Data: 
Martedì, 24 Giugno, 2014
Nome: 
Stefano Fassina

Presidente, caro Presidente del Consiglio, avrei voluto rivolgere il saluto anche al Ministro Padoan, che purtroppo non è qui: sarebbe stato importante, invece, che avesse ascoltato la discussione dell'Aula. La sfida della Presidenza italiana non è ottenere per noi o per qualche altro Paese della periferia dell'Europa una deroga sugli obiettivi di finanza pubblica in cambio di riforme; no, la nostra sfida è decisamente più ambiziosa: la nostra sfida è quella di mettere in agenda della Presidenza italiana e, più realisticamente, del quinquennio che abbiamo di fronte i problemi sistemici dell'Europa e dell'eurozona. Mi rendo conto che è facile parlare da qui come è facile scrivere i commenti sui giornali, un po’ più complicato è andare a Bruxelles e cercare il consenso su cambiamenti ambiziosi. Tuttavia, credo che sia utile raccontare come stanno davvero le cose.

 A me non pare che oggi l'agenda che si prospetta per il nostro semestre, per il quinquennio, sia all'altezza della drammaticità delle condizioni e delle prospettive dell'Europa e dell'Eurozona e sia corrispondente alla domanda di cambiamento che è arrivata il 25 maggio. Abbiamo ascoltato in questi giorni valutazioni davvero fantasiose e infondate su quello che i media hanno presentato come una bozza del programma per la Commissione europea che ci avviamo a nominare, è scritto che i nostri Paesi emergono da anni di crisi economica. È scritto anche che stiamo emergendo dalla più grande crisi economica in una generazione e soprattutto è scritto che noi vediamo le riforme produrre risultati. Ecco, io credo che se rimaniamo su questo piano ideologico non riusciamo a costruire un'agenda con una chiara discontinuità e con le risposte di cui abbiamo bisogno. Purtroppo non è così, a sette anni dall'avvio, dalla rottura di quel precario equilibrio che c'era nel 2007, l'Eurozona – e parlo dell'Eurozona, non voglio parlare dell'Italia, perché appunto abbiamo problemi sistemici, non qualche ritardo nostro rispetto al quale chiedere deroghe – dopo sette anni il PIL dell'Eurozona è ancora tre punti al di sotto del 2007, 7 milioni di disoccupati in più, i debiti pubblici continuano ad aumentare ovunque, sono aumentati di 30 punti negli ultimi sette anni, non siamo soltanto di fronte a un disastro economico e sociale, ma a un fallimento dell'obiettivo per il quale le politiche sono state raccomandate. La riduzione del debito pubblico, i debiti pubblici sono aumentati dal 65 al 95 per cento. Non c’è purtroppo nessuna ripresa significativa di fronte a noi, e guardate, la conferma autorevole delle condizioni e delle prospettive è arrivata dalla Banca centrale europea, che mai si sarebbe lanciata in politiche non convenzionali, rispetto alle quali, come sapete, la Bundesbank è radicalmente contraria, se non fossimo di fronte a uno scenario di stagnazione ad altissimo rischio di deflazione, che vuol dire insostenibilità dei debiti pubblici prima ancora che anemia del lavoro e chiusura delle imprese. 
  Allora, davvero lasciamo stare l'eccitazione per l'interpretazione flessibile delle regole come grande risultato perché appunto, come lei ha ricordato, è nelle cose. Concentriamoci sulla variabile vera per invertire la rotta prima che sia troppo tardi, e la variabile vera si chiama domanda aggregata, deve ripartire la domanda, altrimenti la ripresa non c’è, altrimenti il lavoro non si genera, qualunque cosa noi possiamo fare alle regole del mercato del lavoro serve far ripartire la domanda. 
  Allora, tra le tante questioni da affrontare, per ragioni di tempo ne segnalo tre. Serve un piano europeo per gli investimenti produttivi sulle reti dell'energia, sulle infrastrutture, per la ricerca e lo sviluppo, per l'educazione, per la formazione, un piano europeo della dimensione indicata dalla DGB, dagli altri sindacati europei, dal Partito del socialismo europeo, 200 miliardi da investire nel giro di un anno, 18 mesi, 24 mesi, senza cambiare le regole, basta dare alla BEI la possibilità di farlo e alla Banca centrale la possibilità di acquistare. Poi, nonostante sia un tabù, la politica monetaria, nonostante i cambiamenti, non è sufficientemente aggressiva, dobbiamo puntare ad un'inflazione superiore al 2 per cento. Infine, un social compact, la retorica del mercato unico come via allo sviluppo è fallace, serve un compenso orario minimo a livello europeo proporzionato al redditopro capite di ciascun Paese per evitare la concorrenza al ribasso tra i lavoratori. Ecco, solo con un'effettiva discontinuità, al di là della retorica della flessibilità delle regole, noi riusciamo a invertire la rotta, altrimenti l'Europa non ce la fa, l'Eurozona non ce la fa e l'Italia non ce la fa.