Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 14 Luglio, 2014
Nome: 
Fabrizia Giuliani

A.C. 360-A 

Signor Presidente, grazie ai colleghi che ci ascoltano e al sottosegretario presente. L'hanno evocato anche gli altri colleghi prima di me: la consapevolezza che la lingua e a fortiori i nomi abbiano un valore fondante nel regolare i rapporti che legano le società, le comunità umane è una consapevolezza propria di moltissime culture. Nella nostra sicuramente questo dato è ben presente. Il fatto che la lingua, il verbo vengano prima è scritto in testi molto, molto antichi e molto importanti. 
Cosa si vuol dire con questo, cioè che la lingua viene prima ? Si vuol dire che la lingua è ciò che distingue gli esseri umani, che il logos – come dicevano i greci – è la facoltà di dare forma ai propri pensieri e la capacità di renderli comunicabili, di definire e assegnare identità e soprattutto di mediare, di rendere possibile il dialogo senza il quale non è possibile alcun equilibrio civile. 
Come ricorda Foscolo, non ci sono senza la lingua «nozze, tribunali ed are», ossia i momenti che definiscono, attraverso i rituali, la vita di tutte le comunità umane, figuriamoci dunque quanto pesa nella dimensione della generazione e della riproduzione la questione del cognome. Le parole e dunque particolarmente quelle che definiscono in modo proprio l'identità degli individui e delle famiglie non vengono dopo, come un luogo comune assai diffuso nel pensiero politico ancora si ostina ad affermare, ossia che da una parte ci sono le cose che contano, l'economia, la società, eccetera, e, dall'altra, la cultura e la lingua. Le lingue sono la forma che una cultura prende, le lingue fotografano e definiscono equilibri, assetti e modi di stare insieme e al contempo registrano impietosamente assimilazioni, omologazione e soprattutto mostrano in tutta la loro gravità le disuguaglianze e le asimmetrie, registrano distanze e rivelano accostamenti che spesso nemmeno si sospettano. 
Ecco, discutere come qui oggi noi facciamo di una riforma delle norme in materia di cognome, di come si regola la trasmissione dei cognomi dei figli è materia delicata, non solo, come rivelavano colleghi più competenti di me, dal punto di vista tecnico-giuridico, ma soprattutto politico e culturale. Colmiamo con questa riforma un ritardo che ben restituisce l'anacronismo della concezione di famiglia. Che cos’è una famiglia ? La famiglia è soprattutto un sistema di relazione fra i sessi e di distinzione funzionale dei ruoli. La sopravvivenza del nome del padre, che ancora è la regola che vige nel nostro Paese, che comporta parallelamente la cancellazione del nome e dunque dell'identità materna, sono specchi fedeli di un'arretratezza italiana che con pazienza – lo dicevano bene molte colleghe prima di me, a cominciare dalla relatrice – provvedimento dopo provvedimento, stiamo provando a colmare. Non è casuale che, ogni volta che ci troviamo qui ad affrontare questioni che attengono a quelli che chiamiamo, con una formula forse nemmeno del tutto propri, diritti civili, dobbiamo evocare categorie come ritardo, risposte a raccomandazioni, esortazioni, pronunciamenti della Corte europea. È come se soltanto la dimensione internazionale fosse capace di restituirci la misura di un ritardo che per troppi anni, troppi anni, si è voluto ignorare, o anche semplicemente sottovalutare. Perché dunque queste resistenze e soprattutto come superarle ? Il principio che muove questa norma, voluta da tempo, da diverse legislature – veniva ricordato prima – nasce dall'esigenza appunto di colmare un vuoto e di dare pari dignità ai due generi nell'ambito del rapporto coniugale e familiare, superando un ordine tramontato nei fatti nella società da tempo. Tutte le novità che evocava prima appunto la collega non le ripeto, i fatti – le famiglie mono-parentali, le famiglie eccentriche, le famiglie allargate e conflitti che evidenziano fatti più luttuosi, con i quali spesso ci dobbiamo confrontare – mostrano uno iato fra la verità e la rappresentazione della realtà, uno scarto tra i nomi e le cose, e quando c’è uno scarto tra i nomi e le cose vuol dire che davvero le cose non vanno. È importante tener presente che questa esigenza non riguarda soltanto la relazione dei coniugi tra loro, ma anche e soprattutto come il rapporto dei coniugi tra loro si riflette nel rapporto con i figli. La normativa vigente in Italia appunto, essendo ancorata ancora ad un equilibrio sorpassato, fa sopravvivere forme di discriminazione che al contempo il nostro dettato costituzionale – mi riferisco alla sua parte più importante, ossia alla prima parte – combatte e respinge senza esitazione. Dunque, sono norme paradossalmente anacronistiche rispetto al momento stesso della scrittura della Costituzione, rispetto ai principi, che la Costituzione ribadisce, di uguaglianza e parità tra uomo e donna. Il riconoscimento dei cognomi dunque, come appena ricordato, non è solo un dato anagrafico – per quanto poi i dati anagrafici siano rilevantissimi – ma rappresenta un sostanziale elemento identificativo dell'individuo ed una base di riferimento per la tutela dei fondamentali diritti della persona. La trasmissione del nome, insomma, è un fatto di cittadinanza e noi dobbiamo misurarci anche molto rapidamente con le richieste di novità che la società ci pone rispetto ai diritti di cittadinanza, una cittadinanza che deve essere capace di misurarsi con una strettoia molto forte, lo evocava prima la collega Marzano, il rispetto della parità e al contempo un'idea di parità che rispetti le differenze. Cosa vuol dire questo nella fattispecie della norma che noi andiamo a discutere oggi ?
Si tratta di una norma che vede nella procreazione, nella generazione, non un dato biologico, svincolato dal dato culturale e politico. La generazione, la procreazione, da Aristotele in poi, sono state separate dal luogo della vita pubblica. Potere passare il cognome della madre vuole dire ricolmare questo iato, riaccostare pubblico e privato, che è precisamente quanto è avvenuto nella modernità. 
Le finalità che questa proposta di legge si prefigge – e vado a concludere – rispondono, dunque, ad una duplice esigenza: affermare la pari dignità della donne all'atto della costituzione e dello svolgimento del rapporto coniugale ed estendere ai figli, sotto il profilo dell'attribuzione dei cognomi, il regime di parità e di dignità, affermato per i genitori, e tradotto in un atto di libera, libera determinazione della loro volontà. 
Non ripercorro punto per punto anche gli aspetti che riguardano i singoli articoli, dato che c’è la relazione tecnica. Voglio solo concludere con una considerazione di ordine squisitamente politico: non si riforma la famiglia senza porre fine alla discriminazione tra i generi. I cambiamenti si possono governare e noi riusciamo a governare solo se siamo in grado di accoglierli e di superare un bipolarismo etico che si è tradotto, anche proprio plasticamente e concretamente, dentro questo Parlamento per troppi anni e che ha bloccato qualunque principio riformatore. Le discriminazioni di genere non sono questioni laterali, rispetto allo sviluppo e alla crescita di un Paese; non occorreva che la signora Lagarde ce lo ricordasse. 
Un Paese che fatica a riconoscere pari diritti di cittadinanza alle donne e agli uomini, che non promuove la parità, rispettando la differenza, arretra e perde il passo con l'Europa. È precisamente quanto è accaduto nell'ultimo ventennio ed è un ventennio che dobbiamo recuperare in fretta. Ma il nuovo equilibrio di questo Parlamento, la presenza femminile e anche una capacità di dialogo nuova che stiamo respirando, può diventare motore di un nuovo equilibrio e di un avanzamento che aspettiamo da tempo. L'unanimità, con la quale appunto ci auguriamo che questo provvedimento venga approvato e venga accolto, ci auguriamo davvero che sia auspicio di nuove riforme.