Data: 
Martedì, 16 Dicembre, 2014
Nome: 
Alan Ferrari

A.C. 2613-A

Signor Presidente, sottosegretario Scalfarotto, onorevoli colleghi,  innanzitutto permettetemi di ringraziare i relatori, il presidente della Commissione, l'onorevole Sisto, e l'onorevole Fiano, a cui aggiungo ovviamente un'esternazione di affetto e di comprensione per il duro lavoro che ha dovuto svolgere in Commissione, anche per effetto del fatto che il mio partito, il Partito Democratico, ha dato un contributo sicuramente plurale alla discussione di questo importante provvedimento, e di ringraziare il Governo – la Ministra Boschi e l'onorevole sottosegretario Scalfarotto – per come è riuscito ad accompagnare i lavori di questa Commissione in queste lunghe settimane, ed anche per la lucida determinazione che ha tenuto nel corso dei lavori.
Voglio solo aggiungere una piccola cosa a questa premessa di ringraziamenti, che è il fatto che l'altra sera, a mezzanotte, ci siamo lasciati dopo lavori molto intensi in Commissione e credo di aver avvertito molta commozione nei colleghi che hanno portato a compimento un lavoro così intenso, che ha toccato le corde di ognuno di noi.
E vedere l'Aula non così partecipata io credo che non dia il merito giusto al lavoro ed all'emozione, che comunque viene e di cui è stata certamente lasciata traccia nei lavori di questa Camera, perché quel gruppo di commissari se ne è occupato con passione, con grande intensità ed è stato certamente un momento di liberazione il momento in cui si è chiuso quel passaggio, sabato notte.
Arriva in Aula, come è stato ricordato, la riforma della seconda parte della Costituzione, la madre di tutte le riforme potremmo dire, ma non solo, perché si tratta della Carta più importante, quella che sancisce l'inviolabilità dei diritti e della democrazia, ma anche perché è di fatto l'architrave in cui si innestano le altre riforme, quella della giustizia, del lavoro, della pubblica amministrazione e della scuola.
E badate bene: il punto qui non è semplicemente dato dal fatto che queste altre riforme si innestano nella riforma della Costituzione perché il contesto politico lo impone, ovvero questo Governo non può permettersi di non promuovere la riforma della Costituzione in questa legislatura, altrimenti correrebbe il grandissimo rischio di non avere la facoltà, l'autorevolezza ed il sostegno dell'opinione pubblica e del Parlamento per portare avanti le altre riforme altrettanto importanti, ma c’è un legame anche per così dire congenito fra questa riforma e le altre riforme, perché se la Carta definisce i principi, sono le altre riforme che consentono a questi principi di essere sostenibili e soprattutto ai diritti inviolabili, che citavo prima, di essere realmente garantiti.
Noi abbiamo scritto, nel primo articolo della Costituzione, che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, e tutto il tempo passato da esimi costituzionalisti, in questi vent'anni, è stato sprecato, perché è stata data troppa attenzione alla difesa di una parte di quella Carta e molto poca sul fatto che grande parte di quei diritti venivano completamente disattesi.
È una Carta fondamentale – e la riforma che facciamo va esattamente in questa direzione – perché è il presupposto per lo sviluppo civile, per la progressione civile, per la progressione democratica di un Paese ed anche per la progressione economica, in una fase come questa, in cui è evidente a tutti che la nostra Italia fatica a mantenere la posizione di Paese leader nel mondo, che ha conquistato con grande sacrificio dal dopoguerra in poi.
Sono state portate molte critiche, alcune anche già oggi, dalla fase di discussione molto intensa, molto animata del Senato e poi anche in Commissione. È stato certamente un dibattito duro. C’è un'espressione di Schopenhauer che mi sembrava molto calzante e che vi riporto perché credo che ci aiuti a comprendere l'evoluzione del dibattito di queste settimane, in realtà di questi mesi. Schopenhauer diceva che tutte le verità passano per tre stadi: nel primo stadio, vengono ridicolizzate, derise; nel secondo stadio, vengono violentemente contestate e contrastate; nel terzo stadio, vengono accettate, dandole per evidenti. Allora, credo che, se noi ricostruiamo ciò che è accaduto attorno a questa riforma, ritroviamo esattamente questi tre stadi perché c’è stata la fase della derisione, ed è stata la fase in cui, con l'impeto di chi pensava di avere più adeguatezza morale di chi si era messo realmente a rivedere questa Costituzione, del Governo, di questa classe dirigente, che peraltro aveva in sé il difetto di essere una classe dirigente prevalentemente giovane, troppo giovane per poter arrivare a raggiungere questo obiettivo, ebbene, questa spinta moralizzatrice, anche in maniera molto strumentale, ha fatto sì che le prime proposte di riforma fossero fortemente ridicolizzate. Poi c’è stata una fase di contestazione che si è basata essenzialmente su due punti, che sono quelli, da una parte, del merito, su cui è, come dire, del tutto legittimo discutere e avere opzioni diverse, e, soprattutto, dall'altra del fatto che era il Governo, attraverso la propria azione e quindi attraverso una funzione anomala, se vogliamo, a proporre al Parlamento un disegno di riforma.
  Allora, penso che dobbiamo essere molto sinceri e che questa legislatura è tenuta a fare questa riforma per tutte le ragioni di cui abbiamo parlato per un ventennio e per cui la cultura, della quale io vengo che è una di quelle che ha fondato il Partito Democratico, si è spesa per moltissimi anni, ma è anche obbligatorio per le condizioni in cui versa il Paese. Penso che dobbiamo essere onesti e sinceri nel dire che, se non vi fosse stata l'iniziativa del Governo, che gode della fiducia del popolo italiano, così com’è stato mostrato anche con il passaggio alle elezioni europee, questo Parlamento non sarebbe stato nelle condizioni di promuovere una riforma e, con la collaborazione di tutte le forze politiche, portarla a compimento. Non eravamo nella condizione in cui siamo oggi e voglio dire che è stato perso molto tempo a contrastare il Governo per l'anomalia chiamandola azione tirrannica, eversiva; sono state impiegate molte energie in questo genere di critiche. Io credo che, se noi avessimo salvato quelle energie, per cogliere un punto molto chiaro del dibattito costituente, saremmo più avanti e quel punto chiaro è che tutte le forze popolari (e qui ci sono anche tra le nostre opposizioni) mai si sarebbero sognate di non partecipare alla scrittura della Costituzione, mai si sarebbero sognate di deridere chi aveva preso per primo l'iniziativa. E mi auguro che quello che ho sentito poco fa da parte del collega di SEL sia in qualche modo oggetto di un ripensamento e che l'attività emendativa continui nel solco di quel contributo costruttivo che io personalmente e tutto il Partito Democratico ha fortemente apprezzato del contributo dato da SEL.
  L'ultimo aspetto – diceva Schopenhauer, lo ricordavo prima – è che, infine, le verità vengono accettate, dandole come evidenti e lo dimostra – e chiudo – il fatto che, nei lavori di Commissione, solo alla fine, quando il lavoro era stato molto produttivo, le opposizioni hanno dovuto lasciare quella Commissione, dove si stava compiendo un lavoro sul merito e dove si stavano confrontando opzioni diverse, ma non una moralmente corretta e l'altra moralmente eccepibile; solo a quel punto, per cercare uno spazio politico alternativo che li distinguesse da quello della maggioranza che sta sostenendo quelle riforme, loro, le opposizioni, hanno abbandonato l'aula. Allora, penso che l'hanno fatto proprio nel momento in cui quelle verità, che si andavano cercando con la proposta di riforma, erano diventate evidenze, erano diventate oggetto di un normale dibattito parlamentare in cui c’è una maggioranza e una minoranza, c’è un confronto, c’è un reciproco condizionamento al termine del quale c’è un voto.
  Venendo al merito della riforma – è chiaro, è una normale conseguenza rispetto a quello che ho detto poco fa – quello di cui ci troviamo a discutere è il miglior compromesso possibile, certamente ancora modificabile nel bene e migliorabile nel lavoro in Aula e nel lavoro nei prossimi passaggi, ma è il miglior compromesso possibile tra le questioni di merito e il contesto politico in cui questo merito viene proposto e approvato.
  Per venire al merito della riforma, è già stato ricordato che è chiaro che il tema del porre fine al bicameralismo perfetto assume il significato maggiore, e lo fa perché è attraverso questo che si crea una modifica sostanziale del nostro modo di legiferare, ma anche di dotare il Parlamento di quella capacità e quella rapidità utili ad incidere realmente sui problemi del Paese; è attraverso questo che oggi il Presidente Napolitano ha ricordato come alcuni costituenti lo avessero chiamato come fallimento di questa Costituzione, come di fatto il punto più anomalo di questa Costituzione. È attraverso questo gesto, questo forte cambiamento che introduciamo nell'assetto istituzionale e soprattutto nel potere legislativo, che noi cerchiamo di dare e di ridare autorevolezza alla politica perché, soprattutto con questa scelta, la politica riduce il numero dei parlamentari, riduce i costi, crea strumenti molto più incisivi e rapidi e, a mio avviso, dà prima di tutti gli altri l'impressione di essere capace di modificare se stessa.
Ci sono altre questioni che sono state già toccate, le elenco semplicemente per ricordare che queste, importanti, sono state oggetto di un lavoro in Commissione e che ciò che è uscito dalla Commissione è migliore di quello che è entrato, sul procedimento legislativo, sul Presidente della Repubblica, sulle modalità di elezione del Presidente della Repubblica, sul disegno di legge con voto a data certa.
Un aspetto che mi permetto di toccare, e a cui ho dato un mio contributo con un'azione emendativa, riguarda le funzioni del nuovo Senato, in particolare laddove si correlavano la funzione di valutazione e quella di controllo. Io ho proposto un emendamento per scindere queste due funzioni e lasciare al Senato la funzione di valutazione, perché c’è una grande differenza tra le due ed è corretto che in quest'Aula questo aspetto venga sottolineato. Controllo significa verificare che gli adempimenti previsti dalle leggi siano stati rispettati dalle pubbliche amministrazioni, valutare significa vedere se gli effetti prodotti dalle leggi che abbiamo scelto e gli obiettivi che ci siamo dati hanno consentito di raggiungere i risultati che ci eravamo dati. Questo credo che sia un aspetto fondamentale, perché se quel Senato delle autonomie, ovvero il Senato che dovrebbe prendersi in carico più di tutti gli altri ambiti di questo Paese il fatto che le cose accadono nei territori, fosse in grado di fare una valutazione vera sull'impatto delle politiche pubbliche, credo che creeremmo un'eccezionale novità nel nostro ordinamento e credo anche che apriremmo una fase di grande prospettiva di cambiamento della pubblica amministrazione.
Ultimo punto, il Titolo V, su cui articolo la mia ultima riflessione. Non c’è dubbio che sia stato anche questo un punto molto dibattuto, perché in realtà ciò che ha spinto forse più di tutti gli altri elementi a riformare la Costituzione è stata la percezione che la riforma del 2001 non abbia funzionato, cioè che aver delegato alle regioni poteri significativi in realtà sia stato sbagliato.
Allora, credo si debba fare un po’ di chiarezza su questo punto, intanto per dire che l'errore non è stato cercare di trasferire potere agli enti locali, quindi alla periferia togliendoli al centro, ma l'errore è stato come questi poteri sono stati agiti e soprattutto come si è articolata la relazione tra il centro e la periferia, in questo Paese. Seppur con qualche preoccupazione, prendo come un'opportunità il fatto che in questa riforma ci sia una riassegnazione al centro di un certo tipo di poteri, ed è chiaro, però, che sia ad una condizione, cioè che il modo in cui poi questi poteri vengono agiti abbia un certo significato. Allora, per capire come interpretare questa riforma del Titolo V, penso che ci siano molti strumenti e che valga la pena di leggere la nostra storia. C’è un dialogo particolare, tra Sturzo e Salvemini, da New York, dopo il referendum repubblicano e appena prima della Costituzione, che mette in evidenza, su questo punto, alcuni aspetti fondamentali che voglio ricordare. I due, che venivano da culture molto diverse, ragionano su come dovrebbe essere impostata da lì a poco la Costituzione, e dicono: la Costituzione deve avere un primo, vero, grande obiettivo, che è lo sviluppo della persona. È chiaro che per far sì che questo accada, in un Paese povero ed analfabeta, occorre che lo Stato, un grande Stato, si faccia carico di dare servizi di assistenza, di istruzione e di sanità a tutte le persone; questo è l'unico modo per cui si sviluppano. Ma perché loro hanno scelto di dotare questo Paese, e quindi di far ricadere in un grande Stato, le scelte della Costituzione ? Perché pensavano che un grande Stato come quello non incorresse nel rischio di una concentrazione eccessiva di potere al centro dello stesso e quindi di degrado della politica, perché, come diceva Einaudi, spontaneamente, qua e là nel Paese, c'erano processi federali, che vuol dire processi di distribuzione di potere e di responsabilità. Quindi, loro immaginavano che naturalmente, dietro quella scelta, pian pianino il potere si avvicinasse ai cittadini e mettesse nelle condizioni i politici di gestire al meglio il potere che avevano, con trasparenza, con capacità di gestione e capacità di rendicontazione. Io credo che purtroppo questo disegno è fallito, perché c’è stata poca consapevolezza della difficoltà di accompagnare una macchina amministrativa che da sé non riusciva ad assecondare questa spontanea tendenza federale. Ma penso che ora abbiamo davanti la possibilità di farlo. Questo Senato delle autonomie è il luogo dove si può fare, dove il centro può coordinare in modo trasparente, e soprattutto programmare con le regioni il dibattito. Concludo, signor Presidente. Io penso che abbiamo davanti una grande sfida; gli italiani vogliono migliorare le condizioni in cui stanno ma non sanno come fare. Un grande economista diceva che il possibile è più ampio del probabile: la probabilità che ci siano grandi ostacoli in questo percorso di riforme è certamente alta, la possibilità che riusciamo a superarli, a mio avviso, lo è di più