Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 12 Ottobre, 2015
Nome: 
Irene Manzi

A.C. 2874

Grazie Presidente, giunge in Aula oggi, come è stato ricordato anche dai relatori, una proposta di legge che nei mesi passati al Senato, in particolar modo, è stata oggetto di una lunga ed approfondita discussione che ha riguardato tanto il mondo politico quanto la comunità storico-scientifica e che mi piace ricordare anche in questa sede. Come è stato ricordato, le condotte che vengono sanzionate dalla norma in questione sono legate all'istigazione pubblica a commettere atti di discriminazione o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi che, nel caso, appunto, del testo di legge, si legano ad una aggravante particolare, l'aggravante legata al fondarsi, questi atti di istigazione, propaganda e pubblico incitamento, alla negazione della Shoah – non di un fatto qualsiasi, ma della Shoah – ovvero dei crimini di genocidio, contro l'umanità e crimini di guerra. 
Una previsione di legge che ricomprende al suo interno condotte che propagandano la negazione alla radice dell'esistenza stessa dell'Olocausto, facendo riferimento, di solito, a quelle dottrine secondo cui il genocidio, ed in particolare – perché il negazionismo si associa storicamente a questo – il genocidio degli ebrei da parte dei nazisti, non è mai avvenuto o, nel migliore dei casi, è stato molto sopravvalutato dagli storici. Condotte che, attenzione, non vengono punite in quanto tali dalla previsione giunta dal Senato come espressione di una opinione, bensì soltanto se tali da concretizzarsi in un comportamento offensivo nei confronti delle vittime, costituendo non una forma di reato autonomo, come originariamente previsto nel testo esaminato dalla Commissione giustizia del Senato. 
È molto importante ricordare, in questa sede, il lungo e approfondito dibattito che si è svolto al Senato, a partire proprio da quelle audizioni di numerosi storici che si sono tenute nelle aule del Senato. Un dibattito che ha consentito, a mio avviso, di migliorare e perfezionare il contenuto della norma. Non si può trascurare, infatti, la perplessità maggiore che era suscitata dal testo originario: il fatto che la norma, attraverso la previsione di una fattispecie di reato autonoma, legata essenzialmente a sanzionare e divulgare l'espressione di una opinione deprecabile e censurabile, ma comunque un'opinione, rischiasse, sostanzialmente, di introdurre, a tutti gli effetti, un vero e proprio reato di opinione, contrastante con le previsioni dell'articolo 21 della Costituzione. 
Ma non solo: un reato di opinione legato essenzialmente alla diffusione e all'interpretazione di fatti storici che rischiava di affidare ai tribunali il compito non certo semplice di decidere e sanzionare tesi ed idee di natura storiografica. Un tema dunque controverso, che chiamava in causa un confine molto sottile, sottilissimo, tra il lecito e l'illecito in ordine all'espressione e alla diffusione delle idee e alla libertà di ricerca scientifica, che ha trovato molteplicità di opinioni all'interno proprio della comunità storico-scientifica. Risulta allora molto interessante la lettura dei resoconti delle audizioni compiute in Senato nel marzo del 2014, con il contributo di importanti e qualificati docenti, divise con argomentazioni molto articolate tra favorevoli e contrari all'introduzione di un autonomo reato di negazionismo, tra chi vedeva contro la negazione di fatti storici e crimini contro l'umanità, ormai inequivocabili ed acclarati, una battaglia da compiere non sul piano penale ma sul piano culturale, attraverso la diffusione della conoscenza, e chi, invece, anche di fronte al prepotente riemergere di sentimenti di xenofobia, antisemitismo ed odio razziale, spesso divulgati, tra l'altro, mediante il web ed i nuovi mezzi di comunicazione, riteneva che in una situazione di emergenza servano strumenti eccezionali di emergenza, poiché – cito proprio le parole della relazione della professoressa Di Cesare – «il negazionismo non è un'opinione come un'altra, piuttosto è una dichiarazione politica, che, attentando alla memoria, vuole pregiudicare il fondamento ed il legame da cui, sulle ceneri di Auschwitz, sono sorte le democrazie europee». Non mancano, tra l'altro, Paesi, anche europei, con cui confrontarsi che hanno introdotto un autonomo reato di nagazionismo (penso alla Germania, alla Francia, all'Austria, al Belgio, alla Spagna, al Portogallo e alla Svizzera) o anche alle numerose disposizioni che la comunità internazionale, dalla Carta delle Nazioni Unite del 1945 alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 sino alla Decisione quadro del 28 novembre 2008 sulla punizione del razzismo e la negazione dei genocidi, ha adottato in questi anni. 
Il dibattito, come si può evincere, è stato molto complesso. Del resto, già nel 2007, l'allora Ministro di Grazia e giustizia, Mastella, aveva tentato di introdurre un reato autonomo di negazionismo nell'ordinamento, salvo poi non proseguire l'iter legislativo a causa delle decadenza della legislatura. Un dibattito che si è diviso sostanzialmente tra il diritto alla libertà di opinione e la repressione, invece, all'abuso della stessa e in cui il Parlamento è stato chiamato a compiere una scelta certo non semplice ma che tentasse di tenere in equilibrio proprio questi due diritti ugualmente fondamentali, quello alla libertà di opinione e quello alla salvaguardia alla diffusione di una memoria e di una verità storica che costituiscono il fondamento stesso dell'Europa e della nostra Italia libera e democratica. Una scelta che ha tenuto positivamente conto, a mio avviso, di quelle perplessità a cui facevo riferimento poco fa. Mi piace citare proprio a questo proposito quanto scritto dalla Società italiana per lo studio della storia contemporanea nella dichiarazione resa in occasione del 70o anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma, il 16 ottobre 2013: Tale norma è ambigua, di difficile interpretazione e di ancora più difficile attuazione. Sulla definizione di genocidio e su quali siano stati i genocidi nella storia – tranne ovviamente qualche caso – non vi è accordo tra gli storici o tra i giuristi e ancora meno c’è accordo su quali vadano considerati crimini di guerra e contro l'umanità. La verità storica non può essere fissata per legge nelle aule dei tribunali, può essere solo raggiunta attraverso una ricerca rigorosa, condotta liberamente dagli studiosi. Le verità ufficiali o di Stato sono sempre pericolose, come insegnano le vicende dei regimi totalitari. 
Notazioni a cui i colleghi senatori, il cui lavoro mi piace evidenziare in questa sede per l'accuratezza e la profondità del dibattito che è stato compiuto, hanno tenuto pienamente conto, rivedendo il testo originario e introducendo, in luogo di una figura di reato autonomo, un'aggravante diretta proprio a sanzionare gli atti di propaganda di pubblica istigazione e incitamento fondati in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o di crimini di genocidio, di crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Cambia quindi profondamente il quadro di riferimento complessivo, attraverso la modifica introdotta, tra l'altro, all'articolo 3 della «legge Reale-Mancino», incidendo quindi non sull'opinione o la negazione in quanto tale ma sull'istigazione pubblica verificabile e tale soprattutto da produrre conseguenze, contemperando al suo interno gli altri valori costituzionalmente rilevanti, oltre a quello alla libera opinione, tra cui la tutela delle istituzioni democratiche ed il divieto di qualunque discriminazione. 
Non si può non evidenziare un elemento ulteriore che è contenuto all'interno della norma: quello di menzionare espressamente, e non è un caso, a fianco dei crimini di genocidio e dei crimini contro l'umanità, la Shoah: un fenomeno che necessita giustamente una menzione a parte, per come si intreccia profondamente alla storia del nostro continente e del nostro Paese, per l'orrore assoluto ad esso connesso, per la fredda, burocratica e folle pianificazione legata allo sterminio di popoli e razze considerate inferiori. L'inimmaginabile che si è realizzato, e con cui continuare a fare i conti nel presente, per non dimenticare e per reprimere i germi dell'antisemitismo che torna ad imperversare in Europa, contro cui, più ancora che in passato, la risposta deve essere ferma e senza alibi. 
Ma per fare questo non basta la previsione solo di una legge penale: quella serve a reprimere, e giustamente, il proselitismo di idee sbagliate. Occorre un imprescindibile lavoro culturale, che dalla scuola al mondo accademico alle istituzioni, siamo chiamati a compiere. Un lavoro culturale che poggi sulla diffusione e la divulgazione della memoria, sul racconto di quanto è avvenuto, su come si siano potuti avviare allo sterminio esseri umani, su come ancor prima dell'avvio della «soluzione finale» si siano potuti verificare anche nel nostro Paese fenomeni come le leggi razziali, o tollerare forme di strisciante e diffuso antisemitismo. È quel lavoro culturale che la legge che arriva oggi in Aula ci deve spingere a compiere, perché, come richiamato proprio dalla Società italiana di storia contemporanea e dal suo presidente, Agostino Giovagnoli, nell'audizione tenuta al Senato, oltre agli storici c’è bisogno anche di educatori, filosofi, psicologi, pedagogisti, sociologi; ma anche letterati, artisti, e pure politici e parlamentari. C’è bisogno insomma di tutti quelli che possono contribuire ad una grande mobilitazione civile e permanente contro l'antisemitismo ed il negazionismo. 
La via maestra per ottenere risultati efficaci contro il negazionismo è costituita dall'insegnamento, dall'educazione, dalla mobilitazione civile a sostegno delle vittime di ieri e di oggi. È un lavoro ed un imperativo che non può lasciarci indifferenti, in un Paese come il nostro che ha vissuto il dramma della guerra, dell'antisemitismo, della Resistenza. 
Lo scorso aprile in quest'Aula abbiamo collettivamente ricordato, con le massime istituzioni dello Stato e con i testimoni di quei giorni, il settantesimo anniversario della nostra Liberazione: che fu, in concreto Liberazione dall'oppressore ma anche dalla barbarie di chi ha pensato di poter cancellare e negare l'esistenza di uomini, donne e bambini. Alle immagini di quest'Aula mi viene da pensare in questo momento, e alla scelta che come legislatori compiamo attraverso la legge che approveremo nei prossimi giorni: una scelta netta ed importante di rispetto e riconoscenza verso le vittime ed i testimoni dell'Olocausto. E di impegno: impegno a farci testimoni a nostra volta di quanto è stato, educando, divulgando la verità, reprimendo qualunque azione diretta a istigare o a propagandare il falso, la violenza, l'odio. Tutto ha avuto inizio sottovalutando l'odio: è un errore che non possiamo più permetterci, e su cui dobbiamo costantemente vigilare. 
Prima di concludere c’è una persona, ormai scomparsa, a cui penso sia importante dedicare questa legge; l'ha già citata il collega Walter Verini. Sto parlando proprio di Shlomo Venezia, l'unico italiano impiegato nel Sonderkommando nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau: i Sonderkommando dovevano ripulire dai cadaveri le camere a gas, caricarli sui carretti e poi cremarli nei forni. Sopravvissuto alla deportazione e alla prigionia, Shlomo raccontò nelle proprie opere letterarie e poi con la propria testimonianza, durante i tanti viaggi della memoria cui prese parte, la drammatica e incancellabile esperienza dei campi di sterminio, contribuendo a portare a conoscenza del mondo intero la tragedia di cui era stato uno fra i pochissimi superstiti. 
Ebbene, in occasione della sua morte, nell'ottobre 2012, siti e forum legati al negazionismo italiano hanno scatenato una vera e propria offensiva contro la sua persona, pubblicando affermazioni violente contro la sua memoria e di quanti hanno vissuto in prima persona il folle piano nazista di sterminio del popolo ebraico. Perché azioni come quelle siano severamente perseguite e perché non debbano più verificarsi, la legge che oggi arriva in Aula offre all'ordinamento uno strumento in più per agire. A Shlomo Venezia e ai testimoni dell'orrore umano penso sia giusto rivolgere un pensiero in questo momento, per riaffermare ancora una volta ed in modo sempre più convinto che questo è stato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).