Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 19 Settembre, 2016
Nome: 
Giorgio Zanin

A.C. 2236-2618-A 

Grazie, Presidente. Quasi in sintonia con quello che è appena stato detto, il mio intervento parte proprio da questa consapevolezza cioè il testo tecnico che andiamo a discutere può apparire ai meno esperti un passaggio parlamentare di scarsa rilevanza, ma in realtà non è così. Per provare a rappresentare questo concetto descrivo per sommi capi cosa sta succedendo dalle mie parti. Non so se lei, Presidente, è stato recentemente in Friuli Venezia Giulia, però il settore vitivinicolo nel nord est sta vivendo una fase di profonda vivacità e trasformazione. Nel giro di pochi mesi sono state progettate ed ufficializzate la nuova DOC «Prosecco», la nuova DOC «Friuli» ed è in procinto di partire la nuova DOC «Pinot grigio delle Venezie». Tre denominazioni che da sole possono potenzialmente rappresentare tra il mezzo miliardo e il miliardo di bottiglie di vino a denominazione di origine controllata. Si tratta di numeri che sono in grado di stimolare economie a tutti i livelli e le varie componenti della filiera ne escono profondamente influenzate e arricchite, ma anche messe alla prova. Il comparto produttivo del territorio deve, infatti, mettere in campo una programmazione manageriale sufficientemente adeguata ad un simile impetuoso sviluppo potenziale. Servono strumenti al passo con i tempi ed uno di questi è chiaramente quello legato agli aspetti legislativi, perciò il testo unico vite e vino rappresenta in questa direzione la principale scommessa. In effetti, si chiedono al provvedimento, come implicitamente evidenziato – come ricordava anche il collega Taricco – dal lungo percorso condiviso in questi anni tra filiera produttiva e legislatori, una serie di misure che rendano la gestione della filiera sempre più semplice e snella, meno burocratica, più moderna ed efficace, in una parola: semplificazioni. Quella della semplificazione è un ritornello del mondo produttivo nazionale, gravato a diversi livelli da norme e regole che incidono in ultima istanza sul costo finale del prodotto e sulla sua qualità. È chiaro a tutti che un imprenditore agricolo impegnato con gli organi burocratici, oltre ad affrontare maggiori spese, ha chiaramente meno tempo da dedicare all'attività produttiva vera e propria; perciò mentre ci accingiamo a trasformare il lungo lavoro legislativo nella nuova piattaforma di lavoro per le migliaia di aziende nazionali impegnate nella produzione vitivinicola, che, tra l'altro, con il suo indotto commerciale coinvolge davvero una quota significativa dell'occupazione nazionale, dobbiamo, dunque, domandarci se il risultato ambizioso di semplificazione sia raggiunto, pur mantenendo l'elevata garanzia di qualità produttiva che fa del vino italiano un'eccellenza internazionale riconosciuta con una bilancia commerciale in attivo. La risposta è: certamente sì; in primis per il valore di semplificazione intrinseca che il testo unico comporta, stabilendo un nuovo sostanziale punto di riferimento in grado di sfoltire in un sol colpo la grande mole di legislazione incrociata che appesantisce la vita di ogni vigneto e cantina, in secondo luogo perché all'interno del provvedimento trovano forza concetti di semplificazione autentica. 
Il punto sui controlli è decisamente un buon esempio, se solo si pensa a quanto incide questo aspetto nella vita delle cantine. I controlli ci devono essere, perché, se ben gestiti, migliorano la qualità dei vini e la reputazione delle denominazioni e delle aziende. Ma non è più accettabile che in azienda vi sia questo continuo via vai di enti diversi che controllano le stesse cose, magari applicando la legge con diverse interpretazioni e procedure. Non è accettabile che si usi ancora la carta e che in taluni casi i tempi di risposta siano ancora così lunghi. Dunque, è rilevante che in questa materia si sia ora legiferato, assumendo il principio del punto di vista del produttore: non meno controlli, ma meno oneri di controllo per chi sta alla base del processo produttivo. 
Un altro aspetto fondamentale è quello riguardante la materia sanzionatoria. Si tratta infatti di un passo in avanti nel costume nazionale. Risulta determinante infatti l'applicazione della diffida, la quale consentirà alle imprese, spesso in buona fede, di adeguarsi alla complessa normativa vigente senza contestazioni amministrative, che possano mettere in difficoltà le aziende. Deve prevalere il concetto che dal buon lavoro secondo legge emerge un prodotto che può dare risultati in termini di ritorno economico. Si tratta, dunque, di una collaborazione attiva fra produzione, controllo e amministrazione, a proseguire il percorso di formazione di un ethos nazionale, dove la furbizia sia messa al bando, non solo perché non è giusta, ma anche perché non conviene. Poi, se ci sono recidive, è sacrosanto che si paghino le sanzioni, ma una diffida, il cartellino giallo, può consentire a tutti un normale adeguamento agli adempimenti di legge. 
L'attuale proposta contiene importanti innovazioni che potrebbero rendere applicabili i benefici di cui si senta effettivamente bisogno. La materia del bio dovrebbe effettivamente essere migliorata, il settore è in forte crescita e la questione controlli risulta una fondamentale garanzia della qualità e genuinità dei prodotti. Tuttavia, anche in questo caso, è sufficiente qualche visita sul campo per domandarsi: forse si chiedono troppe carte per poi avere in effetti pochi riscontri effettivamente probanti della corretta pratica agricola ? 
Insieme alle sottolineature di aspetti positivi è utile aggiungere anche qualche spunto sugli aspetti che il testo non affronta. Qualche collega ne ha fatto cenno. In questo caso scontiamo un dibattito non ancora compiuto su alcuni aspetti dell'innovazione, che potrebbero risultare decisivi per lo sviluppo futuro del comparto. 
Parliamo anzitutto della migliore valorizzazione della ricerca nazionale in materia di vitigni resistenti. Le diciotto nuove varietà di vitigni registrate nel 2013 sono state ottenute – dieci di queste in Italia – attraverso un programma di incroci, che ha utilizzato come parentali di pregio le migliori varietà commerciali e come parentali resistenti selezioni ottenute dopo parecchie generazioni di reincrocio su vitis vinifera di ibridi prodotti all'inizio del secolo scorso. Questa scelta italiana ha permesso di ottenere varietà che non si differenziano dalle varietà di vitis vinifera note, se non per la conservazione, lungo le generazioni di reincrocio, dei geni di resistenza alle malattie, tanto che le stesse si possono considerare a tutti gli affetti varietà di vitis vinifera e non ibridi, avendo oltre il 90 per cento del genoma delle vinifere. Ciò è in funzione del fatto che, allorquando nel processo di ibridazione si superano i tre cicli di incrocio, si ottengono individui che statisticamente presentano più del 90 per cento di genoma della parentale di vitis vinifera. Dal punto di vista ampelografico, agronomico e soprattutto enologico, non esistono elementi concreti per non considerarle a tutti gli effetti come vitis vinifera, in quanto i parametri con cui si individuano nel vino gli ibridi di specie selvatiche (quali alcool metilico, il furaneolo, il metilantranilato) sono assenti o nettamente inferiori ai limiti fissati dalla normativa italiana, che tra l'altro e più restrittiva di quella europea. È un risultato importante che attraverso alcuni anni di lavoro sperimentale sostenuto in primis dall'importante polo dei vivai cooperativi di Rauscedo in provincia di Pordenone, che tuttavia non possiedono ancora i crismi di legge atti alla classificazione DOC, necessaria al pieno sviluppo delle potenzialità di tale percorso, potenzialità davvero importanti. Le nuove varietà resistenti sono, infatti, in grado di eliminare circa l'80 per cento dei trattamenti fitosanitari contro oidio e peronospora. È bene ricordare a questo proposito che il comparto vitivinicolo nell'ambito del settore agricolo assorbe in Europa il 65 per cento di tutti i fungicidi utilizzati per la difesa delle colture agricole, pur interessando una superficie pari solamente al 3,5 per cento. La coltivazione di vitigni resistenti servirà perciò ad assicurare sia la maggior salubrità del prodotto sia la salvaguardia dell'ambiente, oltre la riduzione dei costi di produzione. È una strada che ha bisogno, dunque, di un salto di qualità nel metodo classificatorio, anche per evitare di scontare il danno e la beffa di produzioni europee che, similmente ottenute da procedure di incrocio, avendo ottenuto la classificazione DOC, sopravanzino commercialmente il prodotto nazionale. 
Arrivo alle conclusioni, che evidentemente ci invitano a qualificare questo sforzo legislativo con importanti ricadute positive in un comparto produttivo di eccellenza nazionale, un punto di caduta importante che fa seguito al percorso di ascolto, confronto e studio da parte del legislatore. È un altro segnale del cambiamento diverso che anche in campo agricolo questa legislatura sembra realizzare, un percorso virtuoso che porta con sé l'impegno a proseguire nello sforzo di semplificazione e di innovazione, naturalmente anche al di là del dato tecnico legato alla produzione, un percorso perciò, come testimoniato fra l'altro da alcune proposte di legge già depositate, che deve essere coerentemente proseguito anche nella cura del suo incrocio con i temi del paesaggio, della cura enogastronomica e del turismo, per avvicinarci sempre di più alla realizzazione dello slogan che ci ricorda spesso il presidente della Commissione ambiente Realacci: «L'Italia che fa l'Italia» (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).