Data: 
Lunedì, 27 Aprile, 2015
Nome: 
Andrea Giorgis

A.C. 3-bis-B ed abbinate

 

Presidente, Onorevoli colleghi, Governo, difficile in pochi minuti (quali sono quelli di cui dispongono i singoli deputati in questa discussione generale) illustrare i limiti e le irragionevolezze che il testo approvato dal Senato tuttora presenta, e soprattutto avviare un confronto vero nel quale si possa seriamente sperare che la forza degli argomenti faccia breccia e persuada della necessità di apportare alcune modifiche. 
Anche per questo ho chiesto di depositare il presente scritto nel quale sintetizzo le ragioni del mio dissenso in tre considerazioni critiche. 
La prima: questo testo, al di là delle apparenze, ripete gran parte dei vizi della previgente legge Calderoli. 
Non essendo prevista alcuna soglia (di consenso o almeno di partecipazione) per l'attribuzione del premio al ballottaggio, può infatti accadere che (anche) una esigua minoranza politica venga trasformata in una consistente maggioranza parlamentare. Esattamente come poteva accadere sulla base della previgente legge. 
Il divieto di apparentamento e l'assenza di una soglia potrebbe anche indurre le forze minori a entrare nelle liste delle forze maggiori fino ad arrivare a una competizione elettorale tendenzialmente bipartitica. Se però il processo di semplificazione non è espressione di un processo politico e culturale reale, sostanziale, ma è l'effetto di un mero vantaggio giuridico – come avveniva con la legge Calderoli – aumenta il rischio di fragilità e di frammentazione, ovvero il rischio della costruzione di liste contenitori buone per vincere il premio, ma cattive per governare (perché in ultima analisi eterogenee e prive di sostanza programmatica). 
Analogamente a come avveniva con la legge n. 270 del 2005, inoltre, la maggior parte dei deputati, sarà eletta con il meccanismo dei capilista bloccati. I cittadini potranno infatti scegliere direttamente, attraverso l'espressione di una preferenza, solo una minoranza di deputati, e potranno scegliere quale deputato eleggere solo se voteranno la lista che vince il premio di maggioranza. La distanza tra eletti ed elettori è peraltro aggravata – oltre che dall'istituto (particolarmente discutibile) delle pluricandidature – dal meccanismo di riparto sulla base del collegio unico nazionale che rende difficile prevedere in quale collegio territoriale scatta l'attribuzione del seggio; e dunque rende difficile per i cittadini prevedere gli effetti del proprio voto e perfino delle proprie preferenze. 
La seconda considerazione critica che vorrei avanzare potrebbe essere così sintetizzata: il disegno di legge che stiamo discutendo, come per alcuni aspetti già cercava di fare la precedente legge Calderoli, tende a introdurre una surrettizia elezione diretta dell'Esecutivo, che rischia di trasformare la natura del Parlamento, da luogo di rappresentazione del pluralismo politico e sociale nel quale si realizza l'integrazione e l'unità, in un luogo di rispecchiamento della forza del leader e della sua maggioranza (minoranza) che vince il premio: formalmente si vota per la scelta dei parlamentari ma sostanzialmente si sceglie l'Esecutivo (rectius: il suo Capo) cui assegnare una maggioranza di parlamentari (che di fatto dovranno la propria elezione a lui più che agli elettori). 
Il che accentua il profilo personale della competizione politica e molto difficilmente sostiene un processo di rilegittimazione dei corpi intermedi, e in ultima analisi un processo di rafforzamento della capacità decisionale delle istituzioni democratiche. 
Affinché queste ultime possano svolgere una efficace azione di governo, credo infatti sia necessario che sussistano o si realizzino condizioni sostanziali di unità; è in altri termini necessario che i partiti politici non siano marginalizzati e le liste o le coalizioni siano espressione di un processo reale di integrazione. Ciò ovviamente non significa negare che la semplificazione del sistema politico sia un'esigenza reale. Ma solo evidenziare che una eccessiva e astratta semplificazione, priva di sostanza programmatica, rischia di tradursi nel suo contrario, ovvero nella polverizzazione dell'intero sistema rappresentativo, e nel conseguente incentivo a pratiche populiste e demagogiche che, nell'immediato, possono dare l'impressione di sopperire alle difficoltà dei processi partecipativi e alla frammentazione politica, ma alla fine si dimostrano incapaci di conferire alle istituzioni quella forza e quella legittimazione di cui necessitano per mantenere le promesse dello sviluppo e dell'uguaglianza. 
Infine una considerazione di metodo non meno importante di quelle di merito. Le leggi che strutturano l'ordinamento democratico non sono leggi come le altre: il principio di maggioranza deve essere declinato in maniera diversa quando si riscrive parte della Costituzione o si predispone una nuova legge elettorale. Le disposizioni che disciplinano la democrazia, in quanto «regole del gioco» – come si è più volte ripetuto – non devono essere poste da un solo giocatore, ma devono essere condivise, devono essere il prodotto di un ampio accordo tra le diverse forze politiche e, soprattutto – anche per questa ragione – non devono essere poste (direttamente o indirettamente) dal Governo, ma devono essere espressione dell'autonomia parlamentare.