Dichiarazioni di voto finale
Data: 
Lunedì, 11 Gennaio, 2016
Nome: 
Matteo Orfini

A.C. 2613-B

Grazie, Presidente. Credo che in quest'Aula, forse a parte chi mi ha preceduto, abbiamo tutti consapevolezza di vivere un momento decisivo per questa legislatura e probabilmente, senza eccedere con la retorica, un momento storico per questo Paese, perché siamo a pochi passi dall'approvazione di una riforma che l'Italia attende da anni, forse da decenni. 
Non tutti avrebbero scommesso su questo risultato, se solo pensiamo al clima con cui è iniziata questa legislatura: un risultato elettorale incerto, un Parlamento largamente rinnovato, giovane, per alcuni versi inesperto. Se noi siamo riusciti ad arrivare fin qui è sicuramente merito di chi, come noi, ci ha creduto fin dal primo momento, ma soprattutto grazie alla pazienza, all'autorevolezza, alla serietà, alla credibilità e al senso delle istituzioni di chi, come Giorgio Napolitano, ha accompagnato l'inizio di questa legislatura. Io voglio ancora una volta ringraziarlo, a nome del Partito Democratico(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), perché senza il suo impegno e il suo impulso forse non saremmo riusciti ad arrivare fin qui. 
Una Costituzione non è solo un testo giuridico, un atto normativo: è, prima di tutto, un atto politico, un atto storico. A scrivere la nostra Costituzione non fu un sinedrio di costituzionalisti, magari sempre col ditino perennemente alzato; furono delle forze politiche che avevano sconfitto il fascismo e avevano liberato il nostro Paese. Furono loro i protagonisti della scrittura della nostra Costituzione. 
Si cambia la Costituzione se c’è la necessità storica di farlo e noi credevamo e crediamo che quella necessità ci sia, perché serve chiudere l'eterna transizione istituzionale nel nostro Paese come strumento preliminare per rilanciare l'Italia. Noi abbiamo alle spalle anni difficilissimi di una crisi economica terribile, la più grave dal dopoguerra ad oggi, una crisi che ha impoverito il nostro Paese, che ha creato una frattura sociale ed ha aumentato le diseguaglianze. La politica ha affrontato quella crisi con strumenti deboli, inefficaci e spesso con scelte sbagliate. 
Allora, dobbiamo uscire da una situazione così drammatica, che ha prodotto il rischio di un avvitamento del nostro Paese perché, onorevole Civati, il rischio di crisi della democrazia italiana c'era e c'era perché quella crisi sociale ha prodotto l'esclusione dai processi produttivi di centinaia di migliaia di italiani che, non trovando nelle istituzioni la capacità di reagire e di dare risposte, si sono autoesclusi dai processi di rappresentanza e questo ha finito per inaridire la base di legittimazione delle istituzioni democratiche. Alla politica oggi spetta dare una risposta a questi temi ed è agendo – e non, invece, non agendo – che si trova una soluzione, perché il rischio vero sarebbe non far nulla. 
Noi abbiamo provato a costruire questa risposta sul terreno dell'azione di Governo, delle riforme economiche, delle riforme sociali – la pubblica amministrazione, la giustizia e le tante che abbiamo discusso e votato in quest'Aula – ma anche attraverso la riforma delle istituzioni, perché c'era bisogno, appunto, di ricostruire la credibilità del nostro sistema istituzionale. Naturalmente per farlo ci siamo ispirati ai principi della Carta costituzionale. 
La presidente Bindi qualche mese fa in quest'Aula ci ha ammonito, ricordandoci che cambiare la Costituzione significa innanzitutto praticarne il metodo e lo spirito. 
Io credo che avesse ragione ed è quello che noi abbiamo provato a fare e poi, se ci saremo riusciti, lo diranno gli italiani. Nel metodo, perché certo questo è un testo che nasce per iniziativa del Governo, ma che è vissuto di un dibattito vero in Parlamento, che è cambiato molto. È un testo diverso da quello che avevamo iniziato a discutere e di questo io voglio dare atto – ringraziandolo ancor più in questi giorni, a nome di tutto il Partito Democratico – al Ministro Boschi per il lavoro paziente che ha svolto e per il rispetto con cui lo ha fatto delle prerogative del Parlamento e della discussione vera che c’è stata in quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Un metodo che ha prodotto una maggioranza più ampia, nell'apprezzamento del merito di questa riforma, di quella che oggi la voterà, perché è noto a tutti, se ci spogliamo delle ipocrisie del posizionamento politico, onorevole Gelmini, che questa riforma è una riforma che voi avete condiviso, che avete contribuito a scrivere. Io ho ascoltato con attenzione e con rispetto il suo intervento, come avevo ascoltato nel precedente passaggio quello del Presidente Brunetta, che addirittura, per giustificare il cambio di posizione, è arrivato a citare – cosa che credo gli sia costata molto – a sostegno della sua tesi, Zagrebelsky e Rodotà, con cui si ritroverà nel comitato per il «no» e sarà un'accoppiata divertente da misurare nei fatti. Ma davvero non ho capito quali sono le ragioni di merito per cui avete cambiato opinione. Non l'ho capito perché non ce ne sono. 
Noi abbiamo costruito una riforma, in qualche modo importante, che cambia anche la lettura che in questo ventennio è stata data della crisi istituzionale del Paese. Ci siamo ispirati allo spirito della Carta nella scelta di non cambiare la forma di Governo del nostro Paese. Uso le parole del Presidente Napolitano: «Noi abbiamo voluto riformare, arricchendola, la nostra democrazia parlamentare, consapevoli che anche in un mondo più complicato, più articolato e più frammentato la forma parlamentare è quella che meglio può includere nella partecipazione democratica i vari pezzi di questa società». Lo abbiamo fatto chiudendo il dibattito, che aveva segnato questi vent'anni, sulla scelta del presidenzialismo, che aveva avuto forti sostenitori sia a destra che a sinistra, in modo trasversale. Lo abbiamo fatto rifiutando quella lettura secondo la quale il parlamentarismo è un vincolo e un limite alla capacità e alla possibilità di governare. Abbiamo creduto invece possibile rilanciare la forma di Governo parlamentare attraverso l'introduzione di alcuni elementi di riforma, incidendo sul procedimento legislativo, superando il bicameralismo perfetto, che, sì, aveva senso in un Paese che usciva da un regime e da una guerra di liberazione, ma che aveva segnato ormai nel tempo tutti i limiti. Lo abbiamo fatto correggendo una riforma frettolosa del Titolo V della Costituzione, dando una nuova funzione e un nuovo ruolo al Senato. 
È stato posto ancora oggi in quest'Aula il tema dei contrappesi istituzionali, per il combinato disposto di riforma costituzionale e della legge elettorale. Guardate, io credo che su questo noi siamo intervenuti raggiungendo un grado accettabile, una soluzione accettabile, che garantisce gli equilibri. Però c’è qualcosa che ancora si può fare e che per noi è complementare a questa riforma, perché, se c’è democrazia, come per noi è, democrazia dei corpi intermedi e democrazia dei partiti – Togliatti diceva: «i partiti sono la democrazia che si organizza», con un'espressione felice – allora però c’è bisogno che quei partiti siano davvero tali, cioè trasparenti, democratici, contendibili nelle loro leadership e allora noi riteniamo che la corretta applicazione, da questo punto di vista, della Costituzione debba portarci ad approvare una legge di applicazione dell'articolo 49 della Costituzione, che garantisca che i partiti siano davvero quello strumento di inclusione nella società e che siano davvero democratici e trasparenti. E su questo sfidiamo tutti, onorevole Toninelli, sfidiamo anche voi, perché ci piacerebbe, per una volta, che anche voi scopriste cos’è la libertà, cos’è la democrazia, cos’è la partecipazione, cosa sono le regole (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Se vi liberate dai ceppi che vi hanno imposto, magari scoprirete che vi piacerà e che vivere da uomini liberi e da parlamentari liberi sarà molto più piacevole e molto più utile al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Naturalmente, presentiamo oggi e chiediamo di votare un testo di riforma complessivo, compiuto, che chiude la stagione della Seconda Repubblica, che proietta un Paese più forte nel futuro, con i fondamentali economici apposto, con delle istituzioni più forti, con maggior credibilità in Europa e quindi maggior possibilità di pesare e di contare in Europa.  Lo facciamo, consapevoli che l'ultima parola – come è giusto che sia –, per nostra scelta, l'avranno i cittadini italiani. Vede, Presidente, mi iscrissi tanto tempo fa a uno di quei soggetti politici che ha portato alla fondazione del Partito Democratico, a 15 o 16 anni, come molti in quest'Aula, da giovane studente, e iniziai subito a fare quello che abbiamo fatto tutti: campagna elettorale, a dare i volantini, la militanza, quella vera, quella sincera, quella quotidiana. Già a quell'età militavo in un partito che chiedeva e prometteva nelle piazze e nelle strade delle nostre città il superamento del bicameralismo perfetto e l'introduzione di un Senato delle autonomie; già allora chiedevamo e promettevamo il superamento della crisi e della transizione istituzionale che vedeva il nostro Paese. Fra qualche mese, noi tutti torneremo nelle strade e nelle piazze delle nostre città, ma ci sarà una differenza: che, per la prima volta, con l'orgoglio di sapere di aver fatto la cosa giusta per il nostro Paese, noi potremo dire che ci siamo riusciti. 
Per questa ragione e per tutte le altre cose che ho detto, annuncio il voto favorevole del Partito Democratico.