Relatore per la maggioranza
Data: 
Lunedì, 21 Luglio, 2014
Nome: 
David Ermini

A.C. 2496-A

Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, introduce una serie di misure relative alla situazione carceraria. Ricordo che l'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dedicato alla proibizione della tortura, stabilisce che nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti. 
  La violazione dell'articolo 3 è alla base di numerose decisioni di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo relative alle condizioni di detenzione. Con la sentenza pilota Torreggiani contro Italia dell'8 gennaio 2013, la Corte europea ha certificato il malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano, accertando nei casi esaminati la violazione dell'articolo 3 della Convenzione a causa della situazione di sovraffollamento carcerario in cui i ricorrenti si sono trovati. 
  La Corte ha deciso di applicare al caso di specie la procedura della sentenza pilota, ai sensi dell'articolo 46 della Convenzione ed ha ordinato alle autorità nazionali di approntare, nel termine di un anno dalla data in cui la sentenza in questione sarebbe divenuta definitiva, le misure necessarie che avessero effetti preventivi e compensativi e che garantissero realmente una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario in Italia. 
  Sulla questione carceraria, il 7 ottobre 2013, il Presidente della Repubblica ha quindi trasmesso alle Camere un messaggio, sui cui temi la Commissione giustizia ha presentato una relazione sulla questione carceraria, che è stata discussa il 4 marzo 2014 dall'Assemblea: quest'ultima ne ha condiviso i contenuti, approvando una risoluzione. Successivamente, il termine annuale previsto dalla CEDU è spirato il 28 maggio 2014. 
  Nelle more dell'adozione delle misure sul piano nazionale, la Corte ha però disposto il rinvio dell'esame di altri ricorsi presentati, ma non comunicati, aventi come oggetto unico il sovraffollamento carcerario in Italia. 
  Allo scopo di ridurre il sovraffollamento ed approntare una serie di misure organiche che potessero soddisfare le richieste della CEDU, sono in particolare intervenuti i decreti-legge n. 78 del 2013 e n. 146 del 2013, nonché la legge n. 67 del 2014. L'insieme di questi provvedimenti, uniti alle misure di edilizia penitenziaria previste dal piano carceri, ha portato il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, nella decisione del 5 giugno 2014 sull'esecuzione della citata sentenza Torreggiani, a valutare positivamente gli interventi del Governo italiano per migliorare la situazione carceraria e a rinviare al mese di giugno 2015 un'ulteriore valutazione sui progressi fatti nell'attuazione delle misure italiane per affrontare il problema del sovraffollamento carcerario. Il Comitato ha, tra l'altro, preso atto con interesse «del rimedio risarcitorio immaginato per mezzo di un »imminente« – perché non ancora licenziato dal Consiglio dei ministri – decreto-legge del Governo in materia». 
  Passando all'esame delle disposizioni del provvedimento, si osserva che l'articolo 1, comma 1, inserisce nell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) l'articolo 35-ter, attraverso il quale si attivano, a favore di detenuti e internati, rimedi risarcitori per violazione dell'articolo 3 della Convenzione EDU. La nuova disposizione aggiunge alle competenze del magistrato di sorveglianza l'adozione di provvedimenti di natura risarcitoria e stabilisce che – quando l'attuale e grave pregiudizio all'esercizio dei diritti del detenuto consista in condizioni di detenzione che violino l'articolo 3 della Convenzione EDU (si è, quindi, in presenza di condizioni inumane e degradanti) come interpretato dalla giurisprudenza CEDU – il magistrato di sorveglianza, su istanza del detenuto o del difensore munito di procura speciale, debba compensare il detenuto con l'abbuono di un giorno di pena residua per ogni 10 giorni durante i quali vi sia stata la violazione. 
  Il magistrato di sorveglianza liquida, invece, il richiedente con una somma di 8 euro per ogni giorno trascorso in carcere in condizioni inumane e degradanti nei seguenti casi: a) il residuo di pena da espiare non permette l'attuazione della citata detrazione percentuale, perché, ad esempio, sono più numerosi i giorni da abbonare a titolo di risarcimento che quelli effettivi residui da scontare; b) quando il periodo detentivo trascorso in violazione dell'articolo 3 CEDU sia stato inferiore a 15 giorni. Per coloro che hanno trascorso il periodo di custodia cautelare non computabile nella pena da espiare, ad esempio, perché sono stati poi assolti, ovvero per coloro che  hanno già espiato la pena carceraria, l'istanza risarcitoria può essere avanzata, entro sei mesi dalla cessazione della custodia o della detenzione, davanti al tribunale del distretto nel cui territorio hanno la residenza. Il tribunale distrettuale, con procedimento camerale, decide in composizione monocratica con decreto non reclamabile. Anche in tal caso, il quantum del risarcimento è di 8 euro per ogni giorno in cui si è subito il pregiudizio. 
  Il comma 2 modifica l'articolo 68 dell'ordinamento penitenziario, con la finalità di consentire ai magistrati che esercitano funzioni di sorveglianza di essere affiancati, con compiti meramente ausiliari, da assistenti volontari, che svolgono l'attività a titolo gratuito. La disposizione, inserendo un ulteriore periodo al comma 4, ripropone nel settore della sorveglianza quanto già previsto dall'articolo 78 dell'ordinamento penitenziario per gli assistenti volontari nelle carceri. 
  Faccio presente che nel corso dell'esame in Commissione, con riferimento ad una condizione apposta al parere della I Commissione, il rappresentante del Governo ha chiarito, in merito alla quantificazione del risarcimento in forma pecuniaria, che dall'esame delle sentenze della Corte EDU in tema di condizioni detentive configurabili come trattamento inumano o degradante è emerso che la determinazione dell'equa riparazione si assesta, in media, nella misura di circa 20 euro pro die. Su tale premessa si è poi preso atto che, nella materia della cosiddetta legge Pinto (legge 24 marzo 2001 n. 89), ossia l'equa riparazione per il danno conseguente all'irragionevole durata del processo, la Corte EDU ha valutato positivamente la decisione del giudice nazionale di determinare l'ammontare dell'indennizzo nella misura del 45 per cento di quanto, sempre in media, assegnato dalla stessa Corte, tenendo conto anche del fatto che il rimedio risarcitorio interno interviene necessariamente con maggiore tempestività, ben prima che si possa esercitare il rimedio sussidiario del ricorso a Strasburgo. Si è così ritenuto di poter determinare in 8 euro pro die la misura dell'equo risarcimento in favore dei detenuti, commisurata appunto a quanto comunemente stabilito dalla Corte EDU. 
  Per quel che attiene al quantum di riduzione di pena in rapporto al numero dei giorni trascorsi in condizioni di  detenzione inumane o degradanti, è da osservare che la Corte EDU, pur evidenziando l'opportunità di tale misura nella sentenza Ananyev contro Federazione Russa (sentenza 10 gennaio 2012, paragrafo 225), non ha mai avuto modo di fissare un parametro. Si è pertanto ritenuto che la considerazione di un 10 per cento del periodo di detenzione costituisca adeguata riparazione di carattere non pecuniario, ai sensi di quanto previsto dalla Corte di Strasburgo nel contesto della riparazione.  I quindici giorni minimi previsti per poter considerare il trattamento in violazione dell'articolo 3 della Convenzione rispondono, invece, all'esigenza che si consolidi quella soglia di gravità che la Corte EDU ritiene indispensabile perché si possa riconoscere una violazione di un principio inderogabile della Convenzione. La Corte EDU, infatti, nella sua giurisprudenza, esclude le situazioni transitorie e di brevissima durata. Il Governo ha poi ritenuto di prevedere una forbice, con un minimo e un massimo, della possibile misura risarcitoria, in ragione del fatto che la violazione di un diritto fondamentale, assistito dal divieto di trattamento inumano o degradante, non è valutabile secondo un metro di gradazione se non in relazione alla durata temporale della violazione medesima. Anche alla luce del chiarimento del Governo, può dunque essere considerato congruo il quantum delle misure risarcitorie previste dal provvedimento in esame. 
  L'articolo 2 detta disposizioni transitorie per l'applicazione della nuova disciplina risarcitoria introdotta dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge. In particolare, il comma 1 disciplina il caso di coloro che abbiano già espiato la pena detentiva o che non si trovino più in custodia cautelare in carcere prevedendo che debbano, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, proporre l'azione per il risarcimento davanti al tribunale del distretto di residenza. Si osserva che tale ipotesi sembrerebbe riguardare i casi in cui sia già spirato il termine semestrale per proporre l'istanza di risarcimento davanti al tribunale distrettuale (vedi articolo 35-ter, comma 3, OP; articolo 1, comma 1 del decreto-legge). Il comma 2 dispone in ordine a coloro che abbiano già presentato un ricorso alla Corte EDU per violazione dell'articolo 3 della Convenzione, dando loro sei mesi di tempo (dal 28 giugno 2014) per eventualmente presentare, prima che la Corte EDU stessa si pronunci sulla ricevibilità del ricorso, richiesta di risarcimento al tribunale distrettuale, ai sensi del nuovo articolo 35-ter dell'ordinamento penitenziario. Presupposto di ammissibilità della richiesta è l'indicazione della data di presentazione del ricorso alla Corte di Strasburgo (comma 3). Spetterà alle cancellerie dei tribunali distrettuali comunicare al Ministero degli affari esteri le domande presentate nel periodo di sei mesi indicato dal comma 2. 
  L'articolo 3 integra il contenuto dell'articolo 678 del codice di procedura penale, relativo al procedimento di sorveglianza, prevedendo, in relazione a provvedimenti che attengano a rapporti di cooperazione giudiziaria, specifici obblighi di comunicazione a carico degli uffici giudiziari di sorveglianza e del Ministro della giustizia. In particolare, il nuovo comma 3-bisdell'articolo 678 del codice di rito prevede che, se il magistrato o il tribunale di sorveglianza adottano provvedimenti che incidono sulla libertà di persone che siano state condannate da tribunali o corti penali internazionali, devono immediatamente comunicare la data dell'udienza e trasmettere la relativa documentazione al Ministro della giustizia. Quest'ultimo dovrà a sua volta informare il Ministro degli affari esteri; la Corte che ha pronunciato la condanna, se previsto dagli accordi internazionali. La relazione illustrativa motiva questa disposizione con alcune doglianze rappresentate da tribunali e corti penali internazionali e riguardanti la mancata comunicazione della pendenza di procedimenti incidenti sullo stato di libertà personale di soggetti condannati da questi organismi e detenuti in Italia. 
  L'articolo 4 disciplina la procedura da seguire quando la misura della custodia cautelare in carcere viene sostituita dal giudice con la misura cautelare degli arresti domiciliari. Rispetto alle disposizioni previgenti, il nuovo articolo 97-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale stabilisce come regola che l'imputato lasci il carcere e si rechi presso il domicilio senza accompagnamento (cioè senza scorta); disciplina l'eccezione, ovvero l'accompagnamento, quando il giudice ritenga sussistere esigenze processuali o di sicurezza. Il comma 3 della disposizione in esame stabiliva che, ove fossero prescritti strumenti di controllo elettronico (il cosiddetto braccialetto elettronico) ma gli stessi non fossero materialmente disponibili, l'indagato resta in carcere in attesa che la polizia li metta a disposizione (la mancanza del dispositivo deve essere segnalata al direttore del carcere e, a seguito della segnalazione, il giudice può differire l'esecuzione della misura). Tale disposizione, che era prevista nel decreto, è stata soppressa nel corso dell'esame in Commissione, perché si è ritenuto che presentasse dei dubbi di legittimità costituzionale, dal momento che faceva dipendere l'efficacia di un provvedimento giurisdizionale sulla libertà personale da un provvedimento amministrativo di carattere organizzativo, senza peraltro inserire neanche un termine. 
  L'articolo 5 estende l'applicazione delle disposizioni sull'esecuzione dei provvedimenti limitativi della libertà personale nei confronti di minorenni e anche a coloro che, pur maggiorenni, non abbiano ancora compiuto 25 anni. 
  Attraverso la modifica dell'articolo 24 delle disposizioni di attuazione del procedimento penale minorile (decreto legislativo n. 272 del 1989), il decreto-legge prevede che tanto l'esecuzione di una pena detentiva quanto l'esecuzione di una misura di sicurezza o di una sanzione sostitutiva, ovvero l'esecuzione di una misura cautelare, siano disciplinate dal procedimento minorile e affidate al personale dei servizi minorili se l'interessato, pur avendo commesso il reato (o il presunto reato) da minorenne, non abbia compiuto 25 anni al momento dell'esecuzione della misura restrittiva. La disposizione previgente consentiva il protrarsi della disciplina dettata per i minorenni fino al compimento dei 21 anni di età. 
  La relazione illustrativa motiva questa disposizione con esigenze sia di deflazione della popolazione carceraria che di differenziazione del trattamento rieducativo nei confronti di soggetti in giovane età. Non si tratta, infatti, di una mera esecuzione delle misure previste per gli adulti in strutture pensate per i minori, ma più in generale, in base al comma 2 dell'articolo 24, dell'applicazione a tutti coloro che non abbiamo compiuto 25 anni di istituti pensati esclusivamente per i minorenni. 
  Nel corso dell'esame in Commissione, peraltro, si è ritenuto necessario prevedere un temperamento alla norma, nel senso si che estende l'applicazione delle disposizioni sull'esecuzione dei provvedimenti limitativi della libertà personale nei confronti di minorenni anche a coloro che, pur maggiorenni, non abbiano ancora compiuto 25 anni, sempre che, per quanti abbiano già compiuto il venticinquesimo anno, non ricorrano particolari ragioni di sicurezza valutate dal giudice competente, tenuto conto altresì delle finalità rieducative. 
  L'articolo 5-bis (Disposizioni in materia di attribuzione di funzioni a magistrati), inserito dalla Commissione, stabilisce che con un provvedimento motivato il Consiglio superiore della magistratura, ove alla data di assegnazione delle sedi ai magistrati ordinari nominati con il decreto ministeriale 20 febbraio 2014 sussista una scopertura superiore al 20 per cento dei posti di magistrato di sorveglianza in organico, può attribuire esclusivamente ai predetti magistrati (in deroga all'articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni) le funzioni di magistrato di sorveglianza al termine del tirocinio, anche antecedentemente al conseguimento della prima valutazione di professionalità. Si è voluto, in questo modo, porre rimedio alla specifica carenza di organico della magistratura di sorveglianza, a fronte dei nuovi compiti attribuiti con questo e con i precedenti interventi normativi. 
  L'articolo 6 reca alcune specifiche modifiche in materia di ordinamento della polizia penitenziaria, contenute nel decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443. Il comma 1 riduce la dotazione organica del ruolo degli ispettori del Corpo di polizia penitenziaria ed aumenta la dotazione organica del ruolo degli agenti ed assistenti. Come precisato nella relazione illustrativa, con l'istituzione nell'anno 2000 del ruolo direttivo del Corpo di polizia penitenziaria i commissari hanno ottenuto funzioni che in precedenza erano svolte dagli ispettori. Tale circostanza rende opportuno rivedere l'organico del ruolo degli ispettori prevedendo una soppressione di 703 posti – numero corrispondente alla dotazione organica complessiva dei commissari – e contestualmente, a parità di copertura finanziaria, aumentare la dotazione organica degli agenti ed assistenti, per adeguare le piante organiche degli istituti penitenziari alle attuali, effettive esigenze. 
  Il comma 2 modifica la durata del corso di formazione degli allievi vice ispettori del Corpo di polizia penitenziaria vincitori del concorso pubblico, prevedendo una riduzione dello stesso da diciotto mesi a dodici mesi, ed una correlativa, proporzionale riduzione del periodo massimo di assenze consentite. Correlativamente, viene previsto che gli allievi possano essere destinati ad impieghi operativi dopo un periodo di corso proporzionalmente ridotto ad otto mesi. 
  Una specifica modifica interessa il comma 2 dell'articolo 27, e stabilisce che gli allievi ispettori di sesso femminile che si assentino dal corso per più di 60 giorni a causa di maternità sono ammessi a partecipare al primo concorso successivo ai periodi di assenza dal lavoro previsti dalle disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri (la norma previgente prevedeva, a tali fini, un'assenza superiore a giorni 90. 
  L'articolo 6-bis riguarda, al comma 1, l'anticipazione del termine di cessazione delle funzioni della figura del Commissario straordinario per il cosiddetto piano carceri, dal 31 dicembre 2014 al 31 luglio 2014, in considerazione dell'attuale emergenza del sovraffollamento carcerario, che era all'origine dell'istituzione di questo organismo straordinario e temporaneo. Il comma 2 prevede che, con decreto regolamentare adottato dal Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sono definite le misure necessarie per assicurare la continuità ed il raccordo delle attività già svolte ai sensi delle disposizioni richiamate nel comma che precede. 
  L'articolo 7 detta disposizioni in materia di comando e distacco del personale dell'amministrazione penitenziaria, in considerazione delle particolari esigenze che caratterizzano l'attuale situazione carceraria. Più nel dettaglio, il comma 1 dispone che, per un biennio a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, il personale appartenente ai ruoli del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non possa essere comandato o distaccato presso altre amministrazioni. La Commissione ha precisato che il personale in questione non possa essere distaccato presso altri Ministeri oltre che presso altre pubbliche amministrazioni. Il comma 2 prevede, inoltre, che i provvedimenti di comando o distacco già adottati e la cui efficacia termini nel predetto biennio non possono essere rinnovati. 
  L'articolo 8 modifica l'articolo 275 del codice di procedura penale, sui criteri di scelta delle misure cautelari, in modo da limitare il ricorso alla custodia cautelare in carcere. In particolare, il provvedimento sostituisce l'articolo 275, comma 2-bis del codice di procedura penale che, prima dell'entrata in vigore del decreto-legge, vietava di disporre la custodia cautelare nel caso in cui il giudice ritenga che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. In base al nuovo comma 2-bis è esteso anche agli arresti domiciliari il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere nel caso in cui il giudice ritenga che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Concludo, signor Presidente, l'esplicito riferimento alla custodia cautelare in carcere – non presente nel comma 2-bis previgente all'entrata in vigore del decreto-legge – fa sì che risultino escluse dall'ambito applicativo della nuova disposizione la custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri e la custodia cautelare in luogo di cura. 
  Si è poi introdotto, nel secondo periodo, il divieto di applicazione della sola custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena irrogata non sarà superiore a tre anni. La Commissione ha ritenuto di circoscrivere l'applicazione di tale disposizione sotto tre profili: in primo luogo, è fatto salvo quanto previsto dall'articolo 275-bis, comma 3 – l'imputato che ha accettato l'applicazione del cd «braccialetto elettronico» è tenuto ad agevolare le procedure di installazione e ad osservare le altre prescrizioni impostegli – e rimane ferma l'applicabilità degli articoli 276, comma 1-ter, codice di procedura penale – in caso di violazione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di non allontanamento, il giudice dispone la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere – e 280, comma 3 codice di procedura penale, nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare. 
  In secondo luogo, il giudizio prognostico del giudice deve avere ad oggetto la pena irrogata. Infine, le disposizioni non si applicano nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli del codice penale: 423-bis (incendio doloso boschivo), 572 (maltrattamenti in famiglia), 612-bis (lo stalking) e 624-bis (furto in appartamento), si tratta, appunto, di reati di particolare allarme sociale; nonché l'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni che si tratta di reati particolarmente gravi come associazione mafiosa, terrorismo, sequestro di persona a scopo di estorsione, reati associativi finalizzati al traffico di droga e di tabacchi, riduzione in schiavitù, tratta di persone, ed altro. E quando, rilevata l'inadeguatezza di ogni altra misura, gli arresti domiciliari non possano essere disposti per mancanza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell'articolo 284, comma 1. Ultimo articolo, l'articolo 9, lo illustro in tre righe, prevede le disposizioni in materia di copertura finanziaria degli oneri derivanti dagli articoli 1 e 2, prevedendo altresì che il Ministro della giustizia provvede al relativo monitoraggio e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Viene altresì previsto uno specifico meccanismo di salvaguardia in ipotesi di scostamento in aumento rispetto alle previsioni di spesa.