Data: 
Lunedì, 27 Aprile, 2015
Nome: 
Marco Di Maio

A.C. 3-bis-B ed abbinate

 

Grazie Presidente, onorevoli sottosegretari, colleghi, la legge elettorale è un argomento da sempre capace di accendere gli animi più di altri argomenti nel dibattito parlamentare. Sicuramente lo è meno tra l'opinione pubblica, ma ciò non ne riduce l'importanza poiché si tratta dello strumento attraverso il quale viene assicurata la solidità della democrazia, il funzionamento delle istituzioni, il riconoscimento della volontà popolare. 
Tre sono gli obiettivi che una buona legge elettorale deve perseguire perché sia definita tale: chiarezza del risultato, governabilità, rappresentanza. Obiettivi che questa proposta di legge, ribattezzata Italicum, a nostro parere, persegue ampiamente. 
I critici di questa proposta di legge sostengono che essa certifichi il sostanziale esautoramento del Parlamento a favore del Governo. Occorre far presente che il testo che l'Aula della Camera esamina oggi è alla terza lettura parlamentare e che la formulazione approvata a Montecitorio in prima lettura, nel marzo 2014, è stata poi profondamente modificata e migliorata durante il passaggio in Commissione e in Aula, al Senato, a seguito di un intenso lavoro parlamentare svolto nell'altro ramo del Parlamento. 
Un lavoro a cui ha contribuito un'ampia maggioranza parlamentare, ben superiore a quella che sostiene il Governo (che pure sarebbe stata sufficiente). A questo proposito, giova ricordare che quello che esaminiamo oggi è lo stesso identico testo votato nel gennaio scorso dall'Aula del Senato, a conclusione, appunto, della seconda lettura parlamentare. Esattamente tre mesi fa, quindi. È del tutto evidente quanto sia erroneo dire – come si sente in questi giorni e come si sente anche in quest'Aula – che questa è una legge scritta e votata dalla sola maggioranza di Governo. Perché è chiaro che la contraddizione non è in chi coerentemente, qui a Montecitorio, sostiene l'intesa raggiunta al Senato (dove numericamente le forze in campo sono differenti), quanto piuttosto in chi, dopo aver sostenuto e votato questo stesso testo a Palazzo Madama, qui alla Camera cambia idea come ritorsione per non avere eletto un Presidente della Repubblica gradito.
Se anche la maggioranza cambiasse rotta in maniera così repentina, sarebbe come dar ragione a chi non ha condiviso quell'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, che invece è, e resterà, uno dei maggiori successi di questa legislatura. 
Si doveva cedere forse a quel voto di scambio tra riforme e Quirinale ? Dovremmo riportare anche questo tentativo di dotare l'Italia finalmente di una legge elettorale degna di questo nome e di completare riforme importanti nella palude dei patti non rispettati ? Dovremmo, forse, riproporre quel film, che si è sempre concluso in passato, con un nulla di fatto e che ha sempre, quasi sempre visto, come protagonista la stessa forza politica che oggi vorrebbe far fallire queste riforme ? 
Non credo sarebbe utile, soprattutto dopo oltre trent'anni di discussioni e Commissioni bicamerali, comitati di saggi e un ampio dibattito dentro e fuori dal Parlamento. I tempi sono maturi per decidere e innovare il nostro sistema politico-istituzionale. La nuova legge elettorale va in questa direzione. 
Le innovazioni di maggior portata sono il premio alla lista e il ballottaggio tra le prime due liste nel caso in cui nessuna delle due raggiunta il 40 per cento dei consensi. Si tratta di una combinazione che assicura chiarezza del risultato e una maggioranza certa (comunque non superiore al 55 per cento dei seggi) per permettere al Governo di governare e alla maggioranza di svolgere la propria funzione. 
Si contesta che un meccanismo simile condanni i partiti minori a rimanere tali e a far crescere molti cespugli attorno ad uno-due alberi più grandi. Argomentazione debole perché la soglia di sbarramento (abbassata dal Senato al 3 per cento) e il premio di maggioranza alla lista che ottiene più voti, assicurano insieme da un lato la rappresentanza alle liste minori, dall'altro che venga meno quel potere di veto che in questi anni ha spesso paralizzato il nostro sistema politico. 
Una paralisi certificata dai 63 Governi che si sono succeduti in 69 anni di vita della Repubblica e dalla perenne instabilità politica degli ultimi anni favorita proprio dalla presenza di coalizioni eterogenee che, pur di riuscire a vincere, contenevano al proprio interno tutto e il suo esatto contrario, salvo poi non riuscire a governare. 
Voler tendere ad un sistema forse non strettamente bipolare, ma certamente maggioritario in cui è garantita la possibilità di una sana alternanza, è cosa utile e giusta. 
L'introduzione dei collegi è un altro buon risultato di questa legge. Se ne contesta la previsione di capilista miscelata con l'elezione di altri deputati attraverso le preferenze. I capilista altro non sono che l'esatta corrispondenza dei candidati che un tempo venivano scelti nei collegi uninominali del cosiddetto «Mattarellum». Per comprenderlo basta guardare il fac-simile della futura scheda elettorale che prevede il nome del candidato di collegio stampato sulla scheda a sinistra del simbolo, costruendo un forte legame tra collegio, candidato e lista di appartenenza. 
Concludo, Presidente, chiedendo: si poteva fare meglio ? Sicuramente, sì. Tuttavia, come ben sa chi da più anni ha l'onore di sedere in questi banchi e forse ha anche avuto qualche occasione per provare a fare meglio, ogni legge è figlia della realtà in cui viene concepita. È così dai tempi dell'Assemblea costituente, il cui risultato fu frutto di estenuanti mediazioni dentro e fra i partiti, ed è così da quanto esiste la democrazia. 
Siamo convinti che dopo i tentativi falliti in passato e soprattutto nelle condizioni e con i numeri di questo Parlamento, questa sia la proposta di legge elettorale migliore possibile e capace di garantire al cittadino, come amava sostenere il senatore Roberto Ruffilli che ha dedicato la vita al tentativo di riformare lo Stato, il ruolo di arbitro.