Discussione
Data: 
Mercoledì, 1 Luglio, 2020
Nome: 
Elena Carnevali

A.C. 687-A

Signor Presidente, Ministra, care colleghe e cari colleghi, ci sono rivoluzioni necessarie che, seppur maturate nel tempo, hanno atteso anni. Così vale per le politiche a sostegno della genitorialità, della famiglia, dell'occupazione femminile, della condivisione dei carichi di cura educativi, di contrasto alla denatalità e alla povertà. Questa rivoluzione oggi porta un nome: la legge delega per semplificare e potenziare le misure di sostegno ai figli a carico attraverso l'assegno unico universale.

Già nella scorsa legislatura i colleghi e il PD avevano messo in campo proposte di legge, come quella che approda oggi alla Camera. Durante la campagna elettorale, nel 2018, il Partito Democratico si era preso un impegno chiaro e preciso con gli elettori: una nuova politica che mettesse al centro la famiglia. Poche settimane dopo, alla fine di quella campagna elettorale, all'apertura della nuova legislatura il Partito Democratico presentava la proposta di legge di delega a prima firma Delrio sull'assegno unico e dote universale, sostenuta e promossa da molte associazioni e dal Forum delle famiglie.

Era il 4 giugno 2018. Due anni dopo siamo qui, a discutere di quel progetto diventato parte integrante ed indispensabile del Family Act di più ampia azione, votato poche settimane fa nel Consiglio dei ministri, a cui consegniamo la realizzazione della dote unica.

Voglio esprimere qui una profonda gratitudine al lavoro del relatore Lepri, della maggioranza e della minoranza, per il contributo operoso che abbiamo dato in questi mesi; e non da ultimo alla Ministra Bonetti con delega alle pari opportunità e alla famiglia, a Nunzia Catalfo e a tutti i ministri che vi sono coinvolti.

Oggi non onoriamo un impegno che avevamo preso con gli elettori: oggi recuperiamo, tardivamente rispetto agli altri Paesi, una dimensione europea di approccio culturale e giuridico, riconoscendo il valore dei figli e delle figlie, dopo anni di convegni, di discussioni, di investimenti, di proposte che però non si sono tradotti in un cambiamento sostanziale. Io dico: oggi non abbiamo più tempo; il tempo non è una variabile indipendente che può concorrere o non concorrere al declino di un Paese, e le politiche per le famiglie devono diventare la parte centrale delle politiche dello sviluppo. Sostenere le scelte virtuose dei giovani e delle famiglie aiuta a ridurre gli squilibri e a crescere; e poiché non c'è più tempo, oggi è tempo di fare questa rivoluzione.

Partiamo da una convinzione che ci accompagna da sempre: le famiglie sono una risorsa vitale, non solo per i propri componenti ma per l'intera collettività; e un nuovo corso di politiche familiari è possibile superando il tradizionale ambito di azione delle politiche familiari, legato per lo di più ai trasferimenti monetari, a volte intermittenti ed iniqui, o alle politiche sociali, per realizzare dei beni relazionali, affettivi, sociali, economici a vantaggio di tutta la società.

L'Italia, come ben ci ricordano molti studiosi tra cui il professor Alessandro Rosina, è uno dei Paesi con la più persistente bassa fecondità al mondo: oltre a non essersi risollevata dai bassi livelli raggiunti, ha subito anche un peggioramento durante la crisi economica. Adesso dopo l'uscita dagli anni più acuti della recessione fatichiamo verso il recupero; siamo però nel frattempo entrati in una fase che frena ulteriormente la ripresa delle nascite, perché la denatalità passata si sta riducendo nelle donne che entrano in età riproduttiva più tardi. L'arrivo di un figlio ha un impatto soprattutto sul tempo delle madri, sui costi delle famiglie, mentre deve coinvolgere come benessere relazionale tutta la coppia e deve essere riconosciuto come valore sociale che aiuta e riesce a rendere più solido un futuro comune.

Come tutti sappiamo, la scarsa occupazione soprattutto femminile incide fortemente, condiziona, mortifica il desiderio di maternità, e anche di paternità. La scelta di fare figli è senza dubbio una scelta privata e personale, ma è dovere della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che liberano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini ed impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Gli articoli della nostra Costituzione, articoli 30 e 31, sono il nostro riferimento e chiamano in causa la Repubblica, i doveri dello Stato e dei suoi componenti.

L'Italia è da decenni un Paese con i tassi di fecondità e di natalità più bassi al mondo, un trend negativo su cui non si accenna ad avere un'inversione di tendenza soprattutto per gli effetti della crisi economica. Guardate, noi abbiamo fatto una scelta doverosa e giusta, perché dovevamo salvare molte persone dalla pandemia, ma ci sono dati che si presentano, proprio i dati sugli effetti del lockdown, che sono ancora più preoccupanti. L'anno scorso, nel 2019, sono nati 67 bambini ogni 100 persone decedute, solo dieci anni prima il rapporto era invece quasi pari, con 97 nascite e 100 persone decedute. Il saldo negativo tra nascite e decessi che registra il nostro Paese porta ad un costante calo della popolazione residente e ad una diminuzione delle donne in età riproduttiva. Assistiamo da anni ad un assottigliamento delle coorti in età potenzialmente fertile, contro l'innalzamento, per fortuna, delle speranze di vita che ingrossa le file delle coorti più vecchie.

Quando parliamo quindi di famiglie dobbiamo tenere presente che parliamo di un filo lungo, che passa dalla natalità, dall'occupazione femminile, dallo sviluppo economico del Paese, dal suo dinamismo, creatività, dalla tenuta del nostro sistema pensionistico, dall'investimento nelle nuove generazioni e tantissimi altri fattori che concorrono a formare la tenuta economica dell'Italia di oggi e di quella del domani.

Le politiche per la famiglia che si sono adottate fin qui hanno funzionato poco, perché è la stabilità e la continuità delle misure di sostegno a generare sicurezza e a consentire di progettare il futuro. Lo dimostrano anche i dati di sociologici e demografici che fotografano la situazione del nostro Paese: le cause della denatalità non vanno cercate solo in un calo di desiderio di avere figli, quanto nelle difficoltà crescente che incontrano coloro che li vorrebbero avere. La precarietà economica e lavorativa che accompagna i nostri giovani mina la vocazione di genitorialità, in un contesto in cui oggi, abbiamo visto, i padri hanno più propensione e desiderio a dedicarsi alla cura dei figli. Non possiamo avere un quadro completo della situazione dell'Italia, senza considerare la condizione delle donne. Voglio partire da un altro dato recente, quello che ci ha dato l'ispettorato del lavoro in questi giorni, lo scorso luglio: si sono dimesse, nel corso del 2019, 37.000 donne, un dato che rispecchia le enormi difficoltà incontrate in Italia dalle donne lavoratrici che decidono di avere figli. E' una questione di qualità del lavoro, certo, come dimostrano i dati sul part-time e i preoccupanti e crescenti dati sul part-time involontario, difficoltà crescenti riscontrate anche dagli uomini, ma in misura minore. Stabilizzarsi nel mondo del lavoro, avere un reddito dignitoso, avere servizi continuativi è sempre una condizione sine qua non per poter desiderare di avere un figlio o una figlia. Anche in questo caso, lo vediamo, le donne tra i 35 e i 39 anni decidono più spesso di avere figli rispetto alle donne tra i 25 e i 29 anni. I genitori aspettano, quindi, una situazione economica e lavorativa più serena, prima di decidere di avere figli. Questi sono alcuni dati da cui dobbiamo spendere spunto, che evidenziano l'urgenza, a cui siamo chiamati oggi, di ciò che stiamo discutendo in quest'Aula. Vedete, in questa direzione si inserisce il Family Act e la nostra proposta di riordinare le misure a sostegno dei figli a carico, attraverso l'assegno universale, architrave di una nuova politica di welfare. La misura si rifà alle migliori pratiche in vigore negli altri Paesi (penso alla Germania, alla Gran Bretagna, al Canada) ed a una idea molto chiara: chiunque abbia figli, a prescindere dalla sua condizione, non può essere lasciato solo nel mantenerli. I criteri di universalità e progressività tenuti, che sono i principi della delega, non sono princìpi concorrenti: tutti i figli avranno e godranno del riconoscimento dell'assegno, proprio perché universale. L'universalità diventa un diritto soggettivo e un diritto esigibile. Progressività, perché verrà erogato sulla base della condizione dell'ISEE del nucleo familiare. Tutti godranno del diritto, ma in misura differente, per contemplare i principi di equità ed efficacia. Il mandato contenuto nella delega per la definizione dei decreti attuativi stabilisce un altro principio fondamentale: tenere conto dell'età dei figli e degli effetti di disincentivo dell'offerta di lavoro del secondo percettore di reddito. Uscire dal mercato del lavoro per un periodo prolungato non è mai una buona scelta per una donna, perché rientrarvi è molto difficile, specie in un Paese come l'Italia, che ha un mercato di lavoro formale assai rigido e una domanda di lavoro relativamente scarsa. L'obiettivo che vogliamo raggiungere è favorire la scelta di genitorialità. Scoraggiare l'occupazione femminile è controproducente, stando che il tasso di fecondità è più elevato nei Paesi e nelle regioni con il più alto tasso di occupazione femminile. Occorre, invece, rendere più agevole la combinazione di occupazione e di maternità, incoraggiando anche un maggior coinvolgimento dei padri, sostenendo fortemente il congedo di maternità (Chiara Saraceno ce la ricorda molto questa necessità). Ci sono tre aggettivi che sintetizzano questa proposta: è semplice, equa e continuativa. Semplice, perché finalmente si mette fine alla variegata e confusa giungla di sussidi, di bonus, di assegni. Equa, perché modulata sulle soglie dell'ISEE, destinata a tutti a prescindere dalla condizione lavorativa, anche per le categorie finora escluse come gli incapienti e gli autonomi. Ed infine continuativa, perché è una misura strutturale, che inizia a decorrere dal settimo mese di gravidanza, fortemente voluta, perché è lì che noi dobbiamo cominciare a sostenere: noi sappiamo che soprattutto i primi anni sono fondamentali per uno sviluppo armonico di un bambino e di una bambina. E la possibilità di poterlo avere fino a 21 anni, perché noi dobbiamo favorire l'autonomia. E un'altra caratteristica importanti, che noi abbiamo migliorato attraverso il lavoro della Commissione affari sociali, è quella dedicata alla disabilità. Ma voglio anche ricordare che abbiamo inserito la possibilità di una maggiorazione fino al terzo figlio, quando questo risulta ancora a carico. Noi lo sappiamo che le politiche per le famiglie non devono essere soltanto politiche di contrasto alla povertà. Abbiamo il dovere di mettere in campo politiche di contrasto alla povertà, non può essere che generare figli possa metterci nelle condizioni di favorire condizioni di povertà. Ecco perché abbiamo l'urgenza di poter arrivare ad approvare, nei tempi che vengono consegnati per i decreti attuativi, queste misure, perché essere genitori, essere figli, avere figli disabili non può essere una condizione che pone le famiglie in condizioni di rischio e in condizioni di fragilità. I nostri figli e le nostre figlie, però, non hanno tutti bisogni uguali. Abbiamo figli che hanno bisogni diversi: penso ai figli più fragili, alle loro famiglie ed è un dovere ineludibile, per noi, doverli sostenere. La disabilità, vi dicevo, non può essere né un limite alla crescita né allo sviluppo delle opportunità educative e formative di autonomia, non può essere un fattore di condizioni di povertà per una famiglia, in cui spesso l'impegno è prolungato nel tempo. Noi abbiamo un dovere, quello di favorire l'autonomia dei nostri giovani e delle nuove generazioni. Siamo un Paese in cui i giovani vivono nella propria famiglia spesso fino a 27-30 anni di vita. Non possiamo mortificare le loro aspirazioni, dobbiamo sostenere la loro formazione e dobbiamo dare tutti gli strumenti per una formazione ed un'educazione adeguata. Un mutamento culturale importante è quello che cerca di allargare il coinvolgimento dei padri nella cura della famiglia e dei figli, partendo dal presupposto che maternità e paternità devono essere viste e valutate come parti integranti di diritti di cittadinanza delle persone. Guardate, non è più tempo di temporeggiare, non è più tempo di procrastinare, è invece tempo di fare tesoro di questi anni di lavoro per la politica e per una politica ambiziosa per la famiglia, per una parità di genere e per un futuro del Paese. Seneca, in una lettera a Lucilio, dice: “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Vedete, questi marinai siamo noi. Noi sappiamo dove vogliamo andare, perché questa rotta è tracciata e non ci sarà vento contrario che potrà fermare questa piccola grande rivoluzione.