Discussione generale
Data: 
Lunedì, 20 Ottobre, 2014
Nome: 
Francesco Sanna

A.C. 275-A ed abbinate

 Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, oltre vent'anni fa in quest'Aula Beniamino Andreatta ricordava come l'Italia avesse recuperato credibilità e stima sul piano internazionale anche attraverso il rigore dimostrato nel liquidare e perseguire i guasti della commistione tra affari e politica. E, ricordava allora, che la soluzione del conflitto di interessi, per essere credibile, deve seguire le regole riconosciute valide dalla comunità internazionale. 
Noi siamo qui semplicemente perché, dopo vent'anni, le regole ritenute necessarie, ma anche sufficienti per disciplinare in maniera capace di risolverlo il conflitto di interessi tra lo svolgimento di una funzione pubblica e la posizione economica, patrimoniale, di interesse finanziario o anche non patrimoniale di un funzionario pubblico, che la comunità internazionale riconosce, non esistono nel nostro Paese. Non esistono nel nostro Paese perché abrogare la legge Frattini – la proposta di cui stiamo discutendo, che è un buon punto di partenza, ma che ha bisogno di una manovra emendativa profonda. Quella del PD è il frutto anche della riproposizione dei temi e delle proposte dei parlamentari del Partito Democratico, quella a prima firma dell'onorevole Bressa, quella a prima firma dell'onorevole Civati, con il contributo che viene da una elaborazione realizzata dopo aver ascoltato coloro che sono impegnati nell'applicazione delle attuali disposizioni sul conflitto di interessi, significa sostanzialmente attribuire un potere diverso a chi deve valutare queste condizioni di conflitto di interessi nelle cariche pubbliche e deve soprattutto fare questa valutazione in maniera preventiva. 
Tutte le proposte di legge insistono sul cambio di filosofia e qui siamo nella rispondenza agli indirizzi degli organismi internazionali, del consensus, diciamo così, internazionale, a cui vent'anni fa Beniamino Andreatta in quest'Aula si riferiva. Non basta intervenire ex post quando, in maniera conclamata, un provvedimento è di tutta evidenza in conflitto con l'interesse del Presidente del Consiglio, di un Ministro, di un sottosegretario e ci si ferma lì, al Governo nazionale perché la Frattini si ferma lì. 
Perché vi sia una deterrenza, una dissuasione capace di orientare i comportamenti pubblici, dobbiamo quindi rappresentare, prima che si formi il conflitto di interesse, che quella determinata situazione di status patrimoniale, di status economico, di possesso di mezzi di produzione particolarmente governati dalla decisione pubblica, oppure anche particolarmente capaci di subire l'influenza di decisioni pubbliche e quindi anche di influire sul comportamento pubblico del decisore, ebbene noi dobbiamo, prima che questo accada, vedere rappresentata in modo veritiero la situazione patrimoniale, la situazione di direzione delle aziende, la situazione di controllo effettivo, sia quello reale sia quello apparente sia quello sostanziale, di chi poi si avvicina alla gestione della cosa pubblica. 
A noi interessa colpire questo, il conflitto di interessi in senso sostanziale ed effettivo, come ci chiama a fare la migliore esperienza dei Paesi democraticamente ed economicamente evoluti. Una legge sul conflitto di interessi è una legge, infatti, che esiste solamente dove esiste la democrazia politica, dove esiste la democrazia economica e dove esiste un approccio costituzionale al rispetto ed al contemperamento degli interessi e dei valori costituzionali, da una parte di partecipazione alla rappresentanza politica e quindi alla gestione democratica della cosa pubblica, e dall'altra la libertà di impresa. 
Quindi, una legge sul conflitto d'interessi è una legge di un sistema politico squisitamente democratico e squisitamente liberale in senso economico, perché ogni alterazione che avviene al sistema economico perché tollera un conflitto di interessi non colpito, non prevenuto, non represso, è un sistema che cambia le regole della democrazia economica ed interviene pesantemente a condizionare il gioco delle parti che operano in un regime di concorrenza e quindi in un sistema economico ispirato ai principi liberali. 
Noi vogliamo che le situazioni di pericolo, dove gli interessi privati riconducibili ad un pubblico ufficiale presentino un'attitudine concreta ad influenzare il corretto esercizio della funzione di pubblica alla quale egli è preposto, siano appunto precedentemente evidenziate e corrette. 
Tutto questo non significa che noi vogliamo una penalizzazione della partecipazione al gioco politico degli imprenditori, dei professionisti, di tutti coloro che stanno fuori dal circuito della politica tradizionale, come è stata per molti anni intesa nel nostro Paese, però dobbiamo prendere atto che da 20 anni almeno è crollata l'esclusiva da parte dei partiti politici della rappresentanza nelle istituzioni; o meglio, è terminata la fase in cui i partiti politici producevano un idealtipo di rappresentante, formato dentro il partito, coltivato dentro il partito, allevato nell'esperienza istituzionale, portato dentro le istituzioni dal partito mediante meccanismi che potevano essere i più vari, ma che mai vedevano un ingresso di una società civile che proviene anche dalle attività economiche – e da quelle di esse più importanti – direttamente nei gangli del potere pubblico, della rappresentanza parlamentare e anche del Governo. 
E la fine di quella che Pietro Scoppola ha chiamato la «Repubblica dei partiti», quella che in Germania si chiama Parteienstaat, determina la necessità che le regole cambino. Non basta più la regola consuetudinaria per cui, quando uno è in conflitto di interesse, si dimette spontaneamente, senza che alcuna regola di natura cogente lo obblighi a farlo, senza che nessuno lo controlli; al massimo, lo controlla la sua coscienza e lo controlla il suo partito, ma non è così. E non basta nemmeno il controllo dell'opinione pubblica, laddove l'opinione pubblica è contrastata su questi temi. 
Vi è bisogno di una legge, e noi siamo qui perché questa legge la vogliamo, vogliamo essere chiarissimi su questo punto. Il testo base presentato dal presidente Sisto, nonostante che egli abbia fatto un'obiezione di coscienza su di esso, ma ha rappresentato che vi è una sua riserva mentale; egli non si sposa, diciamo così, con questo testo. È un testo – dicevo – frutto della discussione sui contenuti dei diversi progetti di legge. 
L'approccio del Partito Democratico è diverso: il testo base è un buon testo di partenza, compilativo delle diverse posizioni emerse dalla presentazione delle proposte di legge, ma ha bisogno di alcune correzioni. Alcune correzioni sono profonde: ripeto, le troviamo negli emendamenti che ripropongono i contenuti delle proposte di legge di origine democratica e poi anche dalla manovra emendativa che è venuta fuori dalla discussione. 
Noi riteniamo che, partendo da questo approccio di prevenzione del conflitto di interessi, si trovino, anche nel prosieguo dell'iter legislativo, soluzioni tecniche capaci di fugare l'idea che qui si stia criminalizzando alcunché rispetto alla partecipazione al gioco politico degli imprenditori e anche, direi soprattutto, di coloro che hanno una capacità di portare dentro il sistema politico ilproprium della loro esperienza di imprenditori. Non è questo che vogliamo, lo voglio ripetere, ma non vogliamo nemmeno dimenticare l'aspetto di antimodernità che esiste nel sistema italiano di oggi, che esiste sicuramente dai primi anni Novanta e che continua a persistere anche dopo l'approvazione della legge Frattini. 
Nelle relazioni semestrali delle due autorità indipendenti incaricate di risolvere e sanzionare il conflitto, ai sensi della Frattini, si sono contati 19 punti deboli della legge, e ce li hanno raccontati coloro che questa legge devono applicarla. Ad esempio, mancano completamente disposizioni sui conflitti di interessi che riguardano le regioni, che sono un pezzo fondamentale, soprattutto dopo il 2001, dell'amministrazione dello Stato. 
In certe parti d'Italia vi è un pezzettino di Stato e la Repubblica ha il nome, invece, importante e grande, di regione. Lì non esiste conflitto di interesse. Abbiamo la possibilità di presidenti di giunta e assessori regionali che possono legittimamente operare, nell'ambito delle loro attività economiche, dentro il sistema economico regionale senza porsi questo problema. 
C’è nella legge n. 215 un doppio criterio che non ha funzionato, e che ha condotto, molto spesso, nell'ambito delle valutazioni delle autorità indipendenti, a quella che esse stesse riconoscono essere una sorta di probatio diabolica. Perché bisogna non solamente dimostrare, per dire che vi è un conflitto di interessi, «l'incidenza specifica e preferenziale» dell'atto di Governo su un patrimonio del soggetto istituzionale, ma questa deve essere congiunta ad un «danno per l'interesse pubblico», e questo è difficilissimo da dimostrare, laddove la nozione di interesse pubblico è una nozione negli atti di Governo nazionale molto derivante dall'indirizzo politico. Per cui se io formo un atto di Governo, determinato da un indirizzo politico che ritengo sia stato suffragato dal voto di fiducia del Parlamento al Governo, questo elemento della fattispecie non si rileverà mai e, quindi, è impossibile che ci sia il conflitto di interessi nel momento in cui il popolo, piuttosto che il Parlamento, ha dato mandato al Governo di fare delle riforme che,ad libitum, pongano poi una serie di condizioni di vantaggio oggettivo a favore di membri del Governo stesso, che se autoapplicano. Quindi, una legge sostanzialmente senza possibilità di attuazione, o con possibilità di mettere davanti coloro che devono valutare il fenomeno di fronte a casi, addirittura denunciati, tali per cui il sistema di valutazione si trasformava in vera e propria beffa. Nel Consiglio dei ministri, un ministro è in patente conflitto di interessi con quel provvedimento, si deve astenere, si alza, ed esce dalla sala del Consiglio, il suo collega propone al suo posto il provvedimento che è di conflitto oggettivo tra la carica pubblica e l'interesse economico del Ministro che si astenuto. Cosa succede nel caso in cui un Ministro compie un atto a favore di un altro Ministro ? Assolutamente niente, perché questo non è contemplato dalla legge. Allora, noi abbiamo il dovere questa legge di completarla, di precisarla, a partire dal testo base, ma introducendo alcune significative modifiche, che noi ci siamo incaricati di scrivere nella nostra manovra emendativa. Intanto, vorremmo che una definizione di conflitto di interessi esista, ci sia nella legge (oggi nella legge Frattini non c’è) che essa accolga questa definizione nella nitidezza, nella definitezza, nella determinatezza della sua formulazione, e anche considerando alcune dimensioni extraeconomiche che non aprano tuttavia la stura ad una valutazione politica dell'operato del Governo e dell'operato del Parlamento, ma che comunque pongano un limite preventivo alla situazione di conflitto in cui si trovi l'uomo di Governo. Vogliamo un allargamento della disciplina del conflitto di interessi alle cariche pubbliche che non sono solamente i sessanta membri del Governo, ma sono anche i membri delle autorità indipendenti, ma sono anche gli esecutivi e i legislativi delle regioni, sono anche coloro che svolgono un mandato di rappresentanza politica negli enti locali; anche qui c’è bisogno di una revisione che sia rispettosa della Costituzione italiana. Per le regioni non è possibile una legge delega, ma è doverosa la fissazione di princìpi, affinché nel giro di pochi mesi vi sia un adeguamento degli statuti che devono, ai sensi dell'articolo 122 della Costituzione, disciplinare la materia dell'ineleggibilità e dell'incompatibilità dentro quale ricade la materia del conflitto di interessi. E per quanto riguarda le autonomie locali dobbiamo, senz'altro, conferire al Governo una delega legislativa; molto precisa però, perché si tratta comunque di una limitazione, di una precisazione, di valori costituzionali, di diritti costituzionali, come quelli dell'elettorato passivo da una parte, e della libertà di esercizio di impresa dall'altra. 
È un bilanciamento delicato quello che dobbiamo operare, e questo è il punto politico che mi indurrebbe a dire che tutte le forze che operano in Parlamento e hanno sino ad oggi lavorato al tema dovrebbero sfuggire alla tentazione di farne un luogo di polemica politica. Noi stiamo facendo una riforma che è – se ci riusciamo – la diretta applicazione della Costituzione. Stiamo facendo una legge che non ha il valore formale di legge costituzionale, ma è sicuramente una legge di rilevanza costituzionale. 
È un bilanciamento delicato con l'articolo 51, per cui ogni cittadino ha diritto di partecipare alla gestione della cosa pubblica. E sono ormai più di circa quarant'anni che la Corte costituzionale ci ha spiegato che l'eleggibilità è la regola e l'ineleggibilità è l'eccezione nella partecipazione alle cariche di Governo e alle cariche di rappresentanza politica. E poi c’è un tema che riguarda l'eguaglianza. Sappiamo che partecipare in modo eguale, come ci dice l'articolo 51 della Costituzione, al gioco politico per un cittadino vale sia per il cittadino privo di mezzi, ma vale anche per il cittadino che ha mezzi più importanti rispetto alla media dei cittadini italiani. Quindi, vale per i poveri, ma vale anche per gli abbienti. 
Ma per entrambi vale il dovere di disimpegnare questi incarichi con dignità ed onore e per entrambi vale la regola per cui quando si è al Governo si giura con una formula che impegna ad un esclusivo interesse, nello svolgimento dell'incarico di Governo: a servire la Repubblica e rispettarne le leggi. E non si può essere serventi della Repubblica e rispettarne le leggi quando si ha sovrastante un interesse economico che influisce sulla tua condotta di Governo. Questo è il punto che rende questo provvedimento costituzionalmente necessario. 
Però ci sono anche gli articoli 41 e 42 della Costituzione. La proprietà privata è libera e io non posso impedire a un imprenditore, anche rilevante, di partecipare al gioco politico, ma questo gioco politico non deve far finta che lui sia un cittadino semplicemente uguale agli altri, ma deve prendere atto del fatto che egli svolge un determinato ruolo sociale che lo mette in una condizione più favorevole, lo mette in una situazione di potenziale conflitto del suo interesse con quello pubblico. E quindi, l'esercizio del diritto della proprietà privata e della libertà di impresa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale. E l'utilità sociale è l'altro criterio che noi dobbiamo considerare e contemperare per scrivere la legge. 
Quindi, non basta più separare i poteri pubblici, evitarne il cumulo e la confusione, quando, come ho detto prima, è saltato lo schema per il quale la rappresentanza politica era tutta nelle mani dei partiti. Noi con questa legge vogliamo chiarire le relazioni non solo nei poteri pubblici, dentro i poteri pubblici, ma anche separare e chiarire le relazioni degli interessi privati, del rappresentante istituzionale che si fa potere pubblico e che disimpegna una funzione pubblica. 
Concludo dicendo che la tecnica con cui noi arriviamo a questo risultato ricalca le proposte che i colleghi del Partito Democratico hanno presentato e le arricchisce in una originale manovra emendativa. Noi vogliamo che vi sia, nel testo che approveremo, un sistema per il quale chi decide dell'esistenza del conflitto di interessi sia un organismo il più possibile capace di avere caratteristiche di autorità indipendente, ma non vogliamo creare una nuova autorità indipendente. Vogliamo assolutamente limitare i costi di questo organismo al minimo e questo minimo si realizza con un asservimento, con un avvalimento delle autorità indipendenti, già specializzate in questi dieci anni, che devono migliorare la loro performance sulla base di una legge e sulla base dell'attività di questa commissione, snella, piccola, fatta di personalità – secondo noi – non nominate dal Presidente della Repubblica – come ci suggerisce il testo base – ma votate dal Parlamento, possibilmente in seduta comune, con un'assunzione integrale di responsabilità del Parlamento. Infatti, se il Parlamento dà la fiducia al Governo, il Parlamento deve investire di un potere molto importante chi controlla le condizioni di sussistenza di un requisito per poter svolgere il ruolo di Governo. Questo farà parte di una cultura istituzionale – se la proposta di legge verrà approvata – che nel tempo si affermerà, ma intanto dirla in questo modo significa far assumere al Parlamento e all'investitura parlamentare un significato di legittimazione dell'attività della commissione. Noi vogliamo aumentare e fare del conflitto di interessi una regola di sistema della politica italiana e delle istituzioni italiane. Per questo non parliamo più di Governo nazionale, ma parliamo di tutte le cariche pubbliche. Noi vogliamo che la pubblicità e la trasparenza patrimoniale siano un costume che riguardi tutti coloro che vengono chiamati alla gestione della cosa pubblica, da chi gestisce una briciola a chi gestisce le sorti economiche e politiche di questo Paese. Per questo rimettiamo alla riflessione del Parlamento la formazione, attraverso i diversi sistemi che proponiamo, di una vera e propria anagrafe patrimoniale della politica italiana. L'OCSE ce lo sollecita: non nascondete, una volta che c’è un obbligo di trasparenza patrimoniale il render nota, il rendere pubblica la condizione patrimoniale degli uomini di Governo. Perché uno alla fine deve semplicemente dire quanto è ricco quando entra in politica e come ne esce quando finisce il suo mandato. Vogliamo i criteri più stringenti e precisi per questa costruzione dell'anagrafe patrimoniale. Vogliamo sostanzialmente anche parlare e direi anche integrare il lavoro che faremo su questa proposta di legge con quello che si sta facendo a livello di revisione dei Regolamenti parlamentari. Lo dico a titolo personale in questo momento: bisognerebbe cambiare completamente il sistema di applicazione dell'articolo 66 della Costituzione in entrambi i rami del Parlamento. Il lavoro delle Giunte delle elezioni, che oggi sono quelle che valutano i ricorsi sulla ineleggibilità e valutano la compatibilità dei diversi ruoli, delle diverse cariche private con quelle pubbliche, è un lavoro che non può durare il tempo di una legislatura. Va fatto in pochissimo tempo e all'inizio della legislatura senza la melina delle richieste di precisazione e recuperando o nella giurisprudenza parlamentare o nella regolamentazione delle Giunte (preferirei questa seconda) un criterio preciso per cui chi guida le imprese e si trova in una situazione di ineleggibilità, veda riscontrata questa situazione o, se a questa perviene successivamente all'elezione, venga riscontrata la sua incompatibilità. Ma ciò deve riguardare non solo chi guida l'impresa come amministratore, ma anche chi ha il potere di determinare l'orientamento produttivo, l'indirizzo economico, finanziario, insomma chi ha il controllo sostanziale dell'impresa. Questo significa mutare anche il modo con cui i parlamentari vivono la loro dimensione di esposizione pubblica dei propri interessi privati e la loro compatibilità con il lavoro istituzionale che fanno. Facciamo alcune proposte in questo senso. Proponiamo soluzioni graduali dall'astensione alla nullità e, in caso di organi collegiali, alla annullabilità degli atti affetti dal conflitto di interesse dove non vi sia il proporsi spontaneo da parte dell'uomo di Governo, nella sua conclamata situazione di conflitto d'interessi, dell'astensione. Tuttavia sappiamo anche che l'astensione a volte non basta e, quindi, insistiamo per il più puntuale modo di disciplina del sistema del blind trust, che non deve essere un modo per sfuggire, diciamo così, con una formula elegante ed esterofila al vero dovere che l'uomo di Governo deve avere in questa situazione, se vuole continuare a fare politica, se vuole far prevalere la passione e il mandato ottenuto dal popolo sul suo profilo di capo impresa. 
Qui dobbiamo essere il più possibile precisi per essere capaci di vedere applicato l'istituto, non di vederlo declamato. È un istituto vecchio questo del mandato fiduciario, risale al 1939; ce ne sono di più recenti, peccato che siano stati tutti inventati in paradisi fiscali. Noi non vogliamo questo, non vogliamo, come altre soluzioni proponevano, la possibilità che uno si vada a scegliere il paradiso fiscale dove collocare il pacchettino di azioni: vogliamo l'effettiva irrintracciabilità dell'interesse che noi dobbiamo schermare per rendere possibile la convivenza tra il grande patrimonio, il profilo di imprenditore importante e l'esperienza politica di governo. 
Non mi soffermo su tutti gli altri elementi tecnici, ci sarà la possibilità di farlo durante la discussione e la proposizione degli emendamenti. Ritengo, per concludere, che quella profezia di vent'anni fa di Beniamino Andreatta – per cui un Paese che ha fatto i suoi sacrifici deve avere anche le regole del gioco tra democrazia economica e democrazia politica ben assestate, ben riconosciute dal sistema nazionale – sia arrivato il momento di metterla in atto, di scriverla definitivamente con la collaborazione di tutte le forze politiche, perché stiamo scrivendo una regola che non è formalmente costituzionale, ma è di applicazione diretta di principi costituzionali, di cui noi dobbiamo aspirare a trovare la sintesi migliore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).