05/02/2015
Mino Taricco
Fragomeli, Bossa, Borghi, Bergonzi, Amato, Rubinato, Realacci, Patriarca, Oliverio, Magorno, Carloni, Crivellari, Rossi, Malpezzi, Cani, Dal Moro, Amoddio, Senaldi, Prina, Romanini, Grassi, Lavagno, Antezza, Iacono, Iori, Venittelli, Greco, Cova, Zanin, Capone, Giuseppe Guerini, Sani, Cimbro
1-00724

La Camera, 
   premesso che: 
    l'articolo 15 dell'ordinamento penitenziario, di cui alla legge n. 354 del 1975, attribuisce al lavoro un ruolo centrale nel processo rieducativo e di risocializzazione del condannato, così come stabilito dall'articolo 27, comma terzo, della Costituzione: «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato»; occorre quindi che la risposta al reato sia costruita in modo da favorire il recupero sociale del condannato e il precetto costituzionale, infatti, impone di «guardare dentro» la pena, ai suoi contenuti, per costruirli in funzione di un obiettivo esterno, l'obiettivo della rieducazione; 
    nel 2003 il DAP, dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha avviato un progetto sperimentale programma esecutivo d'azione (P.E.A.) n. 14/2003 in alcuni istituti di pena italiani per promuovere l'attività lavorativa in carcere, attraverso la ristrutturazione delle cucine e l'affidamento della gestione a delle cooperative sociali, con la finalità di offrire opportunità di formazione e professionalizzare i detenuti, assunti dalle cooperative stesse; 
    questo progetto, finanziato inizialmente dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e, a partire dal 2009, dalla Cassa delle ammende, è stato rinnovato negli anni con giudizi sui risultati ampiamente positivi andando progressivamente a riguardare fino a 10 istituti di pena; 
    recentemente è intervenuta decisione di porre fine all'esperienza decennale di gestione, esternalizzata dei servizi di preparazione pasti per detenuti presso gli istituti penitenziari interessati dal modello di gestione esternalizzata nei dieci istituti penitenziari coinvolti dalla sperimentazione: Trani, Torino, Roma Rebibbia Nuovo Complesso, Roma Rebibbia (casa di reclusione), Ragusa, Padova, Siracusa, Milano-Bollate, Ivrea e Rieti; 
    i finanziamenti erogati sono ammontati nel complesso a circa 3,5 milioni di euro l'anno e hanno permesso alle cooperative sociali di far lavorare circa 170 detenuti e 40 operatori sociali, in alcuni tra i più importanti istituti di pena italiani, la cui popolazione carceraria ammonta a circa 7 mila detenuti; 
    le ricadute positive del progetto attivato nel 2003 sono tangibili in termini di: riduzione della recidiva per chi ha lavorato come parte attiva del progetto; indotto effettivo per i dipendenti; ore trascorse al di fuori del carcere; qualificazione dell'esperienza detentiva altrimenti fonte di frustrazione e anticamera della recidiva; 
    l'impiego dei detenuti in attività lavorative interne al carcere ha aumentato infatti le possibilità di reinserimento nell'ambito sociale e lavorativo e ha abbattuto drasticamente l'eventualità di recidiva: è stimato che chi sconta la pena senza lavorare, una volta uscito delinque in media dieci volte più di chi ha imparato un mestiere; infatti, i dati rilevati nel progetto parlano di un calo della recidiva dal 70 al 2 per cento; 
    gli stessi direttori delle carceri coinvolte, in una comunicazione al Ministero del 28 luglio 2014, confermano come «oltremodo positiva l'esperienza, in quanto i detenuti assunti dalle cooperative hanno modo di sperimentare rapporti lavorativi “veri” che li portano ad acquisire competenze e professionalità decisive per il reinserimento sociale»; 
    lo stesso dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha espresso parere favorevole il 17 marzo 2014, tramite le parole dell'ex capo del dipartimento, Giovanni Tamburino: «Bisogna confrontarsi con l'oggettività che danno i direttori, che vedono le cose concrete, pratiche, quotidiane. Il giudizio è fortemente positivo: non si torna indietro, si va avanti»; stessa conclusione volta alla prospettiva di consolidare l'esperienza passando dalla fase sperimentale a quella strutturale di messa a sistema, è stata tratta dalla commissione messa in opera dal ministro pro-tempore Anna Maria Cancellieri; 
    in linea con il riconoscimento dell'importanza del lavoro per la riabilitazione dei detenuti, con la legge n. 193 del 2000 (cosiddetta legge Smuraglia), sono stati forniti strumenti e modalità per l'avvio di attività lavorative in carcere da parte di imprese pubbliche o private e di cooperative, attraverso la stipula di un'apposita convenzione con l'amministrazione penitenziaria; 
    si era proposto di dividere in modo diverso la dotazione economica della legge «Smuraglia», oggi suddivisa tra credito d'imposta e sgravi contributivi: era stato chiesto di aumentare di almeno un milione di euro il fondo per il credito d'imposta e ridurre proporzionalmente quello dello sgravio contributivo, proprio per far fronte alla quasi certa insufficienza del credito d'imposta, oggi avveratasi; 
    con questa decisione vi è il serio rischio di perdita di posti di lavoro alle dipendenze di imprese provenienti dall'esterno, pregiudicando la loro possibilità a proseguire oltre nelle loro attività, ma soprattutto di importanti professionalità: il coordinamento delle cooperative in un comunicato stampa ha dichiarato che «70 persone più una quarantina di operatori esterni perderanno il posto di lavoro, terminando in modo inglorioso una buona prassi che c'invidia tutto il mondo. Viene a galla l'idea di trasformare il lavoro penitenziario in un sistema velato di nuovo lavoro forzato, quello che Papa Francesco chiama “le nuove forme di schiavitù”, lo sfruttamento delle fasce deboli e indifese e che per di più, se hanno sbagliato, che paghino e basta»; 
    ammesso che la Cassa delle ammende non possa sostenere progetti continuativi per sua intrinseca natura, è evidente la necessità di trovare misure alternative per proseguire quest'esperienza tanto positiva, evitando il ripristino della gestione delle mense in capo dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria tramite il lavoro a mercede, totalmente inadatto ad offrire un percorso di recupero ai detenuti, in quanto completamente opposto al concetto da tutelare di «cultura del lavoro»; 
    il 21 gennaio 2015 il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Santi Consolo, insieme ai responsabili delle diverse articolazioni del Dipartimento, ha ricevuto i rappresentanti delle cooperative a cui era stato affidato il servizio di confezionamento del vitto presso gli istituti penitenziari di Ivrea, Milano Bollate, Padova, Ragusa, Rieti, Roma Rebibbia, Siracusa, Torino, Trani e, nel corso dell'incontro, ha riaffermato l'impegno a proseguire il rapporto di collaborazione con le cooperative in relazione alle attività di panificazione, produzione dolciaria e catering da loro attivate e sviluppatesi nei predetti istituti, attraverso progetti da sottoporre alla Cassa delle ammende da valutare,

impegna il Governo:

   a condividere i dati del monitoraggio delle attività svolte nel decennio passato, tra cui la citata analisi dei costi, con riguardo a risultati ottenuti, costi sostenuti, incidenza del lavoro sulla recidiva, condizioni d'inquadramento dei detenuti sulla base delle recenti normative sul lavoro e a tutti i dati necessari ad inquadrare l'esperienza nel suo complesso, rendendola trasparente e valutabile; 
   a relazionare ogni anno al Parlamento in merito all'utilizzo delle risorse complessive del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria finalizzate ai vari progetti, sia quelli gestiti in proprio sia quelli assegnati a soggetti terzi, relativamente alle risorse economiche a questi assegnate, alle risorse e mezzi impegnati e ai risultati ottenuti; 
   a intervenire al fine di non disperdere il prezioso patrimonio conoscitivo sviluppato nel corso del progetto da parte delle cooperative che hanno assunto i detenuti; 
   a mettere in campo strumenti analoghi a quello attuato nella decennale esperienza conclusa, affinché si possa estendere l'esperienza al numero più ampio possibile di istituti di pena italiani; 
   a individuare anche fonti di finanziamento alternative rispetto a quelle finora utilizzate, così da non disperdere i virtuosi risultati ottenuti e la valevole esperienza maturata negli istituti penitenziari già coinvolti, estendendola a tutti quelli coinvolgibili.