Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 9 Novembre, 2015
Nome: 
Paolo Beni

A.C. 1039-A ed abbinate

Grazie, Presidente. Colleghi, sappiamo tutti quanto la lotta alla criminalità organizzata rappresenti oggi un fronte decisivo per il rinnovamento e il rilancio del nostro Paese e quanto sia un nodo che intreccia le grandi questioni economiche, sociali e culturali del nostro tempo. 
Bastano pochi dati a fotografare la grave dimensione del problema. Si stima che l'economia criminale valga il 7 per cento del PIL nazionale, 137 miliardi di volume di affari, oltre 100 miliardi di utili. Duecentomila sono le imprese vittime di usura, 60 miliardi le risorse che vengono sottratte ogni anno alla ricchezza nazionale dalla corruzione. Insomma, una industria fiorente che sta innovando le propri strategie con forme sempre più sofisticate e meno visibili di violenza e di sottomissione; grazie al riciclaggio dei proventi dell'usura e dell'estorsione le mafie immettono sul mercato enormi quantità di denaro e investono in ogni settore e in ogni area del Paese. Intrecciando attività legali e illegali inquinano interi settori economici, favorendo il fiorire di imprese criminali, che, grazie alla copertura di altre regolari, risultano imbattibili sul mercato e, quindi, producono ricchezza, garantiscono al sistema mafioso consenso sociale e capacità di controllo del territorio. 
Un fenomeno che impedisce la crescita di nuova imprenditoria sana, che condiziona lo sviluppo sociale e il tessuto civile di intere aree del Paese e rischia di trovare terreno ancora più fertile proprio nell'attuale contesto economico e sociale deteriorato dalla crisi degli ultimi anni. Per questo la lotta alle mafie non può limitarsi all'indispensabile e preziosa azione repressiva dello Stato, che pure ha ottenuto e sta ottenendo risultati importanti. Come aveva felicemente intuito Pio La Torre, le mafie vanno sfidate anzitutto sul terreno economico e sociale sul quale costruiscono il loro potere e il consenso su cui possono contare, con azioni concrete di bonifica delle economie locali. In questo senso la confisca e il riuso sociale dei beni sequestrati alle mafie previsti dalla legge n. 109 del 1996 si sono rivelati uno strumento di straordinaria efficacia nella lotta alla criminalità organizzata, anzitutto perché colpiscono le mafie in ciò che hanno più a cuore, gli interessi economici, il patrimonio, la roba: confiscare quelle ricchezze e restituirle alla collettività è lo schiaffo più pesante che si possa dare ai mafiosi. Quelle confische sono tanto più efficaci proprio perché rappresentano agli occhi delle comunità locali la rivincita dello Stato sulla mafia e la restituzione ai cittadini del maltolto. Sono la conferma di come sia possibile reagire al potere mafioso, trasformare proprio quei beni che furono simbolo e strumento dell'oppressione in nuove opportunità di riscatto, in nuovi strumenti per creare lavoro e sviluppo nella legalità, ma l'esperienza di quasi vent'anni di attuazione della legge n. 109 evidenzia anche i limiti, i ritardi, le lentezze burocratiche che spesso rischiano di inficiarne l'efficacia. Da tempo le organizzazioni sociali che si occupano del tema lanciano un allarme, spesso quei beni non vengono valorizzati, deperiscono nell'incuria e nel degrado. Il problema è ancora più evidente quando il sequestro e la confisca riguardano attività imprenditoriali che danno lavoro a decine di cittadini onesti, spesso incolpevoli. Queste aziende molto spesso, tanto nella fase giudiziaria che in quella sotto il controllo dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati, incontrano difficoltà insormontabili nel proseguire l'attività, perché alla notizia del sequestro i clienti si allontanano, i fornitori reclamano i loro crediti, le banche revocano i fidi, l'amministratore giudiziario spesso opera come un liquidatore, non ha gli strumenti e nemmeno l'approccio giusto per tenere l'azienda sul mercato. Il risultato è che oltre il 90 per cento di queste aziende fallisce, i dipendenti perdono il lavoro. Dover ascoltare frasi del tipo «prima almeno con il mafioso si lavorava e si campava, ora con lo Stato no» è un paradosso inaccettabile; se una volta rilevate dallo Stato quelle imprese non riescono più a garantire sicurezza ai lavoratori coinvolti diventano il simbolo della sconfitta dello Stato e questo non possiamo permettercelo. Allora che fare ? Vendere all'asta quelle aziende che lo Stato non riesce a gestire ? Non credo che sia una soluzione per due motivi, sia perché sarebbe molto forte il rischio che i beni tornassero nelle mani di chi li deteneva prima, attraverso un prestanome, sia perché quei beni sono una ricchezza dei cittadini e possono essere utilmente investiti. Allora come affrontare le difficoltà economiche, burocratiche e i problemi di accesso al credito ? Il tema è rilevante perché si tratta di oltre 1.600 aziende, migliaia di addetti. Da queste considerazioni scaturì tre anni fa l'iniziativa di sindacati e associazioni impegnate nel contrasto alle mafie – come CGIL, ACLI, ARCI, Libera, Avviso pubblico – con la proposta di iniziativa popolare che poi fu iscritta in questa legislatura con il numero 1138. È a partire da quella proposta che poi si è incardinato in II Commissione l'iter che, arricchito da altre sei proposte di iniziativa parlamentare, ha prodotto il testo unificato molto più ampio che oggi esaminiamo. Si tratta di una corposa riforma del decreto del 2011, il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, tesa a conferire maggior rigore ed efficacia alle norme relative al sequestro e alla confisca dei patrimoni mafiosi con l'obiettivo di superare le attuali criticità e garantire una gestione di questi beni improntata a criteri di efficienza ed economicità. 
La legge dispone la realizzazione, con il coinvolgimento dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, di una serie di nuovi strumenti a sostegno del rilancio delle imprese sequestrate o confiscate in amministrazione giudiziaria. Di fondamentale importanza è l'istituzione del Fondo di rotazione, finanziato con le liquidità confiscate, da utilizzarsi per garantire le linee di credito interrotte con l'avvento dell'amministrazione giudiziaria e per supportare il percorso di emersione alla legalità di queste aziende, favorendo la creazione di nuova e buona occupazione. Ma oltre al fondo la legge prevede altre agevolazioni: sgravi fiscali e contributivi, sconti IVA, accesso agli ammortizzatori sociali, incentivi volti a favorire l'emersione del lavoro irregolare e la sicurezza dei lavoratori. Specifici incentivi e programmi di formazione sono poi previsti per la destinazione ad uso sociale delle aziende confiscate e per i casi in cui i dipendenti vogliano rilevare l'azienda costituendosi in cooperativa. 
Il testo dispone inoltre la riorganizzazione della struttura, delle competenze e la composizione stessa dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati, valorizzandone il ruolo di supporto alla magistratura nella gestione dei beni fino al provvedimento definitivo di confisca. 
Presso l'agenzia saranno istituiti un apposito ufficio delle attività produttive e sindacali, una banca dati delle aziende sequestrate e confiscate. Saranno più veloci i tempi per la verifica della legittima provenienza dei beni, diminuiranno i casi di assegnazione provvisoria e aumenteranno quelli di confisca obbligatoria. Nella nomina degli amministratori giudiziari saranno assicurati criteri di rotazione, trasparenza oltre che una maggiore attenzione alle competenze specifiche necessarie. A garantire più trasparenza all'intero sistema saranno anche obblighi informativi più stringenti per l'autorità giudiziaria in relazione agli avvenuti sequestri; infine, per la valutazione delle necessità relative alla prosecuzione delle attività produttive e per il coordinamento necessario degli interventi presso le prefetture, verranno aperti tavoli permanenti sulle aziende confiscate. Si tratta quindi di un piano di intervento molto ampio per favorire il riuso sociale delle aziende confiscate alle mafie. Un provvedimento che è atteso da tempo da migliaia di cittadini che ogni giorno si battono per creare nei loro territori opportunità di lavoro, di sviluppo nella legalità, anche esponendosi in prima persona al ricatto ed alla minaccia delle organizzazioni criminali. 
Una legge, io penso, doppiamente importante perché produce nuove opportunità per lo sviluppo del tessuto economico e produttivo del Paese, ma anche perché rappresenta un prezioso contributo all'affermazione della cultura della legalità democratica, al rafforzamento della responsabilità e della coesione sociale. Non a caso, la genesi di questa legge, come ricordava poc'anzi il relatore, ha visto il protagonismo attivo di tante organizzazioni sociali impegnate nel contrasto alle mafie, a conferma del fatto che la lotta alle mafie sarà tanto più efficace se accanto all'azione di prevenzione, di repressione delle istituzioni preposte vedrà la mobilitazione e il protagonismo attivo delle forze più sane della società. Infatti, le mafie per proliferare nei loro affari hanno bisogno di una società civile debole, hanno bisogno di un tessuto economico e produttivo debole, hanno bisogno di uno spazio pubblico desertificato, devitalizzato e di istituzioni ricattabili, possibilmente. Anche per questo la legge offre un contributo determinante perché sviluppa esattamente gli anticorpi a tutto questo, perché rafforza nel Paese gli anticorpi necessari a contrastare i poteri criminali e ad affermare la cultura della legalità che è cultura della partecipazione civica del bene comune, della coesione sociale, della partecipazione democratica.