Discussione sulle linee generali
Data: 
Mercoledì, 17 Dicembre, 2014
Nome: 
Matteo Richetti

A.C. 2613-A

 

Signor Presidente, ringrazio i colleghi preventivamente per l'attenzione. Lo dico fuor di retorica: il lavoro in Commissione e anche la discussione delle giornate di ieri e oggi restituiscono come il contributo parlamentare non sia stato né di forma né di facciata. Io sono tra quelli convinti che già con questo testo, che probabilmente non sarà quello definitivo, rimandiamo al Senato un testo migliore di quello che questa Camera si è trovata a discutere, ad emendare e, io spero in fretta, anche ad approvare. Migliore per la discussione che abbiamo fatto con il contributo di tutti, migliore perché mantiene i capisaldi che stanno dentro agli obiettivi di questa riforma della Costituzione, che non sono togliere alla Carta costituzionale – lo dico perché ho ascoltato con attenzione anche il contributo dei colleghi del MoVimento 5 Stelle –, non sono mettere in discussione i principi fondamentali e nemmeno togliere quella tensione ideale che era contenuta nel lavoro dei nostri padri, ma, da figli responsabili, provare a rendere questa Carta più aggiornata, più appropriata e più rispondente ai bisogni della società italiana. 
I capisaldi sono quelli che molti colleghi hanno ricordato: il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei parlamentari, la riduzione del costo della politica, ma non la riduzione della qualità delle nostre istituzioni. Questo fine alla quarta lettura deve essere un obiettivo perseguito con tenacia. 
Alcune sottolineature che voglio fare a temi che sono già stati evidenziati dai colleghi, in particolar modo, anche dai colleghi del Partito Democratico: più volte si è discusso di forma di Governo, che non viene messa in discussione. Ci siamo mossi consapevolmente nel solco della democrazia parlamentare, del rispetto della democrazia parlamentare, non voleva e non vuole essere uno degli obiettivi di questa riforma ridiscutere la forma di Governo. Credo, però, che abbiamo aumentato – e dirò in fretta perché dal mio punto di vista – la capacità complessiva delle nostre istituzioni, anche di questo Parlamento, di dare risposte in modi e tempi certi. Il ringraziamento che faccia al relatore, onorevole Fiano, è un ringraziamento non di forma, ma di sostanza, anche per il merito con cui ha accompagnato la discussione e i lavori della Commissione. 
Si è più volte fatto cenno al cosiddetto passaggio – perdonatemi la superficialità – dal voto bloccato al voto a data certa. Questo non è un elemento di forma. Noi abbiamo ricevuto un testo che prevedeva, ad un certo punto, il voto bloccato sul testo che arrivava dal Governo, annullando il lavoro parlamentare: lo facciamo diventare un voto che esalta l'attività del Parlamento nella sua funzione legislativa e dà certezza di esame del provvedimento; esame, perché l'approvazione o il respingimento sono sempre a carico del Parlamento. 
Lo dico perché di questo punto si esaspera molto spesso la relazione tra Parlamento e Governo e non affrontiamo con una sufficiente attenzione quanto questo può migliorare, anche all'interno di quest'Aula, la relazione tra maggioranza e opposizioni. Se un'opposizione è legata ad un iter che, ad un certo punto, ti porta, al di là dell'attività parlamentare, al voto sul testo del Governo, sarà un'opposizione portata a vanificare il tentativo di migliorare quel testo. 
Se apriamo alla possibilità di andare ad un voto a data certa, tenendo conto e facendo parte di quel testo il lavoro parlamentare, allora io credo che possa diventare una relazione molto più costruttiva, anche in ambito propositivo, perché ciò che intercorre nei giorni nei quali il Parlamento esamina il testo è elemento in considerazione del voto, che viene considerato nel momento del voto. Guardate, questo non è solo un bon ton di relazione tra Governo e Parlamento: sta dentro alla qualità dei lavori parlamentari e alla qualità di ciò che questo Parlamento può produrre. 
Si è spesso discusso, anche tra di noi, anche nei lavori in Commissione, anche nella dialettica, nell'interlocuzione all'interno del gruppo del Partito Democratico.
Lo voglio dire perché, ovviamente, questa discussione ha avuto rilevanza anche pubblica: non c’è collega nel quale ci sia stato atteggiamento né di frenatore, né di sabotatore, non c’è stato collega di quest'Aula e di questa Commissione, là dove eravamo, che sia stato mosso da elementi con l'obiettivo di non farle queste riforme. Lo voglio dire a testimonianza dei nostri lavori, a testimonianza di questo dibattito e, da questo punto di vista, prendo a riferimento la discussione sulla composizione del Senato. Su questo punto c’è stato un dibattito ampio, io stesso avrei considerato un Senato delle regioni che impegnasse maggiormente gli esecutivi delle regioni a portare la posizione di quel livello istituzionale nella discussione parlamentare. Io stesso avrei acceduto all'idea di un Senato maggiormente procedimentalizzante la relazione tra regioni e Senato, ma siccome quando si cambia la Costituzione – e non lo dico io, lo ha ricordato meglio di me, oggi, la collega Rosy Bindi che ho ascoltato con grande attenzione, quando ci ha ricordato: non riapproverei il Titolo V a maggioranza – non può essere solo un dato di forma quello che si cerca il dialogo e l'intesa di forze più ampie di quelle della sola maggioranza, ciò non vale a targhe alterne. 
Lo dico davvero come elemento di discussione e non come elemento di critica tra di noi. Il fatto che una modifica possa ridurre il numero delle forze politiche che continuano il percorso delle riforme è un elemento non di metodo, ma di merito, quella modifica va messa sotto i riflettori dell'opportunità, laddove riduce, non il numero dei contraenti del patto, ma le forze parlamentari che condividono una riforma. Stiamo alla dinamica parlamentare. Da questo punto di vista la composizione che ci arriva dal Senato – che è una composizione sulla quale, lo ripeto, abbiamo riflettuto e io stesso ho ragionato in termini critici – è la composizione che ci porta alla sintesi più condivisa possibile tra le forze politiche. Questo è l'elemento che guida la modalità con cui, secondo me, vanno fatte le riforme. 
C’è un altro elemento sul quale voglio fare una veloce considerazione, perché anche questo è stato oggetto di riflessioni molto profonde da parte di colleghi e anche molto sofferte, il giudizio preventivo della Corte costituzionale sulla legge elettorale. Non c’è dubbio che abbiano, non solo, diritto di cittadinanza, non glielo devo riconoscere io, ma pertinenza quelle considerazioni che dicono: rendiamo più facile il ricorso alla Corte, fino anche a quelle che dicono: rendiamo automatico ricorso alla Corte. Non accetto però che non ci sia la considerazione del fatto che oggi abbiamo una Carta che è la migliore del mondo, secondo molti di noi, e lo dico anche per quanto quella Carta ha condotto la vita politica e istituzionale del Paese fino a qui, oggi, abbiamo una Carta che non prevede il ricorso alla Corte e quegli irresponsabili dei figli dei padri che sono stati ricordati restituiscono alla società italiana una Carta che prevede e istituzionalizza il ricorso alla Corte. È fatto con modalità, procedure, numeri, condizioni sbagliati ? Di questo possiamo discutere, ma è indubbio che introduciamo quella possibilità che viene ancora una volta data al Parlamento con una modalità e una procedura formalizzata. Da questo punto di vista ritengo che sia un dato oggettivo riconoscere il miglioramento del testo che andiamo a restituire. 
C’è un ultimo punto – e poi mi avvio alle conclusioni – che è un punto centrale, lo dico perché qui c’è qualcuno che il regionalismo lo ha conosciuto, fatto e agito per davvero, ed è il tema delle competenze. Competenze e competitività sono due termini che hanno la stessa radice e io sono convinto che competenze sbagliate tra le istituzioni producano complessivamente minore competitività di un Paese. Anche sul Titolo V sarei un pochino più riflessivo, ci sono molte cose corrette nel portare in prossimità delle comunità la gestione delle competenze, ma non c’è dubbio che occorra ripensare a quelle competenze più a carattere, se mi passate il termine, industriale, quelle che attingono a venti piani energetici regionali diversi, quelle che attingono a una promozione delle attività turistiche che non può essere frammentata, quelle che attingono a segmenti nelle quali le regioni hanno avuto protagonismo, ma non sufficiente per creare e per tenere la competitività complessiva del Paese, perché mentre il mondo investe nel nord Africa sulle alternative noi siamo all'autosufficienza delle comunità regionali. 
Su questo, non c’è dubbio che quella parte del Titolo V sia profondamente condivisibile. Ce n’è una seconda, che è quella che attiene a quanto le regioni siano state fondamentali nella cura dei bisogni delle persone. Lo dice uno che viene dalla scuola di Ermanno Gorrieri, del quale proprio quest'anno ricordiamo i dieci anni della sua scomparsa, e quanto quella scuola, quell'idea, quel pensiero abbia a cuore l'universalismo dei servizi, cioè l'universalismo della risposta ai bisogni delle persone. E fino a qui, nei confronti delle regioni, che avevano un unicum tra disabilità, formazione, inserimento lavorativo, welfare e cura delle persone, un unicum che consentiva quella che noi chiamiamo la presa in carico complessiva del soggetto, nel momento in cui accediamo a questa idea ed eliminiamo la modalità concorrente, perché non esiste più e c’è quella esclusiva, è evidente che si rompe quella possibilità, dentro alla concorrenza, di avere indirizzi nazionali in una gestione e in una risposta regionale. Allora quel problema te lo devi porre. Cioè, devi regolamentare il fatto che, se scegli la strada della mancata concorrenza – e io sono d'accordo, io accedo – nella divisione tra le competenze esclusive, devi differenziare l'indirizzo della gestione, altrimenti tutte le volte che una regione legifera su una materia che è ritenuta esclusiva dello Stato è un'invasione di campo ma tutte le volte che concedi una materia esclusiva rompi l'unitarietà dell'universalismo della risposta. Questo è un tema delicatissimo, sul quale non basta un emendamento che inserisce una funzione, serve un ripensamento complessivo di quell'equilibrio, perché stiamo toccando, tra l'altro, la parte di maggiore fragilità delle comunità. Credo che la discussione che abbiamo fatto fin qui sia stata una discussione importante, che, ripeto, ha visto contributi veri. Questo è un pezzo che rimane aperto, tra l'altro: c’è un impegno della Commissione verso l'Aula ed è terreno che prosegue nelle quattro letture di questa riforma. Sono convinto che, se il lavoro procede con questa modalità, allora noi, figli, un po’ come diciamo a Modena, «scarlancati», stiamo davvero rendendo più appropriata una Costituzione che non solo viene stravolta ma ha profondamente bisogno di un adeguamento e di un'appropriatezza alla dimensione della società e delle comunità di oggi. Credo anche che già nel lavoro fatto fino a qui noi restituiamo agli italiani, oggi, una Costituzione migliore di quella che abbiamo trovato.