Data: 
Martedì, 24 Giugno, 2014
Nome: 
Michela Marzano

Signora Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei ha ragione quando sottolinea che in Europa non c’è più tempo da perdere e che non basta un copia e incolla tecnocratico. Oggi c’è urgenza, c’è molta urgenza, non solo però in termini di rilancio della crescita e del mercato del lavoro. Ciò che oggi è in gioco, signor Presidente, è il futuro di una società che ha più che mai bisogno di riscrivere le regole del vivere insieme: una società che si è nutrita per anni di un'ideologia ultraindividualistica, che, dopo aver cancellato ogni forma di solidarietà e di cooperazione, si rende conto di non essere più in grado di andare avanti perché coloro che si sono persi per strada sono troppi e adesso chiedono il conto di quella esclusione.

 È una questione di valori, è una questione di rispetto, come lei ci ha ricordato. Nel nostro Paese, però, e ce lo ha ricordato più volte la Corte europea dei diritti dell'uomo, i cittadini continuano, di fatto, ad essere distinti in due categorie, da un lato le persone di serie A, i cosiddetti normali, gli eterosessuali, le coppie senza problemi di sterilità, le persone senza disabilità – cittadini protetti dalla legge, perché considerati e trattati come adeguati –, dall'altro lato, i cittadini di serie B, gli omosessuali, i disabili, un popolo di quasi adatti – per utilizzare le parole di Peter Høeg – che dovrebbero smetterla di domandare gli stessi diritti degli altri. Non si può mica volere tutto e il contrario di tutto, pensano ancora alcuni, senza capire che l'uguaglianza dei diritti è proprio l'uguaglianza nella diversità. 
  Stiamo per entrare nel semestre di presidenza italiana eppure, signor Presidente, l'Italia è arretrata. Nonostante gli sforzi fatti in questi ultimi decenni da tante associazioni di donne, LGBT, persone con disabilità e da tutti coloro che difendono un accesso paritario alla democrazia, i pregiudizi persistono, la differenza, anzi, le differenze continuano a far paura, forse perché ci costringono a rimettere in discussione quello che conosciamo o che pensiamo di conoscere, spingendoci a rifiutare ciò che è altro rispetto a noi e alle nostre abitudini. In un grande Paese democratico, però, non ci si può vergognare di quello che si è o di chi si ama; ci si dovrebbe, piuttosto, vergognare di non permettere a tutti, nonostante le differenze, di essere uguali e liberi; non perché l'Europa ce lo chiede, certo, signor Presidente, a chiedercelo è la civiltà; prima o poi bisognerà che l'Italia decida in quale direzione vuole andare, senza più tentennamenti, esitazioni. Sono tantissime le persone che aspettano una risposta, che hanno avuto pazienza e che di pazienza, però, oggi non ne hanno più. Perché c’è sempre qualcos'altro da fare, qualcos'altro di cui occuparsi, qualcosa di più urgente ? Perché ci sono persone che aspettano da una vita di essere riconosciute per quello che sono e che, forse, arriveranno alla fine senza avere ottenuto rispetto e riconoscimento ? È una questione di priorità, ce lo sentiamo ripetere da anni, ma chi pensa che l'uguaglianza dei diritti non sia una priorità, forse dimentica che occuparsi di chi è diverso, ma uguale, in termini di diritti, fa parte del codice genetico della civiltà. 
  Lavoro, occupazione, rilancio dell'economia, certo, ma anche battaglia per l'uguaglianza dei diritti, questioni etiche, pari opportunità affinché tutti siano uguali indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, dal fatto di essere sterili o meno, con disturbi del comportamento alimentare o dipendenze da alcool, con patologie genetiche o psicosi, i due piani non sono in contraddizione, anzi, vanno di pari passo. Ma per questo, signor Presidente, non basta la semplice tolleranza; la tolleranza, diceva Pier Paolo Pisolini, è una forma di condanna più raffinata. Per questo, signor Presidente, serve sensibilità, grandezza morale, audacia, coraggio. 
  Mi avvio alla conclusione con una nota, mi permetterà, signor Presidente, tutta personale: io sono il frutto di quella che si chiama, oggi, meritocrazia. Dopo la Scuola normale superiore di Pisa e il dottorato di ricerca, sono progressivamente, pian piano, negli anni, diventata professore ordinario di filosofia morale in Francia, ma, se sono quella che sono, non è per questo merito accumulato negli anni, è perché le tenebre le ho attraversate e – come scriveva Oscar Wilde – le cose vere della vita non si studiano né si imparano, ma si incontrano. Anche io sono stata diversa, ma oggi so che sono quelle fragilità ad essere la mia forza ed è per questo, signor Presidente, e mi avvio a concludere, che pur essendo eterosessuale considero un dovere morale battermi per i diritti di omosessuali e trans, pur non avendo disabilità fisiche, considero un dovere morale battermi per chi, oggi, nonostante venga designato in modo politicamente corretto come diversamente abile, non ha ancora la possibilità di vivere una vita pienamente degna. Non si possono affrontare con coraggio, ambizione e audacia solo le questioni economiche; quello che oggi le chiedo, signor Presidente, è di mostrare lo stesso coraggio e la stessa ambizione per garantire a tutti e a tutte la stessa dignità.