Discussione sulle linee generali - Relatore per la maggioranza per la I Commissione
Data: 
Lunedì, 20 Marzo, 2017
Nome: 
Marco Di Maio

A.C. 2188-A

 

Grazie Presidente. Non aggiungo nulla alle considerazioni appena svolte dal collega Verini, relatore assieme a me di questo provvedimento per la parte di competenza della Commissione Giustizia, poiché i concetti che egli ha espresso trovano la mia piena e totale condivisione. 
  Nel mio intervento svilupperò alcune considerazioni generali, alcune di dettaglio sui primi tre articoli che sono quelli di più diretta competenza della mia commissione, e poi presidente consegnerei un testo più dettagliato e analitico sul contenuto articolo per articolo, al fine anche di ottimizzare i nostri lavori. 
  Tutto il provvedimento fa perno su un principio fondamentale: impedire che lo svolgimento di funzioni che attengono alla politica possano essere utilizzate dal magistrato in maniera contrastante col principio di autonomia e terzietà che deve sempre caratterizzare l'esercizio della funzione di magistrato. Nel prendere in esame la legge in oggetto, bisogna considerare tre articoli della Costituzione il cui eco si fa sentire in ogni passaggio di questo provvedimento. Mi riferisco all'articolo 51 della Costituzione, che prevede il diritto di tutti i cittadini di accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza/secondo i requisiti stabiliti dalla legge e il diritto di chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il proprio posto di lavoro. 
  Mi riferisco poi all'articolo 65 della Costituzione, che stabilisce una riserva di legge per l'individuazione dei casi di ineleggibilità e d'incompatibilità con l'ufficio di deputato o di senatore; e poi all'articolo 98 della Costituzione, che prevede che i pubblici impiegati, se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità. 
  Volendo entrare più nel dettaglio del provvedimento, come anticipato vorrei porre l'attenzione dell'assemblea sui primi tre articoli, che sono quelli di più stretta rilevanza per la Commissione di cui mi onoro di far parte. 
  L'articolo 1 stabilisce che i magistrati non possano essere candidati alle elezioni europee, politiche, regionali e alla carica di consigliere delle province autonome, nonché alla carica di sindaco e consigliere metropolitano, se prestino servizio o lo abbiano prestato nei 5 anni precedenti l'accettazione della candidatura in sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nella circoscrizione elettorale interessata. 
  Rispetto alla disciplina vigente per le elezioni politiche, la disposizione in esame dunque introduce una serie di novità: prevede una incandidabilità e non un'ineleggibilità. L'introduzione di una fattispecie di incandidabilità comporta la preclusione della possibilità di presentare la candidatura, essendo l'incandidabilità rilevata dagli uffici elettorali in sede di vaglio sull'ammissione delle liste. L'ineleggibilità prevista dalla normativa vigente non impedisce invece la candidatura, ma esplica i suoi effetti ex post, dopo lo svolgimento delle elezioni; estende la disciplina alle elezioni europee che prima non erano contemplate; eleva da 6 mesi a 5 anni il periodo in cui il magistrato non deve aver prestato servizio nel territorio di riferimento. 
  Quanto alle elezioni amministrative, per la carica di sindaco, di consigliere comunale o di consigliere circoscrizionale, i magistrati non possono essere candidati se prestano servizio o lo hanno prestato nei 5 anni precedenti l'accettazione della candidatura presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente nel territorio della provincia in cui è compreso il comune. Questa disposizione opera anche in riferimento all'assunzione dell'incarico di assessore comunale, rispetto al quale più che di incandidabilità dovrà parlarsi di inconferibilità dell'incarico. 
  La disposizione sull'incandidabilità: si applica a tutti i magistrati – ordinari, amministrativi, contabili e militari – e riguarda anche i magistrati collocati fuori ruolo. Sono esclusi solo i magistrati onorari, la cui incandidabilità è disciplinata dall'articolo 10 della proposta di legge. 
  In base al comma 2 non sono in ogni caso candidabili i magistrati togati che, all'atto dell'accettazione della candidatura, non siano in aspettativa da almeno sei mesi. 
  Attualmente, invece, per le elezioni politiche i magistrati devono trovarsi in aspettativa – come regola generale – al momento dell'accettazione della candidatura. Per le elezioni europee e le elezioni amministrative, non è invece previsto il collocamento obbligatorio in aspettativa. Per le elezioni amministrative, il collocamento in aspettativa avviene obbligatoriamente solo per le elezioni nel territorio in cui il magistrato esercita le funzioni giurisdizionali, applicandosi, in caso di mancata cessazione delle funzioni, l'ineleggibilità. 
  È dunque possibile oggi che i magistrati svolgano contemporaneamente funzioni giurisdizionali e funzioni politico-amministrative in forza di mandato elettorale o di incarico di assessore quando la funzione politico-amministrativa e la funzione giurisdizionale siano svolte in diversi ambiti territoriali. 
  Sempre nell'ambito del primo articolo di questa legge, il comma 3 specifica che le esaminate disposizioni sull'incandidabilità e sull'obbligo di aspettativa non si applicano se i magistrati hanno cessato di appartenere ai rispettivi ordini giudiziari (ad esempio, per pensionamento o dimissioni) da almeno 2 anni. 
  L'articolo 2 introduce il divieto di assumere incarichi di governo nazionali, regionali o locali, per i magistrati che non siano collocati in aspettativa.Attualmente è previsto il collocamento fuori ruolo di diritto ovvero il collocamento in aspettativa per gli appartenenti alle magistrature ordinaria e speciali chiamati a ricoprire incarichi di Governo nazionale. La legge n. 215 del 2004 (in materia di risoluzione dei conflitti di interessi) stabilisce che nell'ipotesi dell'assunzione di incarichi di Governo nazionale, i dipendenti pubblici e privati sono collocati in aspettativa. 

  Per quanto riguarda gli organi di governo locale, ovvero i sindaci, i presidenti dei consigli comunali, i presidenti dei consigli circoscrizionali, nonché i membri delle giunte, l'articolo 81 del TUEL (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) prevede che se la carica è rivestita da un lavoratore dipendente questi possa essere collocato a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato. Per gli enti locali, dunque, al momento l'aspettativa è facoltativa. Mentre diventerebbe condizione indispensabile con l'approvazione di questo testo di legge. 
  L'articolo 3 disciplina l'accertamento dell'insussistenza di cause di incandidabilità agli organi elettivi, richiedendo che l'atto di accettazione della candidatura da parte del magistrato debba essere corredato da una dichiarazione sostitutiva (cd. autocertificazione) nella quale l'interessato attesta l'insussistenza delle condizioni di incandidabilità sulla base delle norme vigenti. 
  La disposizione riprende la disciplina attualmente prevista per le altre cause di incandidabilità dal testo unico in materia di incandidabilità. 
  Sempre all'articolo 3, comma 2, l'accertamento dell'incandidabilità è svolto, in occasione della presentazione delle liste dei candidati ed entro il termine per la loro ammissione. 
  Quanto al contenuto degli articolo successivi, dal 4 al 16, rimanda al testo della relazione che consegnerò al termine. 
  Mi limito ad aggiungere alcune altre brevi considerazioni: ritengo, Presidente, che il provvedimento in esame abbia trovato nel lavoro delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia qui alla Camera, un contributo davvero positivo, che ha consentito di migliorare un testo già buono di partenza. 
  Quello che abbiamo svolto è stato un lavoro intenso che consentirà, se verrà approvato nei termini in cui è uscito dalla commissione, di unire tre esigenze fondamentali: rispettare l'autonomia tra i diversi poteri dello Stato; impedire che venga compresso il diritto costituzionale all'elettorato passivo per una categoria di persone, i magistrati, che ha invece tutto il diritto di decidere di servire il Paese in modalità differenti da quelle giusrisdizionali; e infine impedire che la temporanea militanza politica e istituzionale costituisca uno strumento che possa essere utilizzato in maniera impropria da chi volesse decidere di sovrapporre il proprio ruolo giurisdizionale con quello politico-amministrativo con le ovvie infauste conseguenze. 
  L'importanza e la delicatezza dell'argomento mi portano ad auspicare, Presidente, che si possa giungere all'approvazione di questo provvedimento con il più ampio consenso possibile. Stiamo trattando un argomento che ha a che fare con quegli equilibri raggiunti e garantiti dalla nostra Costituzione che ritengo, come sono certo ritengano molti altri italiani, sia giusto rafforzare con norme adeguate e ancor più rispondenti allo spirito con cui i nostri padri, e le nostre madri costituenti, vollero stabilire una salutare separazione e autonomia tra poteri dello Stato. 
  Grazie. 
  Di seguito un esame puntuale degli altri articoli del provvedimento: L'articolo 4, non modificato rispetto alla formulazione del Senato, prevede che durante il mandato elettivo e durante Io svolgimento di incarichi di Governo il magistrato deve obbligatoriamente trovarsi in aspettativa, in posizione di fuori ruolo e che l'aspettativa è computata a tutti gli effetti ai fini pensionistici e dell'anzianità di servizio. 
  L'articolo 5 è stato invece considerevolmente modificato rispetto alla versione del Senato. Qui si agisce normando i casi di ricollocamento per magistrati che si siano candidati alle elezioni europee, politiche o amministrative, senza essere eletti. Inizialmente si prevedeva il ricollocamento nel ruolo di provenienza con un periodo di 5 anni possano in cui è consentito esclusivamente svolgere funzioni giudicanti collegiali Inoltre, i magistrati non eletti non possono coprire incarichi direttivi o semidirettivi. Con l'intervento attuato dalle commissioni competenti qui alla Camera si prevede che nei due anni successivi alla data delle elezioni i magistrati non eletti non possono esercitare le funzioni inquirenti e che le funzioni permesse possono essere svolte in un ufficio fuori dalla circoscrizione in cui è avvenuta la candidatura. 
  Con l'articolo 6 di questa legge si sancisce un principio che ha trovato ampia condivisione, ovvero che alla cessazione del mandato elettorale il magistrato non possa tornare a svolgere le funzioni precedenti. Tema assai più delicati è, invece, stabilire quali funzioni possano essere svolte dal magistrato che rientri nel proprio lavoro al termine di un incarico istituzionale; delicato anche per i rilevanti profili costituzionali che vengono lambiti, con particolare riferimento all'articolo 51 della Costituzione, che al comma 3 stabilisce che colui che è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di conservare il posto di lavoro. D'altra parte non si poteva operare neppure correndo il rischio di comprimere le possibilità di carriera di un magistrato, poiché si rischierebbe la violazione del diritto costituzionale all'elettorato passivo. 
  Dunque con il lavoro svolto nelle commissioni di merito, si è previsto per i magistrati eletti il ricollocamento presso gli uffici nazionali della procura generale e della corte di cassazione se ne abbiano i requisiti, con il divieto di assumere incarichi direttivi e semidiretttivi, per 3 anni. In ogni caso possono essere ricollocati nel distretto di corte di appello con funzioni di merito in cui è ricompresa la circoscrizione elettorale nella quale sono stati eletti, e, laddove assegnati a funzioni di merito, devono svolgere funzioni collegiali per 3 anni (anziché i 5 previsti dal testo Senato). Rimane la possibilità di ricollocamento presso l'avvocatura dello stato ma non in un ruolo autonomo, oppure la possibilità di essere inquadrati nel ruolo ministeriale ma eliminando l'irragionevole divieto di assumere incarichi direttivi e semidirettivi che integrerebbe un demansionamento di per sé incostituzionale. 
  L'articolo 7 si riferisce al governo nazionale e dunque alle cariche di: presidente del consiglio dei ministri; vicepresidente del consiglio dei ministri; ministro; viceministro; sottosegretario di Stato e equipara, ai fini del ricollocamento in ruolo, il magistrato che cessa da uno dei suddetti incarichi al magistrato che cessa dal mandato parlamentare nazionale o europeo. Abbiamo confermato l'impianto uscito dal Senato, ma vi abbiamo aggiunto una normativa specifica per i magistrati che siano chiamati da ministri, regioni, sindaci, a ricoprire incarichi di diretta collaborazione, incarichi, dunque, di natura fiduciaria, nonché per incarichi di nomina parlamentare (quindi ad esempio Autorità indipendenti, per la loro intrinseca natura più politica). Per questi casi viene disposto il rientro nell'ufficio di provenienza anche in sovrannumero e il divieto di ricoprire incarichi direttivi per un anno, previsione analoga a quella prevista per i componenti del C.S.M. 
  All'articolo 8 siamo intervenuti con modifiche volte solo alla soppressione del ruolo autonomo nell'ambito dell'Avvocatura dello Stato. 
  L'articolo 9 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati che abbiano svolto il mandato elettorale negli enti territoriali, ovvero che siano stati eletti: sindaco o consigliere comunale; presidente delle provincia o consigliere provinciale; consigliere circoscrizionale. A proposito del ricollocamento in ruolo per i magistrati cessati da cariche territoriali, vige la stessa disciplina per chi ha esaurito il proprio mandato parlamentare nazionale o europeo. Qui alla Camera siamo intervenuti semplicemente sottoponendo alla stessa disciplina anche i presidenti di Regione e i sindaci metropolitani. L'articolo 10 ha per oggetto la disciplina applicabile alla magistratura onoraria. Senza illustrarne nel dettaglio i contenuti, possiamo sintetizzarlo indicandone il principio-guida: i magistrati onorari non possono essere candidati per l'elezione alla carica politiche europee, nazionali o locali nelle circoscrizioni elettorali comprese, in tutto o in parte, nel distretto di corte di appello ove ha sede l'ufficio giudiziario nel quale, a qualsiasi titolo, sono assegnati o esercitano le loro funzioni, ovvero nel quale, a qualsiasi titolo, sono stati assegnati o hanno esercitato le loro funzioni nei dodici mesi precedenti la data di accettazione della candidatura. 
  Per ragioni coordinamento con la legge Del Rio si è stato soppresso l'articolo 11 del testo Senato, relativo ai principi di candidabilità dei magistrati alle elezioni regionali e di assunzione dell'incarico di assessore regionale, preferendo prevedere le singole disposizioni nel corpo degli specifici articoli del testo. 
  L'articolo 12 reca una norma transitoria doverosa volta a graduare il primo impatto della nuova disciplina. Non si può non tenere conto dei soggetti che al momento che hanno effettuato la scelta di candidarsi o di ricoprire alcuni incarichi, lo hanno fatto con norme che prevedevano diverse modalità di rientro rispetto a quelle che ora si intendono introdurre nell'ordinamento. Viene dunque previsto il ricollocamento anche presso gli uffici nazionali (Corte di cassazione, Procura generale presso la Corte di cassazione e Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo), in presenza dei requisiti. Il vincolo delle funzioni collegiali, laddove il rientro avvenga presso la giurisdizione di merito, è di 3 anni con il divieto di ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi per il periodo di due anni. Come per la normativa ordinaria anche per quella transitoria si prevede l'eliminazione del ruolo autonomo presso l'avvocatura dello Stato. 
  L'articolo 13 del Senato prevedeva un'ulteriore ipotesi di astensione obbligatoria del giudice il cui mancato rispetto avrebbe comportato la possibilità di ricusazione. In particolare si prevedeva un obbligo di astensione per il giudice penale che abbia, in qualsiasi fase della propria vita, partecipato ad elezioni (a qualsiasi livello di governo, e anche senza essere necessariamente eletto) o ricoperto qualsiasi incarico di governo. L'articolo è stato soppresso dalle Commissioni, considerato che questi nuovi casi di astensione e ricusazione non appaiono necessari in un sistema che già prevede ipotesi generali che già le comprenderebbero. 
  All'articolo 14 di questa nuova legge si prevede un nuovo illecito disciplinare prevedendo una sanzione non inferiore alla perdita di anzianità per almeno due anni a carico del magistrato che accetta la candidatura a parlamentare europeo, parlamentare nazionale, consigliere regionale, provinciale, comunale o circoscrizionale, ovvero che accetta un incarico di governo nazionale, regionale o locale in violazione di disposizioni di legge. 
  L'articolo 15 estende ai magistrati amministrativi, contabili e militari la sanzione disciplinare della perdita di anzianità per almeno due anni laddove abbiano accettato la candidatura alle elezioni europee, politiche, regionali o locali, ovvero abbiano assunto incarichi di governo nazionale o locale, in violazione della riforma. 
  Infine, l'articolo 16 abroga le disposizioni anche speciali in contrasto con le norme proposte.