Dichiarazione di voto finale
Data: 
Mercoledì, 18 Maggio, 2016
Nome: 
Roberto Morassut

A.C. 1994-A

Presidente, il provvedimento che ci apprestiamo a votare interviene sulla complessa materia delle demolizioni dei manufatti abusivi e sulle competenze di vari organi dello Stato nella repressione del fenomeno, e degli strumenti e le modalità attraverso i quali rendere efficaci gli interventi repressivi. 
Il fenomeno dell'abusivismo edilizio esprime plasticamente le contraddizioni storiche e sociali dello sviluppo delle città italiane e dell'urbanizzazione di grandi masse agrarie nel dopoguerra, soprattutto, ma non solo, nel Mezzogiorno d'Italia. Il contrasto violento tra città e campagna, tipico di un Paese con uno sviluppo industriale tardivo e violentemente concentrato in poco tempo, e il peso che la grande rendita fondiaria ha esercitato sullo sviluppo del Paese hanno condotto l'Italia di fronte a problemi gravi per quello che riguarda la salvaguardia del paesaggio, la tutela dei beni storici e architettonici, l'integrità di molti contesti rurali; e, sul piano sociale, la conquista del diritto al bene casa da parte di milioni di famiglie, escluse dall'offerta edilizia delle città e costrette fino agli anni Ottanta, ma spesso ancora oggi, ad un abusivismo di necessità per poter avere una casa o per poter adeguarla a migliori standard di vita. Grande consumo di territorio non pianificato, precarietà delle urbanizzazioni e dei servizi primari e secondari, delle opere pubbliche e delle infrastrutture sono stati e sono ancora oggi tra le conseguenze di quella fase primaria dell'abusivismo edilizio, che ha conformato così grandi settori di periferie urbane, stravolto porzioni di centri storici e dato vita spesso e diffusamente a tessuti industriali e manifatturieri spontanei, che hanno dovuto sempre fare i conti col costo troppo alto dei suoli legali. Nel tempo, però, l'abusivismo edilizio ha parzialmente cambiato volto, trasformandosi da abusivismo di necessità in abusivismo speculativo, anche se in molte zone non ha perduto i caratteri originari di un fenomeno sviluppatosi da povertà e arretratezza delle situazioni sociali. 
L'abusivismo speculativo a partire dagli anni Novanta ha alimentato un ciclo edilizio che definire sommerso appare grottesco, e che invece è un pezzo dell'economia reale, del PIL, e si accompagna però ad evasione fiscale, lavoro nero, danno ambientale e spesso criminalità; e colgo l'occasione per dare una testimonianza di solidarietà dell'Aula al presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci scampato ieri ad un attentato solo grazie alla presenza della scorta di polizia e dell'auto blindata, un attentato perpetrato per la sua azione per la legalità e la tutela ambientale. Anche questa è l'Italia di oggi, se leggiamo il rapporto il 2015 dell'ISTAT che riporta dati preoccupanti sulla crescita recente del fenomeno, dati che sono stati diffusamente segnalati nel corso del dibattito da vari colleghi. 
Le risposte che nel tempo sono state date all'abusivismo edilizio riflettono in verità queste contraddizioni. E le tre leggi sul condono che sono state approvate con cicli esatti di nove anni l'una dall'altra, più o meno quelli del ciclo edilizio abusivo di quegli anni, nel 1985, nel 1994 e nel 2003, portano i segni di questa storia, ne riflettono le contraddizioni e motivano, in parte spiegandole, le perduranti difficoltà di molte amministrazioni ancora oggi nel chiudere questa drammatica pagina in parte sanando quel che rientra nei limiti di legge e in parte reprimendo, abbattendo e ripristinando i contesti originari. La legge che ci apprestiamo a votare interviene in questo specifico segmento del procedimento che segue un abuso dal suo nascere e che ad un certo punto biforca o nel condono o nella reiezione e, quindi, nella demolizione o direttamente nella repressione di un abuso che non rientra nei termini di legge e non è legato ad alcuna richiesta di sanatoria. Sia chiaro, e lo dico a nome del gruppo del Partito Democratico, il provvedimento per come è arrivato dal Senato non era soddisfacente; esso nasceva, sì da un'esigenza reale, ossia come rendere più fluido e dare un ordine al movimento della pubblica amministrazione, sia in sede penale, che amministrativa, come prescrive l'ordinamento in materia di demolizioni. Esigenza che nasceva a sua volta da situazioni specifiche, controverse, faticosamente affrontate negli anni tra ricorsi, leggi nazionali, leggi regionali, conflitti tra diversi livelli di governo e pareri della Consulta, come quella della Campania, una regione nella quale sono ancora frequenti le morti a causa di edifici che vengono costruiti su aree prive dei requisiti di sicurezza idrogeologica e ambientale. Questa esigenza reale non era stata risolta efficacemente da quel testo che in un unico articolo elencava undici criteri di priorità attraverso i quali procedere alle demolizioni in caso di pluralità di provvedimenti ablativi dei manufatti da parte dei pubblici ministeri. Un'articolazione di priorità e di criteri che, pur rispondendo a tutta prima ad una prassi operativa in vigore in molte procure, soprattutto campane, è apparsa all'esame della Commissione giustizia eccessivamente articolata e al tempo stesso rigida, non sorretta da una rigorosa valutazione delle varie fattispecie e soprattutto esposta al sempre attivo demone dei ricorsi, delle conflittualità civili e amministrative, non essendo alla fine chiaro se si trattasse di un elenco di priorità tese a gerarchizzare gli interventi repressivi. Un'incertezza, una confusione che avrebbe costretto le stesse procure ad un lavoro disagevole, ad una condotta meccanica e al tempo stesso incerta. 
Il provvedimento rischiava, dunque, non solo di andare nella direzione opposta a quella della razionalizzazione del lavoro delle procure e delle amministrazioni, ma anche di infittire la giungla normativa nella materia dell'abusivismo edilizio. La Commissione giustizia, i cui componenti ringrazio a nome del gruppo del Partito Democratico, a partire dalla presidente Donatella Ferranti, ha svolto un lavoro complesso, articolato, profondo, di audizioni, di ricerca, di ascolto delle Commissioni e che ha profondamente cambiato il testo restituendoci oggi un atto più compatto, più ricco e più efficace nel quale confluiscono anche i suggerimenti di numerosi operatori di giustizia. Oggi il testo che votiamo è diverso perché mantiene e rafforza il doppio regime di intervento nella repressione del fenomeno attraverso l'azione penale e amministrativa; semplifica i criteri per l'esecuzione degli ordini di demolizione plurimi, pur senza dare delle gerarchie che potrebbero generare ricorsi di terzi, ma individuando e offrendo un indirizzo chiaro al lavoro dei pubblici ministeri, con tre fattispecie in cima alle quali vi è la demolizione di immobili realizzati abusivamente con rilevante impatto ambientale o su aree demaniali o in zone soggette a vincolo di ogni tipo e, poi, di quelli che costituiscono pericolo per l'incolumità delle persone o che siano nella disponibilità di soggetti condannati per reati di cui all'articolo 416-bis del codice penale. 
È evidente – e lo dico per quanti hanno voluto strumentalmente sostenere che questo provvedimento, in questa redazione, è un occhio strizzato all'abusivismo, così come ho sentito dire dai colleghi della Lega in curioso contrasto con i loro colleghi di opposizione delle altre forze politiche – che le fattispecie sopraelencate danno un indirizzo chiaro, in particolare contro l'abusivismo speculativo e contro le sue ricadute sul piano ambientale, della legalità e della criminalità. Il nuovo testo modificato rafforza e definisce meglio i poteri e le prerogative dei prefetti e detta tempi certi per ottemperare agli adempimenti che conseguono alla consegna ogni mese di dicembre di ogni anno da parte degli enti locali degli elenchi degli abusi non sanabili. La collega Mannino ha ricordato che è stato istituito, attraverso un emendamento di tutta la Commissione, un fondo rotativo quinquennale per i costi delle demolizioni con uno specifico meccanismo tecnico per la restituzione delle somme in un arco decennale con mutui regolati e con l'istituzione di una banca dati nazionale per l'abusivismo edilizio che renderà più agevole la collaborazione e lo scambio delle informazioni tra le amministrazioni chiamate a operare nella repressione. 
Viene introdotto, infine, l'obbligo a riferire agli organi parlamentari e alle Commissioni competenti, con una relazione periodica, lo stato dell'evoluzione del fenomeno e le risultanze delle azioni di contrasto. 
Con questo provvedimento, dunque, si compie un passo avanti che deve, certo, essere accompagnato da una politica complessiva delle istituzioni, a partire dalle regioni che in molti casi ancora oggi non hanno definito la redazione dei propri piani paesaggistici e questo è grave. Una legge che struttura meglio gli strumenti e le norme di contrasto ad un fenomeno che viene dal profondo della nostra storia, dal cammino delle nostre popolazioni, dai suoi antichi retaggi, le arretratezze, i bisogni e al tempo stesso le illegalità e che per essere cancellato necessita di chiarezza, trasparenza ed efficacia dello Stato, per tutelare lo straordinario e unico patrimonio naturale e di civiltà del nostro Paese che ancora sopravvive nonostante le troppe ferite inferte da uno sviluppo distorto. 
Per questi motivi, annuncio il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico.