21/01/2016
Michele Mognato
Venittelli, Zoggia, Martella, Murer, Moretto, Crivellari, De Menech, Casellato, Rubinato, Naccarato, Camani, Miotto, Narduolo, Rostellato, Zan, Zardini, D'Arienzo, Ginato, Rotta, Dal Moro, Sbrollini e Crimì
3-01947

Per sapere – premesso che: 
l'articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1979 e il decreto ministeriale 5 agosto 1994 avevano esteso — per gli anni dal 1995 ad 1997 — alle imprese artigiane e industriali manifatturiere e dei servizi, alberghiere, delle costruzioni e della pesca localizzate entro il perimetro lagunare (Venezia, isole della laguna e centro storico di Chioggia) il campo di applicazione del regime di sgravi contributivi di cui erano già beneficiarie quelle del Mezzogiorno (Sicilia, Calabria, Sardegna, Basilicata, Puglia, Molise e Abruzzi); 
la Commissione europea aveva successivamente aperto una procedura d'infrazione contro lo Stato italiano per non aver notificato la misura d'aiuto ed aveva condannato lo Stato Italiano (decisione n. 2000/394/CE del 25 novembre 1999) a procedere al recupero degli importi concessi alle imprese, in quanto quelle misure non erano state notificate ed erano state comunque giudicate incompatibili con il mercato comune avendo introdotto delle provvidenze assimilabili ad aiuti di Stato e, come tali, astrattamente idonee a falsare la libera concorrenza e ad incidere sugli scambi intracomunitari; 
ne era seguito un contenzioso a diversi livelli che ha visto il suo epilogo nel 2012 ad opera dello Stato italiano intervenuto con la legge di stabilità n. 228 del 2012 che aveva sancito l'inefficacia di tutte le sentenze nel frattempo pronunciate a favore delle imprese e disposto una nuova e specifica attività istruttoria mirata a verificare presso i soggetti beneficiari la concreta idoneità delle agevolazioni contributive a falsare la libera concorrenza e gli scambi comunitari; 
al termine dell'istruttoria ed a seguito di pronuncia del Consiglio di Stato che aveva avvalorato l'operato istruttorio ancorché non svolto «caso per caso», l'Inps aveva ingiunto alle imprese il pagamento della quota capitale riservandosi di richiedere gli interessi dopo una pronuncia della Corte di giustizia del Lussemburgo in un procedimento che risultava pregiudiziale all'applicazione del criterio di calcolo; 
nelle more, con sentenza del 17 settembre 2015 (Commissione c. Italia, C-367/14), la Corte di giustizia aveva condannato l'Italia al pagamento di penalità semestrale di 12 milioni di euro e ad una somma forfettaria di 30 milioni di euro quale sanzione per non aver adottato le misure necessarie a dare esecuzione della sentenza del 6 ottobre 2011 (Commissione c. Italia, C-302/09), concernente il mancato recupero degli aiuti concessi alle imprese nei territori di Venezia e Chioggia recanti sgravi dagli oneri sociali; 
le oltre 160 imprese ancora interessate avevano iniziato a restituire la quota capitale che ammontava complessivamente a circa 30 milioni di euro, ma — a seguito di ciò — alcune di esse avevano cessato l'attività o acceduto a procedure concorsuali; 
la prossima richiesta della quota interessi calcolata secondo il criterio dell'interesse composto (ancorché la procedura di recupero fosse iniziata nel 2002 quando vigeva il criterio di calcolo dell'interesse semplice a tassi che la Commissione aggiornava periodicamente anche tenendo conto dell'effettivo costo del denaro che di volta in volta mutava), genererebbe un ulteriore danno alle attività già provate dalla restituzione della quota capitale, al punto che molte sarebbero costrette alla chiusura; 
la stessa richiesta di un aggio per Equitalia dell'8 per cento quando all'atto della prima richiesta esso era del 4 per cento costituirebbe un ulteriore aggravio; 
le imprese risultano incolpevoli rispetto al danno subito in quanto sono state costrette a restituire in una sola volta quanto era stato ad esse corrisposto nell'arco di un triennio e per reali motivi in quanto il sostegno parziale e temporaneo andava a compensare i maggiori costi di lavorare in un ambiente disagiato rispetto a quelle di terraferma e quindi con l'intento politico di contrastare l'esodo e la monocultura turistica; 
la chiusura di molte imprese — oltre a rendere incerto l'esito del recupero — genererebbe un effetto domino lungo tutta la filiera della fornitura dei beni e servizi creando un danno anche occupazionale, di gran lunga maggiore di quello diretto, e procurando oneri aggiuntivi ai bilanci dell'Istituto di previdenza per i dovuti sostegni di mobilità o di integrazione salariale; 
consentire la restituzione della quota interessi calcolata secondo il criterio dell'interesse semplice al saggio di volta in volta fissato nel periodo interessato ed il pagamento di un aggio ridotto e con modalità compatibili con la sopravvivenza delle attività coglierebbe l'obiettivo di sanare le conseguenze della condanna dello Stato italiano evitando oneri aggiuntivi collegati al decadimento della situazione occupazionale di quel territorio e non incidendo negativamente su di un tessuto economico già fragile; 
per le cooperative della pesca operanti ai sensi della legge n. 250 del 1958 (i cui soci assumono la qualifica di imprenditore ittico), l'impresa cooperativa assolve, tramite versamento cumulativo, l'obbligo contributivo in nome e per conto dei propri associati che risultano solo assicurati ai fini previdenziali ai sensi della legge n. 250 del 1958. Conseguentemente, l'aiuto di Stato è in capo non alla cooperativa ma al singolo imprenditore-pescatore che, in diversi casi, ricadrebbe in regime di «de minimis»; 
rimuovere le condizioni ostative sulla base della giurisprudenza Deggendorf, permetterebbe allo Stato italiano di riconsiderare il sistema di sostegno all'economia lagunare nel rispetto delle normative comunitarie –: 
se il Governo sia al corrente dei fatti sopra esposti e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per evitare le conseguenze paventate.

Seduta del 26 luglio 2016

Risposta del governo di Sandro Gozi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, replica di Michele Mognato

Risposta del governo

Grazie Presidente. Io ringrazio gli onorevoli Rostellato e Mognato. Quello di Venezia e Chioggia è certamente uno dei casi che noi non avremmo voluto ereditare; è uno dei casi che vogliamo che, nel nostro modo nuovo di fare politica europea e anche di gestire il contenzioso sugli aiuti di Stato, non accada in futuro. E del resto anche per questo abbiamo appena siglato con la Commissione, con la commissaria Vestager, un nuovo partenariato per evitare che le imprese debbano essere poi le principali destinatarie di danni che possono derivare da una conduzione non perfettamente efficace del contenzioso sugli aiuti di Stato. È un esempio di ciò che non va fatto e che il Governo italiano non vuole più fare. Sono dei nodi che, come gli interroganti sanno bene, sono venuti al pettine e abbiamo dovuto noi districare. 
Con la pronuncia del 17 settembre 2015, l'Italia è stata condannata in via definitiva per un contenzioso che risale alla fine degli anni Novanta. La Corte di giustizia ha statuito che la Repubblica italiana, non avendo dato esecuzione alla sentenza del 6 ottobre 2011 – io ricordo bene le date perché spiegano bene come sia stato irresponsabilmente trascurato questo tema – e quindi essendo venuta meno, l'Italia, all'obbligo del recupero degli aiuti di Stato concessi alle imprese operanti nei territori di Venezia e Chioggia, è condannata a pagare. Nello specifico, la Corte di giustizia ha condannato l'Italia al pagamento di ingenti sanzioni pecuniarie: 30 milioni di euro a titolo di sanzione forfettaria e 12 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nell'esecuzione della sentenza. Ricordo che la sentenza è del 2011. Ma abbiamo margini, in base allo stesso Trattato di Lisbona, e dobbiamo dare esecuzione alla sentenza. 
Vi ricordo che, in questo caso, non può essere lo Stato a pagare, altrimenti, apriremmo un nuovo caso di aiuti di Stato. Al riguardo, il paragrafo 61 della sentenza chiarisce che per dare esecuzione alla sentenza, lo Stato ha due strade: quella del recupero, per cui l'impresa restituisce l'aiuto, o quello della liquidazione giudiziale dell'impresa, per cui l'impresa viene posta in liquidazione giudiziale, appunto. Ad oggi, sulla base della prima opzione, è in corso l'esecuzione della sentenza. Abbiamo già provveduto – gli interroganti lo sanno bene – al pagamento della forma forfettaria della sentenza di condanna; quindi, resta da completare l'esecuzione del recupero degli aiuti, sia per la parte capitale che per la parte degli interessi. 
Per quanto concerne il recupero della sorta capitale degli aiuti siamo già a buon punto; resta, invece, da definire la questione relativa agli interessi, sui quali io stesso ho più volte parlato con i rappresentanti territoriali delle varie categorie delle imprese interessate. Finora, siamo rimasti fermi sulla questione di interessi per delle ragioni che si stanno rivelando, anche grazie ai lavori del Parlamento, valide, perché vi sono varie opzioni sul tavolo legate ai vari metodi ipotizzabili. Il Consiglio di Stato si è riservato ogni decisione in merito, rinviando ad una successiva udienza, con riferimento alla quale, tuttavia, non è ancora intervenuto il provvedimento di fissazione. 
Nel frattempo, però, il Parlamento ha approvato, in Commissione lavoro alla Camera, in sede legislativa, il provvedimento emendato in materia di modalità di pagamento e criteri di calcolo degli interessi sulle somme dovute per gli aiuti di Stato dichiarati incompatibili con la normativa europea, concessi sotto forma di sgravio, nel triennio 1995-1997, in favore delle imprese operanti nei territori di Venezia e Chioggia, prevedendo che vengano applicati gli interessi semplici. Il provvedimento passerà ora al Senato. 
Il Governo è pienamente d'accordo sul fatto che occorra applicare gli interessi semplici e ritiene che questa interpretazione sia pienamente coerente con la sentenza della Corte giustizia del 3 settembre 2015, come, del resto, in via informale, abbiamo già avuto modo, come Governo italiano, di far sapere alla Commissione europea, con la quale c’è un dialogo e un negoziato continuo, ovviamente, su questo, come sugli altri casi di aiuti di Stato. Dirimente sarà senz'altro la pronuncia del Consiglio di Stato, una volta ottenuta la quale occorrerà procedere celermente al recupero. 
Venendo, poi, ai rilievi presentati dall'interrogazione dell'onorevole Mognato, la questione dell'imputazione dell'aiuto alle cooperative nel loro complesso o, invece, alle singole imprese associate è stata decisa dal Consiglio di Stato, con la sentenza del 16 giugno 2015. Il Consiglio di Stato ha ricostruito il rapporto giuridico tra le società cooperative e le singole imprese associate, nel senso che le cooperative e non le singole imprese associate, secondo il Consiglio di Stato, devono essere considerate come le beneficiarie effettive degli aiuti e, quindi, tale ricostruzione non può comportare l'applicazione dell'esenzione de minimis alle cooperative della pesca. Anche di questo avevamo discusso, sia voi parlamentari che noi e il sottoscritto come membro del Governo, con i rappresentanti della categoria, ma, nel frattempo, è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato. Dal che ne deriva che le autorità italiane sono tenute a recuperare gli aiuti di cui hanno beneficiato le cooperative della pesca. 
Quanto alla richiesta di derogare agli obblighi derivanti dalla giurisprudenza cosiddetta Deggendorf al fine di consentire nuovi interventi pubblici a favore delle imprese lagunari senza incorrere nei limiti imposti dalla normativa UE, non può essere considerata un'ipotesi percorribile, perché ricordo che la stessa Commissione europea, oltre ad aver rispettato pienamente – come non poteva fare altro – il principio Deggendorf elaborato dalla Corte di giustizia nelle norme che regolano la materia degli aiuti di Stato, ha altresì fatto applicazione dello stesso principio su uno dei punti qualificanti del Piano d'azione aiuti di Stato, che è collegato al nuovo Accordo di partenariato per i fondi strutturali del periodo 2014-2020, sottoscritto dal nostro Paese il 29 ottobre 2014, proprio per l'impiego dei fondi strutturali nel nuovo ciclo. Ne consegue che disattendere l'applicazione del principio, in previsione di nuovi interventi a sostegno delle imprese lagunari tenute alla restituzione, determinerebbe una nuova fase contenziosa con riguardo a tali nuovi interventi, che metterebbe a rischio – perché c’è una condizionalità esplicitamente affermata – la possibilità per il nostro Paese di ricorrere alle risorse dei fondi strutturali. Quindi, la via di disattendere il «principio Deggendorf» non è percorribile.

Replica

Grazie, Presidente. Io ringrazio il sottosegretario per la risposta e posso considerarmi soddisfatto. Lei, giustamente, richiamava la necessità di evitare che si ripetano situazioni di questo tipo, perché non si può lavorare così. Quindi, noi dobbiamo in tutti i modi mettere le imprese e chi usufruisce, naturalmente, di finanziamenti di non dover, poi, rincorrere ed essere sottoposti a penalità. 
Il lavoro che lei ha fatto, insieme ad altri componenti del Governo, è stato apprezzato: lo apprezziamo come parlamentari, ma lo ha apprezzato sicuramente anche il mondo delle imprese, perché è evidente che la soluzione su cui si è lavorato in Parlamento, che lei citava, approvata dalla Commissione lavoro in sede legislativa, consente il calcolo interessi semplici e non composti. Questo è un risultato importante, perché evita la possibilità di chiusura di oltre 160 imprese, sia della città di Venezia sia del comune di Chioggia – oggi, entrambi facenti parte della città metropolitana di Venezia –, con le ricadute pesanti che ci sarebbero state dal punto di vista occupazionale. 
Quindi, il calcolo interessi semplici consente a queste imprese di continuare a lavorare. Del resto, le stesse sentenze avevano detto che era possibile, modificando quanto stabilito dalla legge di stabilità 2013, consentire un'applicazione degli interessi su base nazionale: quindi, da questo punto di vista non c'era alcun vincolo. 
Adesso, l'importante è che il Senato calendarizzi al più presto questo provvedimento che è stato approvato e che, quindi, si arrivi – mi auguro subito dopo la pausa estiva – all'approvazione. Questo, come lei diceva, consente non solo – come ricordavo – di continuare l'attività delle imprese, ma consente anche allo Stato di evitare ulteriori penalità, quindi, con ricadute sul bilancio complessivo. Quindi, è un lavoro che dobbiamo fare in queste settimane, un lavoro importante e, naturalmente, nell'ambito delle vostre prerogative, delle sue prerogative, chiedo di dare una mano perché l'iter al Senato si svolga nel più breve tempo possibile. 
Le altre questioni che erano state poste nell'interrogazione riguardavano una valutazione che si faceva per verificare se erano possibili anche altre soluzioni, ma le risposte che lei ha dato, citando sia la sentenza del Consiglio di Stato sia le altre questioni, danno una risposta esaustiva alle questioni che avevo posto. Per questo la ringrazio e, ripeto, mi auguro che l'iter di approvazione al Senato sia il più rapido possibile.