Discussione generale
Data: 
Giovedì, 4 Aprile, 2019
Nome: 
Antonio Viscomi

A.C. 1433

Relatore di minoranza

Presidente, definito questo provvedimento, fin dalla sua originaria deliberazione governativa, qualche mese fa, come “decreto concretezza”, il disegno di legge che arriva oggi in Aula rappresenta in modo emblematico gli effetti che definirei perversi di un'attività di legiferazione che è orientata più alla ricerca del consenso immediato, anche grazie all'uso di parole facilmente spendibili nella comunicazione social e meno alla ricerca di soluzioni basate sulla consapevole comprensione delle pubbliche amministrazioni come sistema complesso, sia sul piano organizzativo sia su quello normativo, ordinamentale e istituzionale. La conseguenza è su questo tavolo, è evidente: è un testo di legge che promette ciò che non può oggettivamente mantenere, è un testo di legge che è segnato da un'ansia prescrittiva, che tutto vorrebbe riportare sotto il controllo occhiuto del legislatore e che, a questo fine, nega non solo gli spazi propri di autodeterminazione delle autonomie locali e delle regioni ma nega anche quegli spazi negoziali, ormai da tempo opportunamente affidati al confronto, che è ordinato e ordinante allo stesso tempo, con le parti sociali, in quanto riconducibile alla micro-organizzazione e alla gestione dei rapporti individuali e collettivi di lavoro che le amministrazioni, ormai dal 1993, governano con i poteri del privato datore di lavoro, cioè fuori dall'alveo di intervento del diritto amministrativo e della relativa logica.

Se l'obiettivo della legge era dettare interventi per la concretezza, cioè dettare interventi - a me pare - per assicurare l'efficienza e l'efficacia dell'organizzazione delle attività delle pubbliche amministrazioni, allora occorre francamente riconoscere che l'obiettivo non è stato raggiunto, e fra le cause di questo fallimento deve essere sicuramente annoverata l'omessa considerazione della ovvia ed evidente correlazione fra testo normativo, che è stato pensato qui invece come pura espressione di volontà politica da affermare in modo imperioso e quasi muscolare, in alcuni punti, e contesto organizzativo, che avrebbe invece invocato uno spazio di adeguamento flessibile della norma generale alle specificità istituzionali e burocratiche della galassia delle pubbliche amministrazioni.

Per questo reputo che essere riusciti a richiamare la concretezza, a proposito del decreto del Ministro Bongiorno sulle pubbliche amministrazioni, sarà sicuramente stato per gli estensori un esercizio concettuale arduo, come peraltro già era avvenuto per la dignità del “decreto Di Maio”. Alla fine, quello proposto è un decreto composto da sei articoli, che la stessa relazione illustrativa e tecnica definisce di contenuto eterogeneo (buoni-pasto, rilevazione delle presenze, assunzioni), insomma un decreto omnibusoperante nel solco di una tradizione legislativa consolidata, altro che cambiamento. A pretendere di dare il tono e il senso del testo normativo è l'articolo 1, che istituisce il famoso nucleo delle azioni concrete di miglioramento dell'efficienza amministrativa denominato “nucleo della concretezza”: una pattuglia, lo ricordava prima il relatore di maggioranza, di 53 valorosi, cioè tre dirigenti, di cui uno generale, 23 unità in posizione di comando fuori ruolo e 30 da assumere con uno specifico concorso, e di questi trenta, però, venti - venti! - sono da inquadrare nell'area funzionale iniziale in qualità di ausiliari. Tutti questi sono chiamati ad assicurare la concreta realizzazione delle misure indicate nel piano triennale. Cosa siano queste azioni concrete, allo stato non è chiaro, perché il progetto di legge parla genericamente di misure finalizzate a garantire la corretta applicazione delle disposizioni in materia di conformità dell'attività amministrativa ai princìpi di imparzialità e buon andamento. A quanto è dato di capire, concretezza è qui sinonimo di corretta applicazione delle norme, e dunque, se proprio si vuole, di legalità, valore fondativo, importantissimo, certo, questo della legalità, ma che spesso nelle nostre pubbliche amministrazioni si è tradotto da principio di massima garanzia in principio di massima ipocrisia, dal momento che la correttezza formale non sempre ha coinciso con un adeguato grado di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa.

Il fatto è, Presidente, che fra le norme e i cittadini esiste un termine medio che sembra sfuggire all'attenzione del disegno di legge, cioè il termine “organizzazione”, che poi è lo stesso termine medio che trasforma le procedure amministrative in processi lavorativi. E l'organizzazione, per definizione, è plurale, come plurale è la galassia delle pubbliche amministrazioni chiamate ad operare in contesti economici, sociali e culturali essi stessi plurali. Da questo punto di vista, se proprio si vuole dare una mano al sistema delle amministrazioni, occorre individuare strumenti, forme, modi, risorse, per affiancare, accompagnare, sostenere, suggerire, realizzare soluzioni organizzative idonee che siano anche plausibili e sostenibili nella singola amministrazione, anche valorizzando le competenze e il ruolo degli organismi di valutazione che già esistono, e ricordandosi sempre che già nel “rapporto Giannini” del 1979 si segnalavano i danni dell'assenza di uffici di organizzazione e metodo nelle singole amministrazioni pubbliche. Un'Amministrazione che non pensa alla propria organizzazione difficilmente riuscirà ad essere concreta nei rapporti con i cittadini, ma proprio questa prospettiva è del tutto assente nel disegno di legge, che invece sembra configurare il nucleo della concretezza non come una copia dell'ispettorato ma come un surrogato funzionale dell'ispettorato - ma non, guarda caso, dell'ispettorato del MEF e dei suoi nuclei, che invece costituiscono e da tempo il vero punto critico nell'attuale assetto dei controlli -, tanto da delineare fragili linee di confine ma anche modalità operative sostanzialmente omogenee: visite ispettive, processi verbali - così c'è scritto nel testo della legge -, vizi rilevati e misure correttive richieste, termine per controdedurre (tre giorni) e per adempiere, responsabilità disciplinare e dirigenziale per il mancato adempimento e inserimento sanzionatorio dell'amministrazione interessata in un elenco pubblico.

Non è chiaro cosa concretamente farà il nucleo della concretezza per migliorare i livelli di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa, ma è chiaro come lo farà: con ispezioni, documenti, verbali, che produrranno altri documenti, altre relazioni, altre memorie. Insomma, un ulteriore organo di controllo esterno che si somma agli altri già esistenti (ispettorato, MEF, Corte dei conti) e una stanca riproposizione del modello di pianificazione triennale, una disattenzione profonda per la dimensione organizzativa delle amministrazioni pubbliche, che si traduce nell'assoluta disattenzione, anzi nella negazione, per la dimensione collettiva e sindacale, anche sui profili dell'organizzazione del lavoro. Questo è l'articolo 1 del disegno di legge. Dimenticavo: è previsto un costo di più di 4 milioni di euro per il nucleo per il 2019.

A critiche non meno gravi va incontro anche l'articolo 2, che introduce in modo massivo e indiscriminato i sistemi di identificazione biometrica e i sistemi di videosorveglianza degli ingressi. Per economia di tempo trascuro di considerare tutti i limiti di una visione organizzativa che ignora le dinamiche positive che possono essere innescate da interventi su aree come la formazione, il ruolo, il team, la motivazione, la leadership, e che invece considera la mera presenza in ufficio come l'elemento cardine su cui operare per recuperare qualità, efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa. È del tutto evidente - almeno a mio modesto avviso - che una cosa è il controllo delle presenze, altra cosa è il controllo sulla prestazione lavorativa, ed è del tutto evidente che presenza nel luogo di lavoro ed utilità produttiva della prestazione di lavoro non sono la stessa cosa. Trascuro di approfondire queste questioni, mi limito a ribadire qui quanto sia veramente incredibile che il Governo non abbia voluto far tesoro delle osservazioni e dei suggerimenti del presidente dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali nel corso dell'audizione in Commissione. In quella sede Soro ha ricordato che la Corte di giustizia, con la sentenza “digital rights”, ha dichiarato invalido un atto normativo dell'Unione per violazione del principio di proporzionalità: in quel caso il diritto alla protezione dei dati è stato ritenuto eccessivamente compromesso - nonostante l'indiscutibile merito della finalità di contrasto dei reati - da una misura quale la conservazione dei tabulati telefonici e telematici massiva in quanto indirizzata alla generalità dei cittadini e non limitata ad esigenze repressive dei soli reati gravi. Per questo i principi di necessità e proporzionalità dovrebbero indurre a ritenere illegittime le misure limitative del diritto ogni qualvolta sia possibile adottare misure parimenti efficaci ma meno invasive.

Le conseguenze prevedibili? Rispondo a questa domanda con le parole dell'Autorità garante, che cito testualmente: non può ritenersi in alcun modo conforme al canone di proporzionalità l'ipotizzata introduzione sistematica, generalizzata e indifferenziata, per tutte le pubbliche amministrazioni di sistemi di rilevazione biometrica delle presenze, in ragione dei vincoli posti dall'ordinamento europeo per l'invasività di tali forme di verifica e le implicazioni proprie della particolare natura del dato.

Il fatto è, Presidente, che è facile giocare a fare gli sceriffi, trasformando tutti i pubblici dipendenti in fannulloni insensibili ai bisogni dei cittadini, molto meno facile è tentare di ridare senso e significato al lavoro pubblico e fornire ai dipendenti pubblici strumenti idonei a garantire l'effettività dei diritti dei cittadini. Avete scritto e volete fare approvare l'articolo 2, sapendo che lo stesso articolo sarà dichiarato non conforme all'ordinamento nazionale e a quello dell'Unione. Intanto, però, qualcuno potrà dire che oltre ai porti avrà chiuso anche le porte degli uffici, più che organizzativa mi sembra una logica securitaria.

 

Concludo, Presidente, con una sola frase. Mi pare che i limiti concettuali e normativi del progetto legislativo in esame siano ragionevolmente da individuare così: troppa attenzione alla normazione e poca sensibilità per l'organizzazione, poca sensibilità alle modalità di erogazione della prestazione e molta attenzione al mero fatto della presenza, da controllare sempre, dovunque e comunque.