Data: 
Venerdì, 4 Luglio, 2014
Nome: 
Roberto Rampi

A.C. 2426-A

Signor Presidente, si è parlato di una svolta rispetto all'attenzione verso la cultura e alla cultura come centro dello sviluppo. Perché questa svolta sia vera bisogna avere consapevolezza di quali sono i nemici che si hanno di fronte. I nemici più palesi sono quelli che sono stati citati più volte, quelli che dicono che con la cultura non si mangia. Sono i nemici più facili da combattere, perché si manifestano. Poi esistono altri tipi di nemici. 
  C’è un nemico pericoloso, quello che pensa che la cultura sia un lusso e magari pensa che questo lusso sia qualcosa di importante, di utile da avere nei periodi in cui ce lo si può permettere, ma nei periodi di difficoltà ai lussi bisogna rinunciare. 
  Noi pensiamo un'altra cosa, pensiamo che la cultura non sia un lusso ma sia una necessità primaria. Anzi, pensiamo che nei momenti di difficoltà, nei momenti di crisi, come la crisi che stiamo attraversando, che sicuramente è una crisi economica ma innanzitutto una crisi di identità, una crisi di senso e una crisi di comprensione del senso del proprio tempo, la cultura sia l'elemento chiave con cui si può uscire dalla crisi. 
  Allora, quando noi pensiamo alla cultura come motore dello sviluppo – e questo provvedimento va in questa direzione – noi pensiamo che da lì occorra ripartire, cioè occorra ripartire nell'investire nella cultura delle persone, innanzitutto, e che il nostro patrimonio culturale, la nostra ricchezza turistica e le opportunità che questo Paese può dare siano il motore vero per ritrovare un senso allo sviluppo del Paese. 
  Si dice che l'eredità che noi abbiamo alle spalle può diventare persino un limite, perché può diventare qualcosa che abbiamo paura di toccare, qualcosa che abbiamo paura di frequentare, invece la nostra eredità deve essere un elemento del futuro, un elemento per guardare avanti, per crescere, un po’ come quello che accadde nel Rinascimento italiano, che forse è stato il momento in cui l'Italia ha dato il massimo di sé, un'epoca in cui si è guardato ai grandi classici del passato con rispetto e con amore; non con timore, ma con l'idea di poterli rinnovare, di poterli reinterpretare. Questa città dove noi siamo oggi nasce grazie a quell'idea. 
  Noi oggi abbiamo bisogno, in Italia e in Europa (siamo nel semestre europeo), di questa idea, di un'idea di rinascimento. E questo rinascimento può passare attraverso un nuovo rapporto con la cultura, pensando che, quando si ragiona in termini di investimento e di sviluppo, si pensa sì all'indotto, si pensa sì a quello che può tornare direttamente, ma è molto più importante quello che torna sul lungo periodo, quello che nella capacità di fare qualunque mestiere, anche quello che può sembrare meno collegato con la cultura, l'investimento culturale produrrà come ritorno.

 È questa la chiave fondamentale, perché su questo si gioca la battaglia che ogni euro speso in cultura è un investimento. E, quindi, anche la battaglia che dovremo fare anche in Europa su come dev'essere calcolato un bilancio dello Stato, è quella di distinguere la spesa dall'investimento, perché questo è il tema fondamentale. 
  E anche sul rapporto con il privato, che è stato detto, noi non abbiamo paura di questa parola. Però, forse varrebbe la pena di tornarci un momento, e pensare se «privato» dipende da di chi è la proprietà, o se è la finalità che va valutata come privata o come pubblica. E, allora, noi pensiamo che chi investe e scommette sul patrimonio di questo Paese, stia facendo un atto pubblico, e per questo gli riconosciamo un credito fiscale – e lo dico rispetto anche ad alcuni degli interventi che ho sentito – mettendo risorse pubbliche, perché non cediamo al privato l'onere o l'onore di investire sul nostro patrimonio, perché con unart-bonus come questo è il pubblico che mette il 65 per cento delle risorse e il privato mette il rimanente 35. Certo, cercando di generare un rapporto virtuoso, e questo sì che è importante ! Perché noi dobbiamo fare in modo che questi investimenti e che queste risorse siano giocate perché generino nuove risorse. 
  Allora, in questo senso, la metafora sbagliata del petrolio, o anche – l'ho sentita oggi – del giacimento d'oro, è sbagliata perché è una metafora che ragiona nel campo dello sfruttamento. Noi non dobbiamo sfruttare il nostro patrimonio: noi lo dobbiamo far fruttare, dobbiamo fare sì che, come nella coltivazione, da un seme si generino piante, e che si generino frutti che generino nuovi semi, e che anche questi generino nuove piante e nuovi frutti. È questo il meccanismo virtuoso con cui noi ci approcciamo alla cultura ! 
  E, allora, in questo senso ci sono diversi elementi di questo provvedimento che vanno in questa direzione. Io credo che, ad esempio, sia molto importante – lo ha citato il collega Benamati – quando intervenendo sulla normativa prevista nell'articolo 13 di «Destinazione Italia», noi attribuiamo al Ministero dei beni culturali, di concerto con quello degli affari regionali, di promuovere quel decreto-legge. Ma perché c’è una forte intuizione in quel provvedimento «Destinazione Italia», e cioè che la coesione territoriale sia uno degli elementi chiave con cui noi possiamo ripartire, e che la coesione territoriale parta dalla capacità di valorizzare il nostro patrimonio. Cioè il nord e il sud del Paese lavorano insieme ! 
  E, ancora, sul concetto di «insieme»: noi abbiamo davanti un provvedimento che mette insieme cultura e turismo, perché l'unica possibilità che abbiamo per aumentare la presenza turistica in Italia, per qualificare la presenza turistica in Italia, per aumentare i mesi in cui l'Italia diventa attrattiva, è il nostro patrimonio culturale ! Perché noi dobbiamo far sì che certe mete che sono percepite solo come mete, ad esempio, di turismo balneare, invece riscoprano la loro reale condizione di mete anche di turismo culturale, e quindi siano spendibili su tutto l'arco dell'anno; oppure dobbiamo far sì che i turisti non si fermino sulle tradizionali e classiche tappe del Grand Tour italiano, ma riescano a scoprire quell'enormità di borghi e di paesi di cui la nostra Italia è fatta. 
  C’è un collega che è andato in Europa, e parlava sempre del suo Sacro Monte di Varallo. Ecco, noi pensiamo che non si debba cadere nei singoli provvedimenti: siamo stati molto rigorosi in questo decreto-legge nel non far inserire singoli provvedimenti; ma come è stato detto anche dalla collega Manzi, abbiamo un progetto nazionale che però può valorizzare, con l'aiuto degli enti locali e partendo dalle esperienze degli enti locali e degli amministratori locali. Lo sono stato anch'io fino a poco tempo fa: noi abbiamo degli straordinari assessori alla cultura in ogni comune, che sono in sintonia con questa filosofia, che si possa accompagnare però dentro ad un progetto più grande. 
  E, allora, in questo senso credo che davvero si sia iniziata una strada nuova. Ho ascoltato con attenzione soprattutto le critiche, perché le critiche vanno ascoltate con attenzione, sono importanti. Noi dobbiamo far tesoro delle critiche, ma uscire da un'idea per cui tutto va male, per cui tutto viene criticato in maniera violenta: c’è un modo, c’è una critica che aiuta il bambino a crescere, e c’è una critica che fa sì che il bambino si demoralizzi e non si muova neanche più dal suo posto. 
  Ecco, l'Italia è un bambino, forse è anche qualcosa in più di un bambino, che ha bisogno di una classe dirigente che gli dica certo che cosa può migliorare, ma che gli dia coraggio verso questo miglioramento. Il nostro patrimonio nasce da quello ! In questo senso io credo che occorra un nuovo Rinascimento. 
  Vado a concludere, Presidente, dicendo questo: nell'ascoltare alcuni degli interventi io mi sono convinto di una cosa, ossia che, anche nel dibattito in Aula, molti ci diranno che, sulle buone intuizioni di questo decreto, qualcosa in più si poteva fare. È a tutti evidente che, con riferimento all’art- bonus in particolare, a tutti noi vengono in mente mille altre occasioni in cui sarebbe giusto, dovuto, utile, efficace, applicare un credito fiscale. Però. noi dobbiamo partire pur da qualche parte e dobbiamo partire anche con il passo giusto. 
  Io sono un appassionato di montagna: chi ha la passione della montagna sa che, se si parte con il passo sbagliato, se si tenta di andare troppo in fretta, se si tenta di allungare troppo il passo alla vetta non si arriva mai. Allora, se noi pensassimo che questo è l'ultimo provvedimento, è chiaro che cercheremmo, sbagliando, di mettere dentro tutto in maniera frettolosa. Invece, noi dobbiamo pensare davvero che è iniziata una nuova strategia e lo dimostrano il susseguirsi di provvedimenti e l'annuncio, che io credo importante, dell'idea di fare una legge quadro, ad esempio, sulla cultura e in particolare, sullo spettacolo, in particolare rivolta a quei lavoratori della cultura, che hanno bisogno del nostro aiuto, perché noi abbiamo bisogno che i tanti talenti e le tante energie italiane trovino un Paese, una normativa che sia a loro di stimolo e favorevole e non un impedimento. 
  Questo è un altro concetto che io trovo importante in questo decreto, che tra l'altro il Ministro ha ripetuto più volte: l'eccesso di legislazione italiana è un problema. Noi abbiamo bisogno di non fare nuove leggi ma di delegificare e quindi abbiamo bisogno di realizzare tutte quelle cose che sono possibili senza una normativa e senza introdurle nelle normative. Molti degli emendamenti che abbiamo rifiutato li abbiamo rifiutati con questa logica e con questo rigore. 
  Io spero, credo, anzi chiedo a tutti noi di impegnarci perché il Senato mantenga questo rigore, perché, nel provvedimento precedente, qualche cosa non è andato esattamente in questa direzione nell'altra Camera. Io credo che questo rigore, che questo nostro atteggiamento ci debba portare a continuare questo tipo di lavoro e ad avere davvero la convinzione che noi stiamo facendo un cammino che va nella direzione di una svolta definitiva rispetto all'approccio della cultura, sapendo che questa battaglia è una battaglia politica di primo ordine, è una battaglia culturale e che dobbiamo aver presente, come dicevo, quali sono i nostri nemici ma dobbiamo pensare che là fuori abbiamo tanti amici e tante persone, che hanno voglia di investire, che giocano ogni giorno il loro tempo, le loro energie come volontari, come imprenditori, come imprese per far davvero ripartire questo Paese, per dargli il ruolo che in Europa merita.