Discussione sulle linee generali
Data: 
Martedì, 16 Dicembre, 2014
Nome: 
Marco Di Maio

A.C. 2613-A 

Grazie Presidente, onorevoli colleghi, uno degli argomenti più importanti che si possono affrontare nell'arco di una legislatura sicuramente è quello della modifica della Costituzione, tanto più se si tratta di modifiche importanti e profonde come quelle che questo testo propone e di cui avviamo oggi la discussione qui in Aula. 
Sappiamo bene come è nata la Costituzione, quali sono le sue origini, il percorso e i sacrifici che hanno portato alla sua conquista, le difficoltà di trovare un accordo tra i partiti che facevano parte dell'Assemblea costituente che la approvò, così come ci è chiara la rilevanza assoluta che la Carta costituzionale riveste per la vita economica, per la vita sociale e per la vita democratica del nostro Paese e la delicatezza delle questioni che questa riforma va ad affrontare. 
Sentiamo, pertanto, molto forte sulle nostre spalle il peso delle responsabilità che derivano dall'importanza di questa riforma, ma che innescano anche, allo stesso tempo, una ferma determinazione a proseguire nel percorso riformatore che abbiamo avviato e che faremo di tutto per riuscire a mandare in porto. È una responsabilità che deriva dalla consapevolezza di ciò che sappiamo essere la Costituzione, dall'assoluta rilevanza delle modifiche che proponiamo e da un'ulteriore consapevolezza che tutti noi, anche chi si trova sui banchi dell'opposizione, dovremmo avvertire, ossia quella che tocca a noi, tocca a questo Parlamento, a questa generazione, il compito di recuperare il tempo che negli ultimi anni è andato perduto e con esso le opportunità che la politica troppo spesso ha lasciato per strada. 
Il testo che stiamo esaminando modifica la seconda parte della Costituzione senza minimamente toccare la parte prima, quella dei principi fondamentali, che restano di straordinaria attualità, a significare la lungimiranza e la qualità del lavoro che fecero i nostri padri e le nostre madri costituenti. 
E cito anche le nostre madri, perché troppo spesso si dimentica il contributo fondamentale dato da tante donne della nostra Assemblea costituente(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Il testo in discussione contiene modifiche importanti, di cui il nostro Paese, e queste Aule, dibattono da oltre trent'anni, quando molti dei colleghi che siedono qui non erano, probabilmente, neanche ancora nati. La famosa Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, nota come Commissione Bozzi, svolgeva proprio in questi giorni le sue prime riunioni, esattamente trentuno anni fa. Altri tentativi prima, e soprattutto dopo, quella Commissione, tentarono di portare avanti, ma nessuno di questi andò mai in porto, e quelle innovazioni alla Carta costituzionale, che in tanti si sono detti convinti di voler operare, sono rimaste, per molto tempo, solo oggetto di convegni e dibattito, senza mai essere tradotte in decisioni concrete. 
L'abolizione delle province e del CNEL, la revisione del processo legislativo, la definizione delle competenze tra Stato e regioni, e il superamento della legislazione concorrente, la riduzione del numero dei parlamentari, l'introduzione di tempi certi per l'approvazione di proposte di legge importanti, sono tutti argomenti di cui si dibatte da tempo, e che questo disegno di legge affronta, offrendo soluzioni che nascono per durare, e che non sono un vezzo passeggero dettato delle esigenze del momento. Se poi ci concentriamo sulla novità di maggiore impatto di questa riforma, che è quella del superamento del bicameralismo paritario, così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, non possiamo non notare che già nel dibattito che vi fu all'interno dell'Assemblea costituente, si sviluppò un ampio e acceso confronto su quale fosse il migliore assetto parlamentare di cui l'Italia doveva dotarsi. Leggendo i resoconti di quel dibattito si comprende che lo schieramento delle forze del centrosinistra di allora, socialisti, comunisti e azionisti, era molto determinato a sostenere un sistema monocamerale nella convinzione che la sovranità è unica e, dunque, la rappresentanza doveva essere esercitata da un solo organo. A questa visione delle forze di sinistra, si contrapponeva quelle di altri partiti che volevano anche una seconda Camera, composta da rappresentanti di diversi interessi economico, sociale e culturale, come avrebbero preferito i parlamentari di estrazione democristiana e liberale, oppure in rappresentanza delle regioni, come, invece, era convinzione della parte repubblicana e laica di quella Assemblea costituente. Il necessario compromesso per addivenire ad un risultato più alto, cioè l'approvazione di una Costituzione che prevedesse un sistema democratico rappresentativo, robusto e dotato dei necessari anticorpi contro ogni tentazione totalitaria, portò ad una soluzione di mediazione: la nascita di due Camere aventi le medesime funzioni, il cosiddetto bicameralismo perfetto, che se ebbe ragioni storiche, politiche e di garanzia, per essere concepito allora, oggi non ha più ragione di esistere, così come l'abbiamo conosciuto, perché sono venute meno le motivazioni storiche che lo fecero nascere, e perché ha dimostrato, con i fatti, i propri limiti. 
Il testo che oggi discutiamo in Aula, dopo una lunga e approfondita discussione in Commissione, e all'interno dei singoli gruppi parlamentari, è frutto di un'impostazione del Governo, non di un diktat precostituito, ma di un input che il Governo ha dato. Ma soprattutto è frutto di un accordo tra i gruppi parlamentari, e all'interno dei gruppi stessi, che hanno voluto condividere una strada concreta e percorribile, per raggiungere finalmente un traguardo che, da oltre trent'anni, il nostro Paese sta mancando. Un cambiamento di portata storica che ha un valore per il presente, ma che vuole avere un valore, soprattutto, per il futuro. Perché un ulteriore obiettivo non scritto di questa riforma, è quello di restituire credito, autorevolezza, credibilità, al nostro Paese, fattori che l'Italia potrà giocarsi in Europa, nel contesto internazionale, dimostrando non solo all'Europa, ma anche agli italiani, che questa volta si fa sul serio, che la politica è in grado di cambiare, e di cambiare, prima di tutto, se stessa. C’è chi ha riscontrato nell'iniziativa del Governo, con l'iniziale disegno di legge costituzionale, una violazione della liturgia parlamentare e delle prerogative del Parlamento. Penso che chi adduce questi argomenti, lo abbiamo sentito anche nell'avvio di questo dibattito, perda di vista la verità e non veda, o faccia finta di non vedere, che il ruolo del Parlamento, nel modificare il testo base trasmesso dal Governo, è stato centrale e determinante, sia nel passaggio al Senato, quanto in quello alla Camera. Del resto, le tante ore di lavoro (non ho numeri da citare, però posso assicurare, avendo partecipato alla gran parte dei lavori, che sono state veramente tante) hanno portato modifiche significative al testo pervenuto dal Senato già, a suo tempo, ampiamente modificato rispetto alla versione originaria. 
A chi, invece, contesta la coalizione di forze politiche che sta condividendo questa riforma costituzionale rispondo con le parole di un grande studioso della Costituzione, Roberto Ruffilli, docente universitario e senatore della Repubblica, trucidato dalle Brigate Rosse nella sua abitazione di Forlì il 16 aprile 1988, proprio nei giorni in cui stava lavorando, insieme ad altri colleghi, a un robusto programma di riforme, avvertendone la stessa urgenza che anche oggi in tanti ravvisiamo. 
I partiti – sosteneva Ruffilli – si accordino sulle regole del gioco democratico, con il perfezionamento di quelle scritte nella Costituzione e di quelle poste in essere nei primi decenni della vita repubblicana, dimostrandosi capaci di realizzare compromessi validi tra interessi partigiani e interessi sistemici, a complemento e sviluppo di quei compromessi che hanno reso possibile la fondazione e la crescita della democrazia italiana. La Costituzione non è un tema su cui piantare bandierine o alzare steccati, ma è qualche cosa che richiede la ricerca del massimo consenso possibile ed è quello che abbiamo cercato di fare con il lavoro parlamentare. 
Questa riforma, con i suoi contenuti e con la sua impostazione, unitamente alla nuova legge elettorale, già approvata in prima lettura alla Camera e in corso di discussione in questi giorni al Senato, rappresenta un'opportunità unica per far compiere un passo in avanti al nostro Paese, anche perché è un pezzo – forse il più importante – di un ampio programma di riforme che riguarda la pubblica amministrazione, gli enti locali, il sistema della giustizia, il fisco, la scuola, il mondo del welfare, il mondo del lavoro. Il compimento o meno di questo programma determinerà il senso di questa legislatura, forse non una legislatura costituente da un punto di vista meramente formale, ma sicuramente una legislatura di svolta, di concretezza, capace di rispondere a una domanda di cambiamento da troppo tempo, da troppi anni inevasa, capace soprattutto di restituire una prospettiva al nostro Paese, di restituire una prospettiva all'Italia, che è ciò che più ci deve stare a cuore, non solo in questo dibattito, ma nell'agire quotidiano che dobbiamo portare avanti all'interno di queste Aule (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).