Relatrice per la maggioranza
Data: 
Mercoledì, 1 Aprile, 2015
Nome: 
Donata Lenzi

A.C. 2617-A

Presidente e colleghi, il disegno di legge che mi appresto ad illustrare, probabilmente, almeno a nostro giudizio, è uno dei più importanti provvedimenti di questa legislatura. Il settore è molto ampio, il numero delle persone coinvolte è altissimo e, in ogni caso, questo è un ulteriore tassello di questa fase politica caratterizzata da profondo spirito riformista. 
Il percorso è iniziato il 13 marzo 2014 con la presentazione, da parte del Governo, delle linee guida per la riforma del terzo settore, testo sul quale si è poi aperta una consultazione online, terminata il 13 giugno, cui hanno partecipato mille soggetti, in maggioranza esponenti e rappresentanti di organizzazioni. 
Il disegno di legge governativo del 22 agosto è stato incardinato in Commissione il 1o ottobre, sono stati auditi quarantasette soggetti, tra enti privati e pubblici; la discussione si è svolta in ventiquattro sedute, è stata lunga e approfondita, e ha sicuramente – è nostro convincimento – migliorato il testo, precisando i criteri di delega. Ricordo, infatti, che la legge delega è sempre una cessione di sovranità da parte del Parlamento all'Esecutivo e, quindi, è necessario definirne bene i confini. 
Nell'ultimo censimento dell'ISTAT, adoperando la definizione comune a livello europeo, per cui si considera no profit quello che ha il divieto di distribuzione dei profitti, la rilevazione ha censito 300.191 organizzazioni no profit in Italia, un numero elevatissimo, che impiegano 681 mila addetti, 271 mila lavoratori con contratti di collaborazione od altro, 5 mila lavoratori temporanei, 19 mila lavoratori con mandati o distaccati. Le istituzioni no profit, però, fanno soprattutto perno sull'apporto di 4 milioni 700 mila volontari, a cui si devono aggiungere 40 mila religiosi, 19 mila giovani, allora in servizio civile, numero che contiamo di triplicare. 
Il settore è, quindi, fatto prevalentemente da associazioni culturali, sportive o ricreative (quasi due terzi) e questo sfata l'opinione diffusa che il terzo settore sia solo assistenza, attività di aiuto sanitario o, comunque, sociale. L'assistenza sociale si colloca, sì, al secondo posto, con 25 mila associazioni e altre sono impegnate, invece, nel campo dell'istruzione, della ricerca, sanitario, della coesione sociale, della tutela dei diritti, della difesa dell'ambiente. Tutte sono, comunque, pesantemente presenti nel nostro settore. 
Il 38 per cento ha natura mutualistica, cioè orienta la propria attività a rispondere ai bisogni degli associati, la maggioranza è orientata al benessere collettivo della collettività. Sottolineo un dato, che la stragrande maggioranza di queste associazioni – i due terzi – ha entrate inferiori ai 30.000 euro. Noi ci siamo trovati di fronte sempre al problema di tenere insieme enti che hanno in comune una vocazione sociale e la non distribuzione degli utili, ma che hanno tra di loro dimensioni molto diverse, appunto inferiori a 30.000 euro per la gran parte, mentre alcune sono grandi o grandissime. 
In coerenza con questo, il 66 per cento sono associazioni non riconosciute, il 22 per cento fondazioni, le cooperative sociali sono il 3,7 per cento. Il terzo settore quindi, non è solo assistenza, è fatto di realtà piccole o piccolissime e di alcune grandi, convivono insieme e svolgono attività produttive o non produttive, market o non market. È però un settore in crescita: rispetto al 2001 le organizzazioni non profit sono il 28 per cento in più, i dipendenti sono aumentati del 39 per cento – e parliamo di anni di difficoltà e di crisi – e i volontari del 43 per cento. È quindi giunto il momento di predisporre una legislazione quadro che sostenga e valorizzi questa evoluzione positiva, abbia il coraggio di vederne l'elemento unificante, non si perda – pur conoscendole – nelle mille specificità settoriali, ne colga la capacità di costruire coesione in una società sempre più divisa. 
Il primo compito che si pone alla riforma è quello di mettere ordine a fronte di una moltitudine di leggi, leggine e norme settoriali: non ho qui il tempo di elencarle tutte, mi ci vorrebbe l'intero tempo assegnatomi. Le norme – solo a citazione – vanno da quella del volontariato, cooperazione sociale, ONG, Onlus, eccetera. Si tratta di una normativa importante, ma cresciuta disordinatamente negli anni, al di fuori di un disegno complessivo: quello che qui si vuol fare è disegnare questo quadro di riferimento. Ma cos’è il terzo settore ? In uno stato liberale lo stato deve soprattutto stare fuori dall'ambito della libertà di associazione dei cittadini, lo dice il nostro articolo 18 della Costituzione. I pochi articoli del codice civile che regolavano nel libro primo associazioni e comitati considerati residuali dal legislatore dell'epoca si sono rivelati negli anni un campo aperto per la libertà di associazione. Alcune associazioni, però, assumono una dimensione pubblica del loro agire per i vantaggi che il loro comportamento porta, per la loro capacità coesiva. Di questo si vuole occupare la legge. 
La prima cosa che abbiamo fatto è stato definire il terzo settore, in modo dare ad esso una forte identità. Dopo lunga e approfondita discussione, abbiamo detto che il terzo settore è il complesso degli enti privati costituiti con finalità civiche e solidaristiche che senza scopo di lucro promuovono e realizzano attività di interesse generale, anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale, conseguiti anche attraverso forme di mutualità, in attuazione del principio di sussidiarietà, in coerenza con le finalità statutarie. Non rientrano in questa categoria i sindacati, le associazioni di categoria, i partiti politici. 
Una definizione in positivo, invece che una in negativo – settore no profit –, che cerca di definire anche un confine nel quale non a tutti e non tutti sono meritevoli di attenzione o la richiedono; quindi c’è un campo per la libertà di associazione e uno per gli enti del terzo settore che qui vengono riconosciuti. 
Tralascio quello che riguarda le procedure che sono messe in atto per il recepimento delle direttive, ricordo che la delega si occupa di quattro oggetti: la riforma del libro primo, titolo secondo, del codice civile; la costruzione e definizione di un codice del terzo settore; la riforma dell'impresa sociale e la riforma del servizio civile, che da servizio civile nazionale diventa servizio civile universale. 
Nell'attuale articolo 2 sono fissati come criteri generali la libertà di associazione nel rispetto dei valori costituzionali e la libertà di iniziativa economica e l'autonomia statutaria e ci si pone l'obiettivo di una semplificazione normativa, a fronte dell'ammucchiato e disorganico procedere che ho raccontato prima. L'articolo 3 ha per oggetto la revisione della disciplina del titolo secondo del libro primo – sono tre legislature che si tenta di attuarla – in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro riconosciute come persone giuridiche non riconosciute. 
Si vuole superare l'attuale impianto concessorio, semplificare il procedimento, meglio disciplinare il regime della responsabilità limitata degli amministratori, garantire i diritti dei soci e intervenire ricorrendo alle norme del Libro V – quelle che riguardano l'impresa – quando ci si trova di fronte a fenomeni di fondazioni o associazioni che svolgano rilevanti attività imprenditoriali. 
Il nuovo articolo 4 è quello che dà i criteri per la costruzione del nuovo codice del terzo settore. In questo, il punto fondamentale che qui voglio ricordare è il superamento della molteplicità di tanti registri locali, comunali, regionali, provinciali, nazionali presso il Ministero dello sviluppo economico, piuttosto che presso la Protezione civile, con un unico registro del terzo settore, la cui responsabilità di gestione è posta in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Ovviamente, una gestione di una mole così rilevante di dati comporterà collaborazioni con altri soggetti pubblici, ma, in ogni caso, deve essere chiaro dove sta la responsabilità, chi determina i criteri, chi decide nelle questioni controverse. 
Quel registro diventa la porta di accesso ai benefici fiscali ed è obbligatorio per gli enti del terzo settore che si avvalgono prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici o di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei o che esercitano attività in convenzione o in accreditamento con enti pubblici. Un solo codice del terzo settore, nella cui parte generale ci saranno le norme comuni a tutti e, poi, ci sarà il riconoscimento e lo spazio per ogni singola identità. 
Qui ricordo, inoltre, che, dopo lunga discussione, la Commissione ha voluto disciplinare meglio gli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e di informazione nei confronti degli associati e dei terzi, differenziando, ovviamente, in ragione alla dimensione economica dell'attività svolta; individuare modalità e criteri di verifica periodica dell'attività, e non solo, quindi, basarsi sulle dichiarazioni formali contenute negli atti statutari; inoltre, disciplina i limiti e gli obblighi di pubblicità relativi agli emolumenti, ai compensi e ai corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti dei consigli direttivi. Il coordinamento di questa azione è posto, ovviamente, in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, essendo tanti gli enti, i soggetti e i Ministeri coinvolti. 
L'articolo 5 approfondisce e precisa meglio i criteri della delega inerenti i due campi che, nella nostra mente, sono sempre quelli a cui si pensa quando si parla di terzo settore: quindi, le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale e la loro attività. Nelle prime, rileva la gratuità; nelle seconde, soprattutto, la finalità, lo scopo sociale. 
Si delega il Governo ad intervenire per aggiornare questa normativa, armonizzarla, coordinarla. Viene, inoltre, riconfermato ed ampliato il ruolo dei centri di servizio per il volontariato previsti dalla legge n. 266 del 1991: una grande invenzione, che ha imposto alle fondazioni bancarie il versamento di un quindicesimo dei propri proventi per sostenerne la nascita e la costruzione a livello nazionale. La loro azione è orientata adesso alla formazione, al supporto e anche al sostegno delle attività sul territorio delle associazioni più piccole, in questa nostra preoccupazione di riuscire a tenere insieme sia le realtà più piccole che le realtà grandi ed imprenditoriali. 
I centri di servizio per il volontariato saranno guidati lo stesso, come attualmente è, da organi di coordinamento di livello regionale, ma qui viene chiesto di non comportare spese, come tutto quello che, in questo periodo, stiamo chiedendo a chi viene ad assumere ruoli di questo tipo. 
All'articolo 6 ci si propone l'importante obiettivo di rilanciare l'impresa sociale attualmente già presente nel nostro ordinamento e regolata dal decreto legislativo n. 155 del 2006. Questo è coerente con quanto ci chiede l'Europa, con quanto l'Europa ha voluto fare, onestamente anche su sollecitazione italiana, nella comunicazione della Commissione europea al Parlamento del 2011, nella quale si definisce l'impresa sociale come un attore dell'economia sociale, il cui obiettivo è un impatto sociale positivo; opera sul mercato producendo beni e servizi in modo imprenditoriale, ma destina i propri utili principalmente a realizzare i propri obiettivi sociali ed è gestita in modo responsabile e trasparente. 
Nel testo se ne aggiorna quindi la definizione, in modo coerente con quella europea. Si allentano gli attuali vincoli nel riparto degli utili e alla presenza di rappresentanti di aziende profit e no profit e enti pubblici nel consiglio di amministrazione, sia pure non in ruoli di direzione.
Ovviamente questo è un punto sul quale abbiamo a lungo discusso, perché si tratta di una figura al confine tra il Terzo settore, come lo ho definito prima, ed il mondo imprenditoriale semplicemente detto. Anche raccogliendo quello che è venuto dal parere dell'Autorità garante della concorrenza che ci ha invitato a evitare vantaggi competitivi per le imprese sociali, che falsino il mercato – mentre la Corte dei conti nella sua audizione ha considerato l'impresa sociale fuori dal settore no profit nel momento in cui distribuisca utili – la Commissione ha modificato il testo, ponendo criteri più stringenti. Quindi la distribuzione e la retribuzione degli utili potrà essere fatta solo in analogia con quanto già avviene per le cooperative a mutualità prevalente. 
Inoltre, in coerenza, la nuova formulazione dell'articolo 9, lettera m) esclude la possibilità di considerare tali enti all'interno della dimensione degli enti onlus. L'impresa sociale, come verrà chiarito anche successivamente, è comunque destinataria di un intervento dedicato e ci si augura che possa attirare stanziamenti e finanziamenti di ambito privato. Noi ci auguriamo che questo avvenga e che le condizioni che sono state create permettano ad altri soggetti di avviare un percorso imprenditoriale, magari evolvendo dalle attuali forme associative o di altro genere. 
Abbiamo poi inserito un articolo nuovo, esito della nostra attenzione su una materia, quella del controllo, che era fuori dal contesto iniziale della delega. Abbiamo previsto l'assegnazione delle competenze in materia di vigilanza, monitoraggio e controllo al Ministero del lavoro, in coerenza con l'assegnazione allo stesso Ministero della tenuta del registro unico del Terzo settore, nella convinzione, però, che il primo vero controllo debba essere fatto all'interno delle organizzazioni. Quindi abbiamo previsto all'articolo 4 lettera f) il rafforzamento dei controlli interni e, per le imprese sociali e le cooperative sociali, nell'articolo 6 alla lettera g) un rafforzamento dei collegi sindacali con l'affermazione di criteri di terzietà dei sindaci nominati. 
Verificare e valutare una attività: abbiamo detto che anche questo è un'innovazione. In Europa è comune una cultura della valutazione e della valutazione d'impatto. Da noi solo la valutazione d'impatto ambientale è stata accolta nel nostro ordinamento, mentre in altri Paesi la formazione professionale, l'inserimento lavorativo e le scelte in materia di salute sono soggette a valutazione d'impatto. Abbiamo voluto allora fare un salto di qualità e abbiamo inserito una definizione della valutazione d'impatto sociale, che dovrebbe essere uno strumento in mano agli enti pubblici che finanziano attività sociali e in mano agli enti stessi per valutare e sostenere la propria attività. Quindi nel testo, per la prima volta, abbiamo definito l'impatto sociale come valutazione qualitativa e quantitativa sul breve, medio e lungo periodo degli effetti sulla comunità di riferimento delle attività che sono state svolte. 
All'articolo 8 è prevista la riforma del servizio civile. Ci auguriamo che la delega possa accogliere quello che emerge dalle diverse proposte di legge, che sono state presentate anche in questa legislatura su questo tema molto sentito. Ricordo che quest'anno partiranno in servizio civile quasi 50 mila giovani, dando veramente un segnale di svolta rispetto a quanto è accaduto negli anni precedenti. Sarà possibile, grazie ad accordi in via di elaborazione e con il contributo del sottosegretario Bobba che vi ha attentamente lavorato, anche svolgere proprio attività di servizio civile all'estero. Si definisce finalmente lo stato giuridico di chi è in servizio civile. Non è un rapporto di lavoro dipendente, non è nessuno tipo di rapporto di lavoro e non deve essere soggetto a tassazione. Sono chiariti i criteri di accreditamento degli enti e semplificate le procedure. 
Con l'articolo 9 si vuole raccordare la disciplina civilistica con quella tributaria, risolvendo problemi interpretativi che negli anni hanno aumentato enormemente il contenzioso e reso spesso difficile la vita proprio alle associazioni dove più forte è lo spirito associativo e volontario, che si sono trovate a fare i conti con richieste per loro a volte difficilmente comprensibili.
Con questo non si vuole assolutamente dare campo all'elusione. La chiarezza permetterà, appunto, di distinguere tra chi merita tutta la nostra attenzione e chi, invece, deve sottostare alle stesse regole di tutti gli altri. Questo settore ha già tante facilitazioni che sono censite. La Commissione Vieri Ceriani ne aveva individuate un centinaio tra detrazioni e deduzioni, per un importo pari però solo a un miliardo e 300 milioni di euro. È, quindi, anche qui necessario fare ordine e individuare ciò che veramente è meritevole e immettere trasparenza nel sistema. 
La delega, inoltre, incarica di nuovo il Governo di riformare il 5 per mille. Di nuovo, perché questo ero già contenuto nella delega fiscale, la legge n. 23 del 2014. Ricordo, inoltre, che nella legge di stabilità si è proceduto ad innalzare il limite per la deducibilità e la detraibilità delle erogazioni liberali e a stanziare 500 milioni di euro proprio a sostegno del 5 per mille. Nella delega si chiede stabilità a questo importo e si indicano criteri più selettivi e un sistema più trasparente sull'uso dei fondi. Mi permetto di ricordare che questo istituto è nato per sostenere il Terzo settore; è nato sotto l'egida della sussidiarietà, per lasciare al cittadino e non allo Stato la scelta sulla sua destinazione. Lo dico perché vedo in atto una tendenza, cui tutti noi potremmo essere tentati di ricorrere, a utilizzarlo per finanziare meritevolissime funzioni pubbliche, le quali dovrebbero però essere sostenute dalla fiscalità generale, il cui peso nelle tasche dei cittadini è già significativo. 
È prevista, inoltre, la costituzione di un fondo rotativo destinato a sostenere gli investimenti di questo settore pari a 50 milioni di euro. Nell'ultimo articolo si prevede l'obbligo di una relazione annuale al Parlamento. Vorremmo che non fosse un atto meramente scontato e dovrebbe permettere a questa Camera di discutere, almeno una volta l'anno, del Terzo settore, di controllare l'azione del Governo, di sollecitarla e indirizzarla. Insomma, che l'attenzione verso il Terzo settore, verso il volontariato, l'associazionismo, le organizzazioni non governative, verso le fondazioni, non cali. E questa riforma è un'opportunità per tutti noi di riconoscere e di investire sulla costruzione di una comunità più solidale.