie, Presidente. Con l'atto di sindacato ispettivo in oggetto gli onorevoli interroganti avanzano quesiti in ordine alla possibilità di ripristinare le disposizioni in materia di colloqui telefonici in vigore nel corso della pandemia, sorte per affrontare la pandemia. Orbene, è fatto noto che la disciplina emergenziale, stilata nel contesto pandemico, è stata oggetto di più proroghe sino al 31 dicembre 2022 e prevedeva oggettivi ampliamenti dei colloqui telefonici fra detenuti e familiari. È, però, pur vero che spirata la normativa emergenziale, che era appunto emergenziale perché si affrontava un'emergenza, è comunque in vigore la circolare del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 26 settembre 2022, che ha evidenziato quanto alle videochiamate, equiparate ai colloqui visivi di cui all'articolo 18 dell'ordinamento penitenziario, che queste debbano essere favorite perché evitano trasferte costose per i familiari, perché sono funzionali al mantenimento delle relazioni affettive e familiari e perché agevolano i familiari dei detenuti qualora vi siano insostenibili costi, sia sotto il profilo fisico che sotto il profilo economico, per raggiungere gli istituti penitenziari. Quindi, questa circolare è in vigore dal 26 settembre 2022.

Nella medesima circolare si afferma che le videochiamate, di cui parlavo prima, equiparate ai colloqui visivi di cui all'articolo 18 dell'ordinamento penitenziario, devono essere estese nel regime cosiddetto di media sicurezza anche a coloro che siano detenuti in alta sicurezza e, quindi, vi è un'ulteriore estensione. A ciò si aggiunga che, per quanto concerne, invece, più propriamente l'oggetto delle conversazioni telefoniche, sempre la medesima circolare del 26 settembre 2022 del DAP ha ben fornito delle indicazioni operative a ogni istituto, che valgono, ovviamente, anche per il futuro, stabilendo che in linea di massima le telefonate possono essere autorizzate una volta al giorno ove riguardino, in particolare, figli minori o figli maggiorenni portatori di handicap o di gravi disabilità oppure il coniuge o l'altra parte dell'unione civile o una persona stabilmente convivente o legata da relazione sentimentale stabile con il detenuto o con la detenuta, oltre che padre, madre, fratello e sorella qualora, in particolar modo, essi siano ricoverati presso strutture ospedaliere e, quindi, abbiano difficoltà a recarsi ai cosiddetti colloqui visivi. Da tali indicazioni sono esclusi fatalmente i detenuti o gli internati sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis per fatali e innegabili esigenze di sicurezza.

Pertanto, in attuazione della circolare richiamata, le direzioni degli istituti sono chiamate a collaborare, compatibilmente con le esigenze organizzative delle singole strutture penitenziarie (che peraltro emergono dalla stessa relazione dell'onorevole interrogante) e con le esigenze di sicurezza, accordando autorizzazioni in maniera consapevolmente più ampia possibile, specie in presenza di difficoltà dei visitatori di raggiungere gli istituti in ragione delle distanze dal luogo di residenza o di concorrenti impegni lavorativi familiari o, addirittura, di impedimenti fisici.

Infine, onde assicurare, da parte delle direzioni di tutti gli istituti penitenziari, un'univoca ed omogenea interpretazione ed osservanza della circolare del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), ai provveditori regionali è stato fatto obbligo ed onere di monitorare attentamente la concessione di queste consapevolmente più ampie telefonate, che raggiungono anche la telefonata al giorno senza alcun problema.

Quindi, per quanto riguarda la richieste dall'onorevole interrogante, si conferma che non esiste una previsione normativa che abbia prorogato una normativa, che nasceva come emergenziale, che ha dato degli ottimi frutti sotto il punto di vista del mantenimento dei significativi rapporti fra i detenuti e i familiari, ma che, alla luce anche della disomogeneità territoriale ed in esigenze di organizzazione e sicurezza, può essere meglio rappresentata da una circolare del DAP, che facoltizza e autorizza, anzi sollecita, la possibilità di telefonate sino a una volta al giorno, esattamente come in fase emergenziale, pur senza avere una rigida previsione normativa.

PAOLO CIANI, Grazie, Presidente. Grazie, Sottosegretario. Purtroppo speravamo in qualcosa di più, nel senso che le parole del Ministro in questi mesi, a maggio e ad agosto, e soprattutto l'attualità drammatica delle nostre carceri mi facevano auspicare che questa scelta di venire a rispondere ora ad un'interpellanza di maggio fosse per darci notizie migliori.

Sa, Sottosegretario, sempre per il tramite del Presidente, mi colpisce molto la scelta di lasciare una discrezionalità, perché quando si lascia una discrezionalità ai direttori degli istituti penitenziari, si dà loro una responsabilità, un carico ed un peso molto gravi. Molto gravi! Noi sappiamo già di una grande disomogeneità di realtà degli istituti, abbiamo istituti dove le celle sono per due, con vicende strutturali piuttosto buone, e istituti dove ci sono cinque, sei detenuti nella stessa cella, dove non ci sono aree. Teniamo presente che si tratta una norma nata nell'emergenza, ne siamo consapevoli, ma che nell'emergenza ha mostrato di funzionare, di funzionare bene e di dare risposte corrette. Non dimentichiamoci mai che quella norma nacque anche a seguito di drammatiche rivolte che si sono verificate in carcere all'arrivo del COVID, proprio a seguito della scelta, anche dettata dalla tragedia che stavamo vivendo, di sospendere i colloqui con le famiglie. Ecco, di fronte a una misura che ha funzionato - lei stesso diceva che ha dato ottimi risultati - io non dico che avremmo dovuto prorogare una norma nata nell'emergenza, ma dobbiamo fare una norma nuova, che tragga risultati da quella precedente. Perché? Perché lasciare la discrezionalità comporta disparità. Perché noi sappiamo che già esiste un'oggettiva disparità tra un istituto e l'altro, e pensare che la sorte mi metta in un istituto dove posso quotidianamente colloquiare con la mia famiglia, o in un altro dove non posso colloquiare, nello stesso Stato che ha le stesse norme, è qualcosa di paradossale.

Io credo che le intenzioni mostrate dal Ministro e quelle che lei stesso oggi ha rivolto all'Aula debbano tradursi in qualcosa di più concreto, ossia non possiamo pensare che “compatibilmente” e “possono favorire” siano tutti termini che giuridicamente portano a trattamenti uguali e, quindi, a trattamenti equi.

Credo che abbiamo tutti gli strumenti - perché purtroppo per due anni abbiamo vissuto questa realtà - per tradurre questi intendimenti, che già funzionano in alcuni istituti, in una norma più generale che riguardi tutti gli istituti. Io ho parlato con molti responsabili, qualcuno ha anche detto: sì, qualcuno ha utilizzato male quella norma e noi che abbiamo fatto? Li abbiamo sospesi dai colloqui, come è sempre successo, cioè non ci sono state degenerazioni nell'utilizzo. Molto spesso c'è anche il tema dell'utilizzo del personale: le telefonate spostano il personale e anche la perquisizione dei parenti che vengono in visita spostano il personale; cioè, non c'è un tema di aggravio di risorse economiche di utilizzo del personale nell'utilizzare questo sistema. Abbiamo visto che funziona, migliora la vita dei detenuti e, quindi, degli istituti, delle famiglie e del sistema Italia. Perché non lo traduciamo in una norma stabile? Questo è quello che oggi le richiediamo con chiarezza e questo è quello che credo sia giusto fare, non per salvaguardare qualcuno, ma perché è una norma che ha funzionato e che migliora la vita di tutti.