22/04/2015
Laforgia e Gregori
3-01459

Per sapere – premesso che: 
con il Jobs Act, l'uso dei voucher è destinato ad aumentare; 
l'uso dei buoni lavoro è legato al cosiddetto lavoro occasionale accessorio, cioè quello che genera un reddito netto inferiore a 5 mila euro all'anno. Un voucher costa 10 euro e corrisponde al pagamento di un'ora di lavoro: 7,50 euro vanno al lavoratore, 1,30 euro alla gestione separata dell'Inps, 70 centesimi sono destinati all'assicurazione Inail e il resto compensa la gestione del servizio; 
l'intento con cui furono introdotti, nel 2003, era quello di limitare il lavoro nero e riuscire a tassare alcune attività saltuarie come il giardinaggio, l'assistenza domestica, le ripetizioni private e gli altri tipi di impieghi occasionali indicati negli articoli dal 70 al 73 del decreto legislativo n. 276 del 2003. L'intenzione iniziale, però, è stata, snaturata e questi settori rappresentano ormai il minor campo di applicazione per i voucher lavoro. E il Jobs Act prevede proprio l'abrogazione degli articoli dal 70 al 73 del n. 276 del 2003; 
nel riordino dei contratti previsto nel Jobs Act, i buoni subiranno inoltre un'ulteriore liberalizzazione. La bozza del decreto analizzata in Consiglio dei ministri lo scorso 20 febbraio prevede che il limite di guadagno netto annuo per la definizione del lavoro occasionale accessorio passi da 5 mila a 7 mila euro; 
i vincoli sull'uso dei voucher sono infatti minimi: il datore di lavoro può elargire al massimo 2 mila euro in voucher per ogni lavoratore, il lavoratore può guadagnare in voucher non più di 5 mila euro all'anno. Ma il datore di lavoro non ha limiti per quanto riguarda il numero di persone che può pagare con i voucher. Quindi potrebbe anche cambiarne uno al giorno e utilizzarne 300 all'anno; 
secondo i dati dell'Inps, l'Istituto nazionale di previdenza sociale, in totale sono stati venduti 69.183.825 di voucher, il volume economico che producono è pari a circa 70 miliardi di euro. Ad aprile 2012, in circolazione c'erano poco meno di 29 milioni di buoni lavoro, nel 2013 si era arrivati a 43 milioni; 
secondo i rilievi della Uil, i voucher producono 70 milioni di euro di elusione fiscale ogni anno: gli oltre 46 mila lavoratori pagati con i voucher genererebbero un mancato gettito dell'Irpef, l'imposta sul reddito, pari a 57,8 milioni di euro e un mancato gettito dell'Irap, imposta sulle attività produttive, di 12,2 milioni; 
con i buoni lavoro non si hanno diritti, non si matura il trattamento di fine rapporto, non si maturano ferie, non si ha diritto alle indennità di malattia e di maternità, né agli assegni familiari; 
uno dei maggiori problemi dei voucher lavoro è legato ai controlli. L'ispettore del lavoro non può verificare orario d'inizio e fine del lavoro, limitandosi ad appurare che siano stati pagati i contributi. Inoltre, sempre il Jobs Act prevede la nascita di un'agenzia unica ispettiva del lavoro che dovrà occuparsi, con ispettori precari, di sicurezza, infortuni, contribuzione e rispetto delle norme contrattuali –: 
se, alla luce di quanto sopra esposto, il Governo non ritenga necessario restituire allo strumento del voucher le originarie caratteristiche disciplinate dal decreto legislativo n. 276 del 2003, combattendo così il lavoro nero e l'evasione fiscale ed offrendo finalmente un vero rapporto di lavoro, con le necessarie tutele, ai lavoratori precari, uno degli affermati obiettivi principali di questo Governo.

Seduta del 18 ottobre 2016

Risposta del Governo di Franca Biondelli, Sottosegretaria al Lavoro e alle Politiche Sociali, replica di Francesco Laforgia.

Risposta del governo

Grazie, Presidente. Con riferimento all'atto parlamentare degli onorevoli Laforgia e Gregori, concernente l'utilizzo dei buoni lavoro, cosiddetti voucher, per le prestazioni di lavoro accessorio, passo a illustrare quanto segue. 
È opportuno precisare che il lavoro accessorio, introdotto dal decreto legislativo n. 276 del 2003, si sostanzi in una particolare modalità lavorativa, la cui principale finalità è quella di regolamentare quelle prestazioni lavorative definite per l'appunto accessorie, non riconducibili a forme tipiche di contratto di lavoro e svolte in modo saltuario ed occasionale da soggetti considerati nella maggior parte dei casi di difficile occupabilità. Si è inteso in tale modo regolarizzare attività normalmente saltuari e marginali, svolte in nero, nell'intento di assicurare al prestatore di lavoro un minimum di tutele previdenziali e assicurative. Il pagamento della prestazione accessoria avviene unicamente attraverso lo strumento dei buoni lavoro (voucher), non essendo ammesse modalità retributive diverse. 
L'originaria disciplina del lavoro accessorio ha subìto una radicale trasformazione con la legge n. 92 del 2012 (riforma Fornero) e successivamente con il decreto-legge n. 76 del 2013, che hanno eliminato le limitazioni di tipo oggettivo e soggettivo e fatto venir meno la natura occasionale dell'istituto. Conseguentemente tale categoria di lavoro è stata definita dai soli limiti economici dei compensi percepiti dal prestatore di lavoro, a prescindere dalla tipologia di attività svolta, identificandosi dunque con l'insieme delle prestazioni lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità di committenti, a compensi superiore a 5 mila euro nel corso di un anno solare e, con riferimento a ciascun singolo committente, ad un compenso superiore ai 2 mila euro. Obiettivo del legislatore con questi interventi di modifica era certamente quello di estendere il ricorso ad un istituto volto principalmente a favorire l'emersione del lavoro irregolare principalmente tra i soggetti privi di una stabile occupazione o che si trovassero in fase di transizione da un'occupazione ad un'altra. 
La materia è stata successivamente ridisciplinata con il decreto legislativo n. 81 del 2015, emanato in attuazione del Jobs Act, che ha innalzato a 7 mila euro il compenso massimo annuale che ciascun prestatore di lavoro può ricavare con riferimento alla totalità dei committenti, mantenendo invece inalterato il limite dei 2 mila euro per le attività svolte in favore di ciascun singolo committente. È stato poi altresì introdotto il divieto del ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell'ambito dell'esecuzione di appalti. Inoltre, al fine di favorire la tracciabilità, il decreto legislativo n.81 del 2015 ha previsto che i voucher possano essere acquistati esclusivamente con modalità telematiche e che, prima dell'inizio della prestazione, i committenti siano tenuti a comunicare alla competente Direzione territoriale del lavoro i dati anagrafici, il codice fiscale del lavoratore, nonché il luogo e la durata della prestazione, con riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi. In assenza predetta della comunicazione preventiva, la prestazione resa dal lavoratore avrebbe dovuto essere considerata quale prestazione di fatto e come tale in nero, con la conseguente irrogazione della cosiddetta maxi sanzione da parte del personale ispettivo. 
Tanto premesso faccio presente che, ai fini di un corretto utilizzo dei buoni lavoro, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'INPS, in qualità di concessionario del servizio di gestione deivoucher, hanno fornito chiarimenti e precisazioni in ordine agli ambiti di utilizzo degli stessi mediante i diversi atti regolamentari (circolari, messaggi e pareri).  In tal senso il ricorso al lavoro accessorio è stato considerato incompatibile con lo status di lavoratore subordinato, se impiegato presso lo stesso datore di lavoro. Parimenti, il ricorso al lavoro accessorio è stato considerato incompatibile con prestazioni aventi carattere di attività professionali, per le quali l'ordinamento richiede l'iscrizione ad un ordine professionale ovvero ad appositi registri, albi, ruoli ed elenchi professionali qualificati. 
Inoltre, sull'utilizzo dei voucher, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione con l'INPS, ha effettuato un'attività di monitoraggio e di valutazione, i cui risultati sono stati illustrati in un apposito report, pubblicato lo scorso 22 marzo sul sito del Ministero. L'analisi sintetizzata nel rapporto consente di escludere che i voucher siano stati utilizzati per sostituire rapporti di lavoro stabili con prestazioni occasionali e di ritenere, invece, che l'aumento del ricorso ai voucher sia stato verosimilmente favorito dalle restrizioni all'utilizzo del lavoro a progetto e dalle altre forme di contratti flessibili introdotte dal decreto legislativo n. 81 del 2015. Nel report si rileva inoltre che negli ultimi anni l'importo medio percepito da ciascun lavoratore mediante il lavoro accessorio è rimasto costante, nella misura di circa 630 euro annui. Tale circostanza induce a ritenere che sulla crescente diffusione dall'istituto non abbiano inciso in maniera significativa le modifiche introdotte dal Jobs Act in materia di lavoro accessorio. 
Aggiungo, inoltre, che il 7 ottobre scorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il decreto legislativo n. 185 del 2016, recante disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in attuazione del Jobs Act. Tale decreto ha rafforzato la tracciabilità deivoucher, al fine di evitare eventuali distorsioni nell'uso di tale strumento e di perseverare nella finalità originaria, che era volta a fare emergere quelle prestazioni che non possono essere disciplinate attraverso le forme di lavoro stabile dalla legislazione vigente. Si introduce così una modalità di controllo analoga a quella già in essere, lavoro a chiamata (job on call), al fine di impedire possibili comportamenti illegali ed elusivi da parte di quelle imprese che acquistano ilvoucher e comunicano l'intenzione di utilizzarlo, ma poi lo usano solo in caso di controllo da parte dell'ispettore del lavoro. Nello specifico si prevede che i committenti imprenditori non agricoli o professionisti debbano comunicare alla competente sede territoriale dell'ispettore dell'ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, almeno sessanta minuti prima dell'inizio della prestazione lavorativa, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione e l'indicazione del giorno e dell'ora di inizio e di fine della prestazione. Invece i committenti imprenditori agricoli sono tenuti a comunicare i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione, con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni. Il legislatore in tal modo ha voluto tenere conto della specificità del lavoro agricolo e delle difficoltà dei committenti imprenditori agricoli di prevedere ex ante la durata delle prestazioni e il numero esatto di lavoratori da utilizzare, a causa del condizionamento dell'attività agricola da parte di fattori meteorologici. 
Per quanto concerne l'attività di controllo sui voucher, preciso che, nel documento di programmazione dell'attività di vigilanza per il 2016, il Ministero del lavoro ha previsto tra gli obiettivi primari di attenzione degli organi ispettivi la verifica sul corretto utilizzo dei voucher. Inoltre l'attività di vigilanza sarà resa più efficace grazie alla costituzione dell'ispettorato del lavoro. Infatti l'affidamento a tale organo della gestione unitaria delle attività in precedenza svolte dagli ispettori del Ministero del lavoro, dall'INPS e dall'INAIL, consentirà di unificare e potenziare le ispezioni nelle imprese. Anche quest'ultimo intervento conferma l'intenzione e la volontà del Governo e del Ministero del lavoro di combattere ogni forma di illegalità e di precarietà nel mercato del lavoro e di colpire tutti quei comportamenti che sfruttano il lavoro e alterano la corretta concorrenza tra le imprese.

Replica

Grazie Presidente io ringrazio il Governo per aver risposto alla mia interrogazione che per la verità è datata 22 aprile del 2015 e in quest'anno e mezzo molte cose sono accadute, anche il quadro sul mercato del lavoro e sul tema dei voucher in particolare si è fatto più chiaro e vorrei dire – ahimè ! – anche più allarmante . I numeri sono quelli che conosciamo, sono quelli dell'INPS, dall'inizio del 2016 e nei primi sette mesi del 2016 sosta sono stati venduti 84 milioni di voucher che sono pari al 34 per cento di voucher in più rispetto al 2015, al 200 per cento in più rispetto al 2014. Questo è il quadro; di fronte ad una fotografia di questo genere fa bene il Governo ad immaginare iniziative come quelle che ha messo in campo sulla tracciabilità. Ora se non vogliamo trovarci nella classica condizione nella quale chiudiamo la stalla quando i buoi sono scappati, e mi pare che qualcuno abbia già preso il largo, qualche verità in più dobbiamo dircela. La prima è questa: i numeri delle ricerche dicono che i voucher hanno in parte fallito nella loro missione di far emergere lavoro nero e formalizzare alcuni mansioni particolari perché se si analizza l'utilizzo dei voucher in alcuni settori, come quello della ristorazione, il settore alberghiero o il combinato con il part-time involontario, si capisce come il ricorso ai voucher è fatto, sostanzialmente, per comprimere ulteriormente il costo del lavoro e non per esigenze di flessibilità del sistema produttivo. Secondo elemento, ma se la percentuale dei voucheristi tra i 25 e i 49 anni passa dal 33 al 59 per cento mentre si dimezza quella degli over 50, i quali, come sa il Governo, sono quelli che stanno beneficiando un po’ di più della crescita dei posti di lavoro rispetto ai loro colleghi più giovani; se il quadro prevede il fatto che noi siamo in una condizione nella quale c’è il 37 per cento di disoccupazione giovanile e il fenomeno dei NEET sta esplodendo, cioè i giovani che non studiano e non lavorano, allora è legittimo o no chiedersi se questo Paese sia investito da una grande questione che riguarda le nuove generazioni. Ed è legittimo o no a proposito dei voucher pensare che quello strumento sia un tassello di una marginalizzazione più ampia dei giovani nel mercato del lavoro. Allora io penso che sia nostro dovere rispondere con molta serenità di si a queste domande, anche introducendo qualche elemento di critica rispetto a strumenti che abbiamo utilizzato in questi due anni che hanno avuto delle ricadute positive e che oggi mostrano la corda. Penso, ad esempio, al tema dalla decontribuzione che può aver rappresentato in parte ossigeno per il sistema produttivo nella fase iniziale ma che oggi forse rappresenta più un palliativo che lo strumento per aggredire i nodi veri del mercato del lavoro. Chiudo dicendo questo, si è molto parlato in questi giorni dei giovani di Foodora e del loro sciopero, non c’è una relazione diretta con il tema dei voucher, però, se mi permette Presidente, c’è una questione che riguarda il lavoro e la dignità di lavoratori, perché io penso che in quest'Aula e più in generale nel Paese non ci sia nessuno che non abbia curiosità nei confronti dei nuovi modelli produttivi anche di consumo, penso, ad esempio, a tutta la partita affascinante dellasharing economy, piuttosto che quella che viene definita la giga economy, cioè il fatto che sia accettabile che per un pezzo della stagione della vita di alcuni giovani lavoratori si possano fare anche dei lavoretti, ad esempio, per mantenersi agli studi; ma tutto questo lo dico al Governo non può essere fatto il nome di un'idea del lavoro che si sta facendo sempre più usa e getta, in nome di un'idea, questa sì se mi consentite, un po’ ottocentesca per cui i lavoratori vengono assunti con un sms e vengono espulsi dal mercato del lavoro ad nutum, con il gesto del capo. Io penso che questo modello sia sbagliato e penso anche in questo senso trovo un collegamento con i voucher che i voucher rappresentino un insieme di regole e anche una dimensione culturale in cui cresce e si genera l'idea di un lavoro che scarica i costi sui lavoratori e spesso questi lavoratori sono giovani. Penso che questo modello debba essere superato e lo si deve fare in nome di un obiettivo ambizioso che si deve dare tanto più un Governo di centrosinistra, che è quello, io penso, anche l'obiettivo di un Paese civile, che debba essere quello di coniugare con maggiore efficacia, modernità e diritti.