Relatore
Data: 
Mercoledì, 16 Luglio, 2014
Nome: 
Lia Quartapelle Procopio

A. C. 2498-A

Relatore. Signor Presidente, iniziamo a discutere oggi un provvedimento che è, a mio giudizio, la riforma più rilevante e certamente la più attesa di quelle che potrà fare probabilmente la Commissione affari esteri in questa legislatura.
  La riforma della cooperazione non è, infatti, solo una modifica che va a cambiare come funziona tecnicamente un determinato settore di intervento del Ministero, ma è un cambiamento che inciderà su come l'Italia riesce a sviluppare la propria proiezione internazionale. In questo senso, va sottolineato non solo che la nuova legge prevede che la cooperazione sia parte qualificante delle relazioni estere del nostro Paese, ma come seguito di questo la legge prevede un cambiamento del nome stesso del Ministero degli affari esteri, che passerà ad essere Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  Si tratta di un provvedimento che era atteso da almeno quindici anni ovvero da quattro legislature, proprio perché serve ad adeguare la legge n. 49, che è del 1987, ai tantissimi cambiamenti avvenuti da allora fino ad oggi.
  Dopo i primi interventi normativi degli anni Settanta, la cooperazione italiana allo sviluppo veniva infatti disciplinata dalla legge n. 49 del 1987, che riconosceva a quella realtà una fisionomia sua propria, differenziata rispetto alla promozione delle relazioni economiche e commerciali.
  L'assetto normativo delineato nel 1987, pur di largo respiro ed avanzato per l'epoca in cui era stato costruito, veniva investito dai forti cambiamenti del quadro geopolitico che segnavano gli anni Novanta del secolo scorso. E, insieme ai cambiamenti che sono emersi appunto negli anni Novanta nel mondo, sono emerse, con il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, le gravi criticità connesse alla gestione della cooperazione, oggetto in taluni casi di clamorose vicende giudiziarie. Non a caso risalgono a quegli anni le proposte di affidare la gestione dei progetti di cooperazione ad una agenzia tecnico-operativa esterna, che mantenesse alla struttura amministrativa statale il coordinamento, la decisione, la negoziazione.
  Allo stesso tempo, si sono stratificati negli anni interventi normativi più o meno estemporanei che erodevano il regime di specialità delineato dalla legge n. 47. Penso alla cancellazione, nel 1993, del Fondo speciale per la cooperazione allo sviluppo e alla soppressione del Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo, le cui competenze venivano meramente traslate ad un organo generalista come il CIPE. Ed è per questo che, negli ultimi quindici anni, si è cercato di mettere mano alla riforma della cooperazione.
  Ma quali sono gli elementi importanti della riforma della cooperazione che aggiornano gli obiettivi e la capacità di intervento dell'Italia nel mondo ? Come dicevo all'inizio, è una riforma che propone un paradigma rafforzato delle relazioni internazionali, che fa riferimento agli strumenti della cooperazione internazionale come attitudine della nostra politica estera, come previsto anche dai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dall'articolo 11 della nostra Costituzione. Si tratta di un passaggio – questo di dire, appunto, che la cooperazione è un elemento qualificante della nostra politica estera – che non è né retorico né esclusivamente nominalistico, ma che aiuta a ridefinire posizione e attitudine dell'Italia in un mondo multipolare in cui alla competizione e contrapposizione tipiche delle relazioni internazionali della guerra fredda deve affiancarsi, soprattutto per una potenza media come il nostro Paese, una attitudine cooperativa e il riconoscimento dei principi di indipendenza e partenariato con tutti i Paesi.
  La legge, tra le tante cose che fa, supera la distinzione tra Paesi ricchi e Paesi poveri, sostanzialmente riconoscendo che la cooperazione si fa tra partner, con l'obiettivo di sradicare la povertà, tutelare i diritti umani, prevenire i conflitti e rafforzare le istituzioni democratiche non solo nel sud del mondo, ma mutuamente.
  Inoltre, in secondo luogo, è una riforma che aggiorna gli strumenti della nostra presenza internazionale. Per chi si occupa di politica estera – lo vediamo anche in questi giorni con la difficoltà a ricomporre il conflitto israelo-palestinese, e lo abbiamo visto in altri momenti quanto è stato difficile trovare dei modi per sostenere le transizioni nei Paesi ai confini sud ed est dell'Unione europea –, il tema di come dare seguito, in un mondo così cambiato, con strumenti concreti, alla visione internazionale di un Paese è un tema veramente sentito e reale.
  Nel mondo in profonda trasformazione, infatti, c’è bisogno di una politica estera agita nella quotidianità e reiterata a fronte dei continui cambiamenti. Questa legge, quindi, non stabilisce solo dei principi, ma si dota di un'infrastruttura sulla quale questi principi possono effettivamente procedere. Questa infrastruttura si basa su tre cardini.
  In primo luogo, la chiara indicazione di una responsabilità politica nella figura del Viceministro per la cooperazione delegato per legge e per legge responsabile del coordinamento delle politiche di cooperazione. In secondo luogo, un'Agenzia che diventa braccio operativo, con il riconoscimento di specifiche professionalità per mettere in pratica i progetti di cooperazione. In terzo luogo, e questo è il grande cambiamento che abbiamo inserito alla Camera e che sarà certamente oggetto della discussione di oggi, vi è un'istituzione finanziaria per lo sviluppo che permette di allargare le possibilità di intervento dell'Agenzia a progetti di finanza per lo sviluppo, ponendoci così sulla frontiera dell'innovazione e, al contempo, dell'efficacia di quanto viene fatto dai partner internazionali.
  È una riforma che ci riallinea ai temi del dibattito internazionale in termini di cooperazione allo sviluppo, perché sostanzialmente ci riallinea ai principi delle dichiarazioni di Parigi e Busan sull'efficacia della nostra cooperazione, prima di tutto in termini di coerenza per le politiche.
  All'articolo 11 si prevede, appunto, come dicevo, la responsabilità del Viceministro, la partecipazione del Viceministro al Consiglio dei ministri senza diritto di voto. All'articolo 15 è previsto un comitato interministeriale che assicura la programmazione e il coordinamento di tutte le attività di cooperazione dei vari Ministeri.
  In secondo luogo, il tema dell'allineamento è posto all'articolo 12 per quanto riguarda la prevedibilità degli interventi. Nell'articolo 12 noi prevediamo, per la prima volta, un documento triennale di programmazione e indirizzo che individua le linee generali di indirizzo strategico per tre anni della nostra cooperazione.
  Inoltre, nelle disposizioni transitorie finali, si identifica come il Consiglio dei ministri individui un percorso di adeguamento degli stanziamenti annuali per la cooperazione internazionale allo sviluppo agli impegni assunti a livello internazionale. È noto, infatti, che, al di là del tema delle infrastrutture su cui noi siamo stati a lungo posti sotto la lente dell'OCSE (e attraverso la riforma speriamo di porre una soluzione a quello che ci ha detto l'OCSE), c’è anche un problema di allineamento degli stanziamenti dell'Italia agli impegni che abbiamo preso in sede internazionale, a partire dalla Dichiarazione del Millennio. Nella legge si fa riferimento a questo, sostanzialmente prevedendo dei meccanismi che ci aiutino nei prossimi anni a riallinearci a quanto abbiamo affermato.
  In terzo luogo, c’è il tema della trasparenza. All'articolo 12 è prevista una relazione annuale sull'attività di cooperazione svolta nell'anno precedente e all'articolo 14 è previsto, finalmente, un allegato allo stato di previsione del Ministero degli affari esteri con tutte le risorse di tutti i Ministeri e un allegato al rendiconto generale dello Stato sull'utilizzo degli stanziamenti per la cooperazione.
  Infine, la riforma presenta una novità per quanto riguarda il ruolo del Parlamento che, secondo l'articolo 13, deve esprimere un parere sul documento triennale e sulla relazione annuale sull'attività di cooperazione, e questo effettivamente fornirà un'integrazione tra le attività parlamentari e le attività del Governo, un controllo dell'attività parlamentare e di indirizzo dell'attività parlamentare sulle attività del Governo.
  E, infine, proprio per venire incontro all'idea che è cambiato il panorama dentro il quale ci muoviamo, la legge riconosce come attori della cooperazione non più solo le ONG e le organizzazioni internazionali, ma tutta una serie di altri attori che fanno cooperazione, che facevano cooperazione fuori dalla normativa vigente e che oggi sono riconosciuti, sia dalla legge, che dalla possibilità di mettersi in contatto e di collaborare insieme alle iniziative del Ministero.
  L'ultimo elemento a mio giudizio importante, come dovrebbe essere per tutte le questioni di proiezione internazionale, è che questa è una riforma sulla quale si è cercata già nella prima lettura al Senato – e poi lo abbiamo confermato nella discussione in Commissione alla Camera – la più ampia convergenza possibile tra forze politiche. Speriamo che questo spirito di confronto costruttivo continui anche nella discussione in Aula. Per un intervento, come questo di oggi, che ripensa a come l'Italia sta nel mondo, ovvero come ci presentiamo sullo scenario internazionale, è importante che tutte le forze politiche procedano con la maggiore unità di intenti possibile e si arrivi ad una definizione di un'infrastruttura che riguarda, appunto, la nostra proiezione internazionale.