Data: 
Mercoledì, 18 Ottobre, 2017
Nome: 
Paolo Gentiloni

 

Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, il Consiglio europeo di domani e dopodomani si occupa del futuro dell'Unione europea, dei temi migratori, della difesa, del digitale e di Brexit. Devo dire che la consapevolezza, in diversi Paesi europei, del fatto che siamo in un momento di transizione per quello che riguarda i destini dell'Unione è rilevante e credo che sia utile che questa consapevolezza, che c'è anche nel nostro Paese, cresca attraverso innanzitutto la discussione del Parlamento, perché noi abbiamo davanti, a livello dell'Unione europea, 15-16 mesi che possono rivelarsi decisivi, se si colgono alcune opportunità, oppure che possono confermare una situazione difficile. Dico 15-16 mesi, perché sappiamo tutti che nel 2019 si avvia la fase del rinnovo sia del Parlamento che di tutte le istituzioni europee e, quindi, il momento per discutere di possibili innovazioni politiche - non dico dei Trattati, ma del codice di comportamento e delle politiche dell'Unione europea - è ora, è in questi mesi, è nel prossimo anno.

Siamo in una fase, direi, contraddittoria, in cui da un lato certamente non mancano gli elementi di quadro favorevoli: abbiamo finalmente un tasso di crescita, che coinvolge l'insieme dell'Eurozona, che è stabilmente sul 2 per cento, 2,2 per cento nell'Eurozona; abbiamo avuto, credo, diversi risultati elettorali nel corso di questi mesi, con naturalmente accentuazioni differenti, ma complessivamente con un consolidamento, in alcuni casi un chiaro successo, di forze che spingono verso una maggiore integrazione, un maggiore impegno e non certo contro l'Unione europea; abbiamo soprattutto - e dico soprattutto, perché il suo valore emblematico credo non sfugga a nessuno - una evoluzione interna nel Regno Unito, che conferma che forse la scelta, alla quale ovviamente noi confermiamo tutto il nostro rispetto, perché è stata una scelta democratica degli elettori del Regno Unito, però ha mostrato di non avere quelle conseguenze magnifiche e spettacolari che nel corso della campagna elettorale per il referendum su Brexit erano state in qualche modo promesse, anzi il contesto in cui il Regno Unito, dopo quella decisione democratica, si muove è un contesto di innegabile maggiore difficoltà.

Quindi, abbiamo degli elementi di quadro che sono incoraggianti e che potrebbero aiutarci a dire: bene, i prossimi 15-16 mesi questa - come si dice in gergo - finestra di opportunità può essere colta in senso positivo. Noi ne avevamo già visto traccia, devo dire - e di questo, credo, siamo tutti orgogliosi -, quando, nel mese di marzo, Roma, con quella cerimonia per i sessant'anni dei Trattati e con quel documento che nella cerimonia fu sottoscritto, fu un po' il segnale di un'inversione di tendenza. Sembrava quasi che il lungo inverno dello scontento europeo si fosse concluso nella primavera romana in Campidoglio.

Tuttavia, sappiamo anche che questi elementi positivi di quadro necessitano, per essere tradotti, poi, in maggiore efficacia delle politiche e, quindi, in un consenso più stabile e non solo di reazione a una preoccupazione, come può essere stata quella dopo Brexit o dopo altri fatti internazionali, per diventare stabili, questo consenso ha bisogno di politiche, ha bisogno di passi in avanti dal punto di vista della efficacia dell'azione della Unione europea. E questo sarà il punto principale, forse - anche se per nulla, a mio parere, risolutivo dal punto di vista delle sue conclusioni -, della discussione, del Consiglio che c'è domani e dopodomani. Si tratterà di sviluppare una discussione, che era già cominciata nel Consiglio europeo informale di Tallinn sulla cosiddetta “Agenda futura dell'Unione europea”, vasto programma. Di questa Agenda futura dell'Unione europea è stato incaricato di tirare un po' le fila il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, che ha visitato Parigi, Berlino, Roma, la settimana scorsa, per fare un po' il punto sulle intenzioni di come procedere e in quale direzione.

Io vedo molto chiaramente confrontarsi, da un lato, ipotesi ambiziose di avere un investimento sull'intensificazione di politiche comuni europee in diversi campi, che è stato al centro di alcuni importanti discorsi nelle ultime settimane: il discorso del Presidente della Commissione Juncker in occasione di quello che chiamiamo “Discorso sullo stato dell'Unione europea” e il discorso del Presidente francese Macron alla Sorbona - una altissima ambizione europeista in entrambi questi discorsi – e, contemporaneamente, la preoccupazione, che il Presidente Tusk ha manifestato in modo molto chiaro, di evitare che l'intenzione di fare questi passi in avanti sul piano dell'integrazione europea, mostrata sia pure con accenti diversi, sia dal Presidente della Commissione, sia dal neo-eletto Presidente della Repubblica francese, la preoccupazione che questo possa provocare delle lacerazioni, degli strappi nel tessuto dei 27.

Ora, su questa discussione così generale, il punto di vista italiano, che abbiamo detto più volte e che in fondo riflette un'impostazione storica dei Governi che si sono succeduti nella Repubblica in questi decenni, è che noi siamo decisamente dalla parte di chi promuove maggiori livelli di integrazione, maggiore capacità di avere politiche europee integrate a vantaggio dei nostri concittadini. Questa è sempre stata la posizione dei Governi italiani e noi la confermiamo oggi senza alcuna esitazione.

Non possiamo permetterci di passare da una sorta di tempesta perfetta che sembrava avere investito l'Unione europea nel 2015-2016 alle occasioni perdute nel 2017-2018.

Questo è il rischio che abbiamo davanti: essersi lasciati alle spalle una crisi molto pericolosa addirittura per il destino dell'Unione europea - vi ricordate l'atmosfera che si respirava all'indomani del referendum britannico - e, tutto sommato però, rassegnarsi all'idea che si va avanti con quello che c'è, per piccoli passi, alla velocità che in fondo è dettata dagli ultimi vagoni del treno europeo cioè da quei Paesi che insistono moltissimo nel sottolineare che non vogliono alcuna ulteriore iniziativa europeista perché dell'Europa vogliono avere soltanto alcuni vantaggi, che in alcuni casi sono molto cospicui - penso ai fondi e ai finanziamenti europei -, ma non vogliono avere, dal punto di vista delle regole, la condivisione di impegni, di valori e di obiettivi comuni.

Noi siamo dalla parte di chi dice “più Europa” e non dalla parte di chi dice “contrapponiamo il nostro Paese all'Europa” (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Detto questo, su questo piano saranno prese nella riunione di domani e dopodomani alcune decisioni significative; ci saranno passi in avanti ulteriori su uno dei temi su cui procediamo con l'integrazione europea, e facciamolo anche al limite anche accettando diversi livelli di integrazione tra diversi gruppi di Paesi: il tema della difesa comune, sul quale si faranno certamente passi in avanti che sono già nel comunicato finale dell'incontro di Bruxelles.

Si faranno passi in avanti sulla richiesta - peraltro una richiesta italiana e francese - relativa alla web tax, nel senso che verrà formalmente dato incarico al Consiglio di esaminare le proposte della Commissione per prendere una decisione europea sulla web tax. Ciò naturalmente non solo non esclude ma in qualche modo costituisce un ombrello europeo per valutazioni, discussioni, decisioni dei singoli Parlamenti nazionali.

Tuttavia deve essere chiaro, anche se le questioni economico-finanziarie non sono all'ordine del giorno del Consiglio europeo di domani e dopodomani, che certo debbono essere fatti passi avanti sulla difesa, certo passi avanti sul digitale ma sulla grande discussione di come il maggiore impegno europeo diventi un impegno per un'Europa della crescita e del lavoro, devo dire che i passi in avanti sono tutti da fare. La situazione è tale che il confronto europeo tra posizioni diverse resta aperto ed è un capitolo fondamentale nel quale il Paese deve presentarsi, se possibile, unito e comunque forte nelle proprie determinazioni. Infatti credo che siamo ancora lontani dalle idee che l'Italia ha sostenuto in questi anni e che traducono il concetto di una politica comune per la crescita e lo sviluppo, il lavoro, gli investimenti in diverse proposte specifiche che vanno da meccanismi di assicurazione comune in Europa contro la disoccupazione: naturalmente in caso di shock asimmetrici e non come sostituzione di uno strumento per la disoccupazione nazionale con uno strumento europeo ma, in caso di shock asimmetrici che colpiscano singoli Paesi dell'Eurozona, uno strumento dell'Unione sarebbe assolutamente fondamentale.

Così come proponiamo da tempo un impegno dell'Unione europea sui cosiddetti beni comuni europei, magari in una prima fase limitandosi a sottrarne il finanziamento al calcolo del deficit e del debito e, in una seconda fase, arrivando a un finanziamento europeo dei beni comuni europei.

Così come, quando pensiamo al Fondo monetario europeo o pensiamo al Ministro dell'economia comune all'Eurozona, lo pensiamo non certo come all'istituzione di una sorta di revisore dei conti dell'Unione che va a mettere il naso nei conti e nei bilanci dei diversi Paesi nell'ottica cosiddetta di prevenzione del rischio, un'ottica nella quale il tema dei deficit prevale sempre sul tema dei surplus, ma lo pensiamo nell'ottica di un rapporto politico con l'Eurozona, di un rapporto democratico con il Parlamento europeo, della capacità delle nuove istituzioni di essere trainanti di uno sviluppo e di una crescita dell'Europa.

Non sono proposte soltanto italiane: costituiscono anzi lo sfondo di una discussione che si è fatta in Estonia e che proseguirà, ripeto, nello sfondo perché non è questo il tema all'ordine del giorno, ma deve essere molto chiaro, dal nostro punto di vista, che tutta la discussione sul futuro dell'Unione non può tradursi in una sorta di azione parallela all'ombra della quale vengono avanti decisioni pratiche e operative che vanno in una direzione diversa da quella da noi auspicata.

Il dibattito sul futuro dell'Unione è un dibattito di sostanza, non è la cornice dentro la quale prendere decisioni in direzioni diverse come quando ad esempio - è capitato alcune settimane fa - alcuni organi di vigilanza adottano decisioni circa i ritmi di smaltimento dei crediti deteriorati o potenzialmente deteriorabili delle banche che sono decisioni non del tutto interne al percorso che la Commissione e il Parlamento europeo su questi stessi temi avevano messo in campo. Quindi ho trovato molto ragionevoli le osservazioni che il Presidente del Parlamento europeo ha fatto sulla questione anche dal punto di vista, per così dire, della procedura politico-democratica nel campo dell'Unione. Insomma non deve esservi una cortina fumogena in cui si parla per settimane o per mesi del Ministro delle finanze o del Fondo monetario europeo mentre, nel frattempo, a livello tecnico vanno avanti sempre le solite logiche che abbiamo visto essere state logiche che hanno addirittura rischiato di frenare lo sviluppo e la crescita europea in questi anni, anziché di incoraggiarla.

Il dibattito e il confronto nel Consiglio avrà come altro punto fondamentale all'ordine del giorno, oltre al futuro dell'Unione, il tema migratorio. Credo che siamo tutti consapevoli di quanto la questione sia al centro dell'interesse dei nostri concittadini europei e credo e siamo anche consapevoli che l'Italia si presenti al dibattito sulle questioni migratorie, come sempre ma in modo particolare in questa occasione e in questa fase, come un Paese orgoglioso di poter dare il buon esempio, orgoglioso di poter mostrare i risultati di quello che abbiamo portato avanti. Infatti, da un lato, l'Italia è stata e continua ad essere il Paese più impegnato dal punto di vista umanitario, nel salvataggio di vite umane in mare, il Paese che, come ha detto nel suo discorso sullo stato dell'Unione il Presidente Juncker, ha salvato l'onore dell'Europa e, dall'altro, il Paese che è riuscito con le sue politiche attive, in particolare negli ultimi mesi, ad assestare un colpo molto rilevante al predominio assoluto dei trafficanti di esseri umani nella rotta del Mediterraneo centrale.

Ritengo che, da questo punto di vista, i risultati non solo vadano rivendicati con orgoglio, ma ci consentano anche nel contesto dell'Unione europea di essere molto esigenti nei confronti degli altri Paesi, oltre che dell'Unione. Abbiamo con il nostro lavoro contribuito a ridurre i morti in mare, e questo credo sia sempre un fattore di orgoglio per un Paese, e abbiamo contemporaneamente, in modo molto significativo, ridotto il numero di arrivi irregolari nelle nostre coste e nel nostro Paese. Come sapete, dal 1° gennaio al 17 ottobre gli arrivi l'anno scorso erano stati 146 mila, quest'anno sono stati 110 mila, e questa diminuzione è stata particolarmente marcata, drastica nel corso dell'estate, dove il calo degli sbarchi nelle nostre coste è stato particolarmente rilevante. È il risultato di un'azione complessa che il Governo ha portato avanti insieme a tante delle proprie strutture, dalla diplomazia alla Guardia costiera al Ministero degli interni, e le diverse componenti del nostro sistema di sicurezza. È derivato dalle intese che siamo riusciti a fare con le organizzazioni non governative, coinvolgendole nella battaglia contro i trafficanti di esseri umani, dalle intese bilaterali che abbiamo fatto con le autorità libiche, con al-Sarraj ma anche con tante altre componenti del variegato mosaico delle autorità libiche....dal maggiore sostegno che abbiamo dato alle organizzazioni delle Nazioni Unite, sia quelle dei rifugiati che quelle dei migranti, impegnate sul terreno in Libia.

Ora noi dobbiamo riconoscere che questi risultati sono molto positivi, perché ci consentono una transizione graduale, che è necessaria, da una migrazione completamente incontrollata, e quindi con elementi di pericolosità sia per chi attraversa il mare e sia potenzialmente per l'impatto sociale che può avere nel nostro Paese, all'unico modello alternativo a questo: che non è il modello dell'eliminazione del problema migratorio, come qualcuno può raccontare o illudersi di poter raccontare, ma che è la transizione dal modello irregolare gestito dai trafficanti di esseri umani a un modello civile, organizzato, gestibile sul piano sociale e umanitario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Misto). Questo è l'obiettivo per il quale abbiamo lavorato, e questo a testa alta io credo è quello che possiamo rivendicare in Europa.

Un'Europa che su questo terreno non possiamo dire si sia impegnata all'altezza di quelle che sarebbero le sue potenzialità, oltre che le proprie tradizioni di civiltà. Abbiamo avuto senz'altro un sostegno rilevante da parte della Commissione europea, e dobbiamo dargliene atto; abbiamo la collaborazione di alcuni grandi Paesi, come, soprattutto, la Germania e la Francia, ma dobbiamo imporre il concetto che i Paesi in prima fila nell'accoglienza dei migranti che vengono dal mare, e quindi in particolare l'Italia, la Grecia, forse la Spagna in un futuro, e comunque con qualche elemento significativo già adesso anche la Spagna, devono essere coinvolti e aiutati dall'insieme dei Paesi europei. L'idea di scaricare su questi singoli Paesi il peso dei flussi migratori nelle correnti che dall'Africa o del Medioriente attraversano il mare per andare in Europa, è un'idea non solo sbagliata sul piano etico, ma completamente illusoria sul piano politico.

E vorrei dire a chi si rallegra o addirittura si entusiasma per l'affermazione di questa o quella posizione - oggi è di moda chiamarla sovranista - ai confini con il nostro Paese, che si rallegra o si entusiasma per qualcosa che va contro gli interessi del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Misto), perché il moltiplicarsi delle posizioni polemiche contro l'Italia, il moltiplicarsi degli atteggiamenti egoistici di chi sigilla frontiere invece di cooperare ad una politica comune sul tema dell'immigrazione, non è un vantaggio per l'Italia, è qualcosa che tutti insieme dovremmo contrastare sul piano politico e diplomatico, ed è un impegno che credo il Parlamento potrebbe e dovrebbe insieme condividere.

Dunque la battaglia che in parte si è già tradotta in alcuni risultati, nella dichiarazione conclusiva del Consiglio europeo, ma che continueremo a fare domani e dopodomani, è perché sul piano economico e sul piano del sostegno concreto ad alcuni obiettivi fondamentali che sono nell'interesse di questa politica di regolazione dei flussi migratori, ci sia da parte dei Paesi membri dell'Unione europea, oltre che della Commissione, un impegno maggiore. Abbiamo bisogno di più risorse e di più presenza, di organizzazione umanitaria nei campi in Libia, perché è ovvio che la capacità delle autorità libiche di controllare meglio le proprie frontiere ha giustamente acceso i riflettori dell'opinione pubblica sulle condizioni umanitarie in quel Paese. A questo si risponde in un modo solo, e cioè moltiplicando la presenza, le risorse e l'impegno umanitario per garantire condizioni decenti in quelle situazioni. Abbiamo bisogno di risorse per le comunità locali; abbiamo bisogno di risorse alle autorità libiche e alle organizzazioni internazionali delle Nazioni Unite per i rimpatri dalla Libia verso i Paesi africani di origine.

Questo impegno non può immaginare che i risultati straordinari ottenuti dall'Italia in questi mesi possano durare per sempre senza una collaborazione comune; e quindi il nostro dovere è quello di trasmettere all'insieme dei Paesi europei, e non basta la Commissione, la sensazione di un'urgenza, perché se non si collabora tutti a questo obiettivo, l'obiettivo che dovrebbe interessare tutti, e cioè di avere flussi più umani, più regolari e meno drammaticamente pericolosi e più socialmente accettabili, non sarà un obiettivo raggiungibile con le sole energie dell'Italia.

Se su questo si discuterà principalmente, non vorrei tacere dell'ultima questione rilevante (poi ce ne sono altre che forse avremo altre occasioni per approfondire) che sarà nella discussione di domani e dopodomani, e che è l'atteggiamento dell'insieme dell'Unione europea nei confronti del Regno Unito e della trattativa in corso su Brexit.

Credo sappiate tutti che questa discussione è una discussione che ha avuto uno sviluppo non facile, mettiamola così. L'Unione europea ha impostato con il consenso unanime dei 27 la trattativa con il Regno Unito sostanzialmente definendo due fasi di questa trattativa: una prima fase, che è la fase in cui si discute dei soldi che il Regno Unito deve restituire all'Unione europea per gli impegni di bilancio presi in questi anni e per i prossimi, si discute dello status dei cittadini degli altri Paesi europei nel Regno Unito, dei loro diritti, del trattamento che avranno, si discute delle relazioni tra il Regno Unito e un altro Paese che resta nell'Unione europea e che è l'Irlanda, e che come sapete ha un confine in comune con l'Irlanda del Nord e quindi con il Regno Unito.

L'impostazione che è stata data al negoziato dall'Unione è che senza passi in avanti significativi su questi tre dossier, l'aspetto finanziario, i rapporti con l'Irlanda e lo status dei cittadini degli altri Paesi membri nel Regno Unito, senza passi avanti su questo, è difficile passare alla seconda fase, e cioè alla discussione di quali potranno essere in futuro le relazioni tra il Regno Unito e l'Unione europea.

Naturalmente sappiamo che il Governo guidato dalla Primo Ministro Theresa May, con la quale ho parlato ieri sera di queste questioni, preferirebbe buttare un po' il cuore oltre l'ostacolo e passare già alla discussione dei rapporti futuri, senza dover essere indotta a prendere impegni economici sui cittadini prima di aver delineato i rapporti futuri con l'Unione. Io credo che noi dobbiamo mantenere, come Italia, un atteggiamento che certamente è un atteggiamento collaborativo, non abbiamo nessun interesse a mettere in difficoltà un Paese amico e alleato come la Gran Bretagna, ma un atteggiamento che tuttavia ribadisce il fatto che abbiamo bisogno, per passare (magari anche già nel prossimo Vertice del Consiglio europeo di dicembre) a discutere sugli assetti futuri, di fare dei passi in avanti sui dossier che si stanno discutendo oggi. Non possiamo, pur comprendendo tutte le difficoltà interne che il dopo Brexit ha creato nel Regno Unito, che sono, come sapete tutti, difficoltà enormi, accettare l'idea che di questi tre dossier si parli solo in futuro nell'ambito di una generale discussione sui nostri rapporti.

Passi in avanti e massima disponibilità ad andare poi, già a dicembre, a discutere dei nostri rapporti futuri, sapendo che per l'Italia ci sono questioni commerciali delicate, ma ci sono soprattutto gli interessi delle centinaia di migliaia di italiani che vivono nel Regno Unito e che non possono vedere compressi i loro diritti, perché non è possibile che chi ha diritti acquisiti come cittadino dell'Unione europea, che da tempo vive nel Regno Unito, debba soffrire per una decisione che pure rispettiamo. Se i nostri concittadini diventano quelli che rimettono e che hanno dei danni da queste dinamiche, sarà molto difficile per noi avere un atteggiamento positivo, costruttivo, nel corso di questa discussione.

E, infine, collegato al tema Brexit, e verrà affrontato di sfuggita nel Consiglio europeo di domani e dopodomani, perché la decisione e le votazioni connesse sono affidate ad altri organismi dell'Unione europea, ci sarà comunque, sarà comunque sfiorata, anche la questione del trasferimento delle due Autorità europee che attualmente hanno sede a Londra: l'Autorità sulle banche e l'Autorità sui farmaci. In questo contesto, come sapete, l'Italia è impegnata nella battaglia per la candidatura di Milano a ospitare l'Agenzia europea del farmaco. Una battaglia nella quale io vedo con grande favore il fatto che il Governo, a cominciare dal Ministero degli esteri, ma in tutte le sue articolazioni, la regione, il comune di Milano, il mondo delle imprese di Milano e del settore farmaceutico, sono tutti impegnati a sostenere una candidatura che dai dossier fatti, non da noi, ma dall'Agenzia del farmaco medesima e dalla Commissione europea, risulta tra le due o tre migliori candidate possibili per il trasferimento dell'Agenzia del farmaco. Non sarà una competizione facile con queste altre due o tre città che hanno, diciamo così, capacità competitive molto rilevanti per poter ospitare l'Agenzia del farmaco. Ma il punto politico che io intendo ribadire, anche in sede europea, è che un conto è la competizione tra sedi che hanno già la qualità e la capacità sin dal primo giorno di consentire a un'Agenzia, la cui efficienza è fondamentale per i nostri sistemi sanitari, perfino si potrebbe dire per la salute dei cittadini europei, un conto è la competizione tra queste città, un conto è un malinteso principio di riequilibrio delle Autorità europee nei confronti di Paesi che non ne ospitano nessuna, che è un principio che l'Italia ovviamente, in linea di massima, non contesta, anzi condivide, ma che sarebbe bene, questo principio, seguire per Autorità di nuova istituzione, Autorità che necessitano comunque un lavoro preparatorio. Qui stiamo parlando di trasferire in blocco delle Autorità che funzionano, che hanno un peso rilevante, e che non possono subire delle difficoltà nel loro funzionamento. Ancora una volta, anche in questo caso, emerge in controluce il tema di che cosa noi vogliamo dall'Unione europea. Vogliamo barcamenarci, cercando di tenere in piedi gli equilibri tra le diverse aspettative di 27-28 Paesi diversi, o vogliamo un'Unione europea che metta al primo posto le esigenze, gli obiettivi dei cittadini, il futuro del progetto europeo? Anche in una scelta più limitata come questa, viene avanti la necessità di usare questi mesi pensando al futuro dell'Unione europea e non soltanto alla sopravvivenza di equilibri già esistenti. Vi ringrazio.