Data: 
Mercoledì, 8 Marzo, 2017
Nome: 
Paolo Gentiloni

 

Presidente e onorevoli colleghe, tanti auguri per l'8 marzo, e onorevoli colleghi, l'informativa di oggi riguarda un vertice europeo che per certi versi è un vertice di transizione, che non deve affrontare decisioni formali di grandissima rilevanza, ma che tuttavia ha per quanto ci riguarda, e credo anche per quanto riguarda i destini dell'Unione, una rilevanza speciale, perché sarà una delle tappe fondamentali, forse l'ultima a livello di Capi di Stato e di Governo, per discutere della occasione dei sessant'anni dell'Unione europea, che come sapete ci vedrà impegnati tra quindici giorni, il 25 marzo, a Roma.
Alla discussione della Dichiarazione di Roma sul sessantesimo dei Trattati sarà dedicata la giornata di dopodomani, con un primo esame dei contenuti di una dichiarazione che nelle nostre intenzioni, e nelle intenzioni delle istituzioni comunitarie, può essere un punto di rilancio, di svolta per un'Unione europea che certamente attraversa un momento difficile e complicato.
Sarebbe molto bello che l'Italia riuscisse, come Paese ospite e grazie all'impulso del Governo e del Parlamento, a dare a questa occasione il significato appunto di una svolta e un rilancio di cui oggi si sente fortissimamente il bisogno. Se pensiamo a quello che accadde 60 anni fa, con la firma in Campidoglio, nella Sala degli Orazi e Curiazi, dei Trattati istitutivi della Comunità europea, ci rendiamo conto di un elemento che può essere prezioso anche per descrivere la situazione attuale: allora, nel 1957, si veniva da due o tre anni complicati, nei quali i grandi ideali europeisti, che avevano attraversato la parte migliore delle classi dirigenti politiche ed intellettuali europee nei decenni precedenti, avevano trovato sbocchi, ma questi sbocchi erano apparsi come privi di prospettiva. C'era stata la Comunità europea di difesa, che era nata all'inizio degli anni Cinquanta, ma poi era stata definitivamente bocciata dal Parlamento, dall'Assemblea nazionale francese nel 1954; c'era la Comunità europea del carbone e dell'acciaio; ci fu un ruolo dell'Italia: l'Italia non fu solo Paese ospite per caso a Roma nel 1957, l'Italia fu anche il Paese che attraverso l'azione dei Governi dell'epoca (importante fu il ruolo del Ministro Gaetano Martino) organizzò quella Conferenza a Messina che riuscì ad impostare quella che poi sarebbe diventata la nascita della Comunità economica europea.
Si fece allora una scelta; per quelli che hanno la mia età, qualcuno anche qualche anno più di me, vi ricorderete anche la sigla, il MEC. Si fece la scelta di puntare sull'aspetto economico, sul mercato comune, individuando nel mercato comune il motore di progressivi processi di integrazione, di allargamento, di coinvolgimento di Paesi. Credo che se guardiamo a quella scelta, alla scelta che l'Italia favorì attraverso la Conferenza di Messina e che poi fu sancita da quella cerimonia, se la guardiamo con gli occhi di chi fa un bilancio dopo sessant'anni, credo che cogliamo un primo significato dell'occasione che ci si presenta tra quindici giorni di nuovo qui a Roma, l'occasione del sessantesimo: il significato è innanzitutto quello di rivendicare i risultati che in questi sessant'anni sono stati raggiunti. La pace innanzitutto, che oggi a noi appare assolutamente scontata, ma che certamente scontata non era in un'Europa che usciva da mezzo secolo di guerre, con milioni di morti. La libertà, perché non dobbiamo mai dimenticare che è stato grazie alle Comunità europee che si è riusciti a dare un'uscita di sicurezza alle dittature fasciste che negli anni del dopoguerra, nei decenni del dopoguerra si erano insediate in Grecia, in Portogallo e Spagna; e alle dittature comuniste, che hanno retto fino alla caduta del muro di Berlino. È stata l'esistenza della Comunità europea, dell'Unione europea dopo, a consentire il disgelo e la libertà per decine di milioni di europei. E poi è stata l'Europa del welfare, della protezione sociale: il punto che oggi ci appare più drammaticamente debole dell'Europa, è stata una delle conquiste di cui in questi sessant'anni dovremmo essere, e siamo credo tutti quanti consapevoli. Il modello europeo è un modello in cui c’è pace, c’è libertà, ma c’è anche protezione sociale universale, certamente in modi diversi da Paese a Paese. E poi è stata la nascita di una superpotenza commerciale, del primo mercato unico al mondo come dimensioni, di una realtà che continua ad essere... Ho appena incontrato il Primo Ministro della Georgia, la prospettiva di questo Paese è una prospettiva di enorme attrazione nei confronti dell'Unione europea, innanzitutto per le opportunità dal punto di vista economico che offre. E infine è stata l'Europa, nonostante tutto, una grande comunità di valori, di culture, di istruzione, di educazione.
Ecco, questo edificio, che come sempre le ricorrenze aiutano a ricordare nella sua forza, nei suoi successi, nei suoi risultati, oggi è sotto pressione, sotto accusa. Sarebbe credo miope da parte del Parlamento italiano e del Governo italiano non rendersene conto: è sotto accusa da parte di componenti molto consistenti delle cittadinanze dei 27 o 28 Paesi europei. Non è solo Brexit.

Brexit è stata certamente, il 23 giugno scorso, l'episodio scatenante, la cosa più evidente, ma sappiamo bene che la diffidenza nei confronti delle istituzioni europee, della costruzione europea, lo scetticismo, la polemica attraversano le nostre società, le nostre opinioni pubbliche, come frutto direi da un lato della crisi economica e sociale che abbiamo attraversato negli ultimi anni e dall'altro lato della difficoltà che le istituzioni europee, spesso ferme e non capaci di adeguarsi a questa realtà, hanno messo in evidenza nel corso degli ultimi anni.
Qui, io credo, scatta il collegamento che dobbiamo cercare di realizzare tra un'occasione, quella del 25 marzo, in cui rivendicare i risultati che sono stati raggiunti in questi sessant'anni, e l'esigenza di indicare la prospettiva futura, la prospettiva dei prossimi 10 anni.
Sarà questo l'asse della Dichiarazione di Roma, della quale cominceremo a discutere nella giornata di venerdì al Consiglio Europeo e che io mi auguro rappresenti esattamente questa capacità di non dimenticare da dove veniamo e quello che siamo riusciti a realizzare in questi sessant'anni, perché faremmo un torto non solo ai padri dell'Unione europea, faremmo un torto ai nostri figli, faremmo un torto alle generazioni che devono venire: se venisse a mancare l'Unione europea, noi ne sentiremmo la mancanza molto rapidamente e drammaticamente.
Quindi dobbiamo, a mio avviso, partire da questa consapevolezza, ma al tempo stesso indicare una strada in avanti, una strada di futuro per i prossimi 10 anni, un futuro che nella Dichiarazione di Roma dovrebbe basarsi, a nostro avviso, su 3 o 4 scelte fondamentali: la scelta innanzitutto di un'Europa più coesa sul piano della sicurezza e della difesa, capace quindi, se ci sono vuoti di riempirli. Adesso non voglio aprire una discussione sul nuovo contesto della politica internazionale, ma di certo l'Unione europea ha tutto l'interesse ad avere sul terreno della sicurezza e della difesa politiche più coese e più integrate, per assumersi responsabilità e fare dei passi in avanti. Paradossalmente lì dove, nel ’54, fallì un primo tentativo di costruzione europea con il «no» francese alla Comunità europea di difesa, oggi ci sono le condizioni per ripartire, almeno con forme di cooperazione rafforzata, strutturata tra alcuni Paesi e con decisioni che in parte si sono già prese: la scorsa settimana, ad esempio, si è deciso di dar vita a dei comandi militari unificati per alcune missioni che l'Unione europea conduce soprattutto in Africa, decisioni limitate, ma che vanno nella direzione giusta.
Sicurezza e difesa certamente, politiche economiche che devono essere orientate verso la crescita e verso gli investimenti, politiche sociali: quel primato di un'Europa che crede nella protezione sociale, in un sistema di welfare, noi rischiamo che vada sgretolandosi sotto i colpi della crisi e lì dobbiamo ricostruire l'Europa sociale, quindi terzo pilastro dopo le politiche per la crescita e gli investimenti, dopo la sicurezza e la difesa comune, l'Europa sociale e infine un'Europa che sia capace di conservare uno dei risultati più belli che abbiamo raggiunto e cioè la libera circolazione delle persone, attraverso un impegno comune e un impegno comune nelle politiche migratorie, perché senza questo impegno comune nelle politiche migratorie sarà molto difficile riuscire a conservare le conquiste, in termini di libera circolazione delle persone.
In questo contesto si svilupperà anche la discussione, se volete per il momento un po’ astratta, teorica, sull'assetto istituzionale futuro dell'Europa.
Perché dico in questo momento un po’ astratta e teorica ? Perché si possono fare certamente dei passi in avanti nella cooperazione strutturata tra singoli Paesi, sono passi avanti che gli attuali trattati consentono, che non hanno bisogno di grandi riforme istituzionali nell'ambito dell'Unione europea e nel frattempo si può avviare una discussione su qual è l'assetto di un'Europa che non può che avere, a mio avviso, se pensiamo all'orizzonte dei prossimi 10 anni, livelli di integrazione differenziati al proprio interno.
Ora questa prospettiva non deve essere vista né come una resa né come una minaccia, certamente è un cambiamento di prospettiva, perché l'Europa di oggi, l'Europa a 28 o a 27, ha come sua ragione sociale la frase sempre ripetuta di una ever closer union, cioè di una unione sempre più integrata, ma sappiamo bene che la discussione che ci fu negli anni Novanta e all'inizio di questo secolo tra i sostenitori dell'allargamento dell'Unione europea e i sostenitori dell'approfondimento dell'Unione europea è una discussione che ormai ci siamo lasciati alle spalle, non è che dobbiamo lasciarci alle spalle, è alle nostre spalle, perché l'Unione è fatta da un numero di Paesi molto, molto vasto, quindi l'allargamento è un fatto.
Il tema in discussione è se i passi avanti ulteriori sul terreno dell'integrazione, che sono necessari, possono essere fatti tutti a 27 oppure se, nell'ambito di questi necessari passi in avanti, si possano immaginare delle geometrie variabili.
Non sarà una decisione delle prossime settimane e dei prossimi mesi, non è l'oggetto della celebrazione della dichiarazione per il sessantesimo a Roma.
Cercheremo, in quella dichiarazione, di tenere conto del fatto che in questa direzione si sta andando.
La Commissione europea ha varato una settimana fa un libro bianco, nel quale si mettono in fila 5 diversi scenari addirittura su quelle che possono essere le prospettive più o meno ambiziose dell'Unione europea, da quelle meno ambiziose (solo il mercato unico, rinunciando a tutto il resto), a quelle più ambiziose (Stati uniti d'Europa, per tradurla), ma anche qui siamo di fronte a un tracciato, a una cornice di discussione, non a scelte che vengono proposte o addirittura imposte dall'alto.
Io dico, a nome del Governo, che di questa prospettiva noi non dobbiamo avere paura, anzi, la dobbiamo considerare, dal mio punto di vista, come un'opportunità.
I diversi livelli di integrazione sono già una realtà dell'Unione europea.
Sappiamo che ci sono Paesi che hanno una moneta unica e Paesi che hanno le loro monete nazionali, sappiamo che esistono Paesi dell'area Schengen e Paesi che non fanno parte dell'area Schengen, Paesi membri della NATO e Paesi neutrali, quindi non è una novità senza precedenti, quella di prevedere diversi livelli di integrazione: è la strada che dobbiamo seguire, se vogliamo evitare quello che oggi è il rischio principale dell'Unione europea e cioè stare fermi di fronte alle difficoltà, agli scricchiolii, agli elementi di crisi che ti si presentano davanti.
Se a questo si reagisce con la continua minimizzazione dei problemi, se la velocità a cui si affrontano i problemi è la velocità dell'ultimo vagone del treno, io temo che col passare del tempo la risposta dell'Unione europea non sarà all'altezza delle sfide che il mondo di oggi pone al continente europeo, sapendo che, se noi vogliamo avere un ruolo nel mondo che si va profilando, dobbiamo investire sul nostro essere italiani, ma anche sul nostro essere europei.

Quindi, Roma è l'occasione per dare questo segnale, da un lato, di orgogliosa rivendicazione di quanto si è raggiunto in questi sessant'anni e, dall'altro lato, di indicazione di una prospettiva per i prossimi dieci anni – i quattro pilastri che citavo prima – e l'avvio, solo l'avvio, di una discussione sull'assetto futuro dell'Unione, per consentire ai Paesi, che sono pronti a fare dei passi in avanti maggiori in termini di integrazione, di farli.
E, per favore, non viviamo questa discussione, come ogni tanto ci capita, come se fosse un gigantesco complotto nei confronti dell'Italia. È vero che c’è stato vent'anni fa, trent'anni fa, un dibattito sull'Europa a due velocità, nel quale l'Italia poteva essere considerata un Paese a rischio di far parte della serie B, piuttosto che della seria A. Stiamo parlando di una cosa completamente diversa: l'Italia è tra i Paesi promotori di questa impostazione. E ovviamente, in modo particolare in un'Unione europea che perderà il Regno Unito, sarà uno dei Paesi assolutamente protagonisti di questo processo. Quindi, non guardiamo a questa cosa come una minaccia, non guardiamo a questa cosa come una decisione da prendere domani, guardiamola come a una risposta di prospettiva alle lentezze, alle difficoltà, al rischio di impasse dei processi europei che abbiamo.
Più rapidamente sugli altri punti all'ordine del giorno, perché davvero la questione di Roma sarà centrale nel vertice di domani e dopodomani. L'occasione, come sempre nei vertici del Consiglio europeo di marzo, sarà per fare il punto sulla situazione economica dei diversi Paesi. Avremo anche una relazione di Mario Draghi su questo.
Noi proporremo la nostra impostazione tradizionale del nostro Governo, che dice che, da un lato, siamo per rispettare le regole dell'Unione europea e, dall'altro, siamo per contribuire a cambiare le sue politiche. È un punto di equilibrio non facile rispettare le regole e contribuire a cambiare le politiche. Ma da qui, onorevoli colleghi, non si scappa, perché far finta che le regole non esistano sarebbe quantomeno superficiale e rinunciare a cambiare le politiche sarebbe rinunciare al ruolo del nostro Paese. Noi abbiamo bisogno di un'Unione europea rispetto a tassi di crescita, che apparentemente a livello europeo sono positivi, perché non sono molto diversi da quelli degli Stati Uniti, ma che sono ancora lenti e che sono in particolare lenti per il nostro Paese, anche se ricordo a tutti che il distacco dell'Italia dalla media della crescita dei Paesi europei è oggi il più basso degli ultimi sei anni. Quindi siamo indietro, siamo più lenti, ma il gruppo è più vicino di quanto non fosse 6, 7, 8 anni fa.
Ecco, questa situazione deve portarci a dire che vogliamo un'Unione europea che non deprima questa crescita ancora lenta, ma che consenta di incoraggiarla. E questa sarà la nostra battaglia nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, sarà l'impegno del DEF che presenteremo in Parlamento tra un mese, sarà l'impegno del nostro piano nazionale per le riforme.
Se c’è una cosa che io considero assolutamente immotivata, in alcune delle valutazioni che ho visto emergere a Bruxelles e nelle ultime settimane, è la descrizione dell'Italia come di un Paese nel quale il processo di riforme si è fermato o è stato rallentato. Non è così, Certamente, se parliamo della riforma costituzionale, non possiamo non riconoscere che il referendum è andato come è andato e che la posizione a favore del referendum, la mia e quella del Governo e di tanti altri, è risultata sconfitta alle urne, ma il processo di riforme va avanti.
Non voglio ripetere qui il catalogo che ho fatto stamattina intervenendo al Senato, ma dico che non ci atteggiamo a essere i primi della classe, ma non accettiamo lezioni, perché se c’è un Governo e un Parlamento che in tantissimi settori ha un'agenda di riforme, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, questo è il Governo, questo è il Parlamento, italiano (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Democrazia Solidale-Centro Democratico, Civici e Innovatori).
Siamo noi che siamo impegnati in questo terreno. E sarei curioso di sapere se lo stesso grado di intensità di progetti di cambiamento è davvero all'ordine del giorno facilmente in altri Paesi. All'ordine del giorno sono anche le questioni di sicurezza e difesa, che ricordavo prima, con i passi avanti, sia pure limitati, che si stanno facendo.
E naturalmente, di nuovo, le questioni dell'immigrazione, delle politiche migratorie comuni. Ci tengo a ribadire su questo punto che, quando si parla di politiche dell'accoglienza e in particolare dell'accoglienza dei rifugiati, non si sta parlando di una richiesta italiana. Si sta parlando di una decisione presa dall'Unione europea. L'Unione europea ha preso delle decisioni sull'accoglienza dei rifugiati, di coloro ai quali è stato riconosciuto il diritto all'asilo, e le ha prese molto tempo fa. E noi non siamo disponibili a rassegnarci all'idea di un'Europa a due rigidità, un'Europa per la quale la rigidità, su alcune virgole di bilancio, è assolutamente inamovibile e per la quale, invece, ci sono scelte fondamentali sull'accoglienza ai rifugiati, che pur essendo state prese vengono dimenticate. Si sorvola, si è distratti. Questa logica noi non l'accetteremo, lo abbiamo detto nei mesi scorsi e lo ripeteremo domani a Bruxelles (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Democrazia Solidale-Centro Democratico, Civici e Innovatori).
Ci saranno, io credo, dei piccoli passi avanti sul terreno almeno della dimensione esterna delle politiche migratorie. Già nel vertice informale di Malta abbiamo avuto un sostegno formale dei 27 all'intesa tra Italia e Libia sull'immigrazione. Io voglio dire qui, onorevoli colleghi, che da quella intesa nessuno deve aspettarsi risultati improvvisi e miracolosi. Io non li ho venduti, non li ho promessi. Il giorno in cui ho firmato l'intesa con il Presidente Serraj, la prima cosa che ho detto: questo è un piccolo passo in un contesto molto fragile. Ma è nell'interesse comune di questo Parlamento che quel piccolo passo fragile gradualmente si rafforzi e, quindi, sono contento che le due parti, la Libia e l'Italia, abbiano indicato le loro delegazioni per la cabina di regia bilaterale, che ha preso forma una decina di giorni fa e che sta cominciando a lavorare per la gestione del fenomeno.
Sono contento che si comincino a manifestare – sono molto limitati – primi risultati nell'attività da parte della guardia costiera libica di contenimento di significativi flussi migratori. Sono primi risultati, che risalgono agli ultimi 15-20 giorni, ma che noi dovremmo coltivare con la cura con cui si coltivano delle piantine promettenti. Cercheremo di rafforzarli, fornendo imbarcazioni, sostegno, mezzi e naturalmente stando attenti a che lo sviluppo di questa attività sia pienamente rispettoso delle regole e dei diritti umani.
La soluzione perfetta di questa questione dell'immigrazione non esiste.

A chi dice che esistono metodi miracolosi – naturalmente stiamo parlando nell'ambito dei nostri principi di civiltà e di diritto – io rispondo che metodi miracolosi non esistono. Esiste tuttavia la possibilità di trasformare un fenomeno totalmente irregolare e criminale in un fenomeno che gradualmente diventa regolato, meno rischioso per chi fa questa scelta, più rispettoso delle nostre regole e quindi meno foriero di tensioni e di reazioni dal punto di vista sociale. Questo è possibile, ci vuole tempo e ci vuole la collaborazione di Paesi, in particolare Paesi chiave come la Libia e il Niger. Infine – ultimo punto all'ordine del giorno, che voglio menzionare perché nel corso della giornata è andato acquisendo forse un rilievo più significativo di quanto si potesse pensare – il Consiglio di domani e dopodomani è anche chiamato a rinnovare l'incarico all'attuale Presidente del Consiglio europeo che – come sapete – è l'ex Primo Ministro polacco, Donald Tusk. Fino a stamani mattina non c'erano candidature alternative; credo che sia stata oggi, stamattina, formalizzata una candidatura alternativa da parte del Governo polacco, di un esponente politico dell'attuale Governo polacco e quindi è probabile che ci sia, da questo punto di vista, una discussione insolita, nel senso che normalmente a queste decisioni si arriva per consenso. Tuttavia, la posizione italiana – non ci sono candidati italiani e non c’è una discussione – è purtroppo una discussione più nazionale, che non europea ed è quella di contribuire a una soluzione condivisa e al momento la soluzione condivisa sembra essere quella della conferma del Presidente Tusk, al quale quindi io, salvo novità assolutamente al momento imprevedibili, rinnoverò a nome del Governo la fiducia anche del nostro Paese.
Infine, onorevoli colleghi, voglio semplicemente dire che cosa il Governo chiede a questa Assemblea. Molto semplicemente chiede un sostegno per rendere la nostra posizione al tavolo di Bruxelles la più forte e rappresentativa possibile; il che non vuol dire naturalmente che non ci siano opinioni diverse nel Parlamento – naturalmente ci sono e figurarsi se non ci sono su un tema oggi così sentito come quello del rapporto con le istituzioni europee –, di queste posizioni diverse io ho il massimo rispetto, ma so anche che l'Italia può svolgere un ruolo all'altezza della sua storia nella misura in cui il Governo può presentarsi a questo tavolo nel difendere le nostre posizioni sul terreno economico, sul terreno delle politiche migratorie, sull'iniziativa per i sessant'anni dei Trattati di Roma, avendo non solo dietro di sé la rappresentanza del Governo – come è ovvio – e della sua maggioranza, ma anche la più larga rappresentanza possibile del Parlamento. Un Governo più forte al tavolo di Bruxelles è un Governo che fa più forte l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi del Partito Democratico, Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa, Democrazia Solidale-Centro Democratico, Civici e Innovatori e di deputati del gruppo Misto).