Data: 
Giovedì, 30 Aprile, 2015
Nome: 
Silvia Fregolent

Onorevole Senaldi, mi stupisce ! La Camera ha la possibilità di dare vita ad una nuova legge letterale secondo un modello che coniuga rappresentanza e governabilità. Un impegno che abbiamo deciso di assumere insieme, dentro queste mura, dal primo istante in cui questa legislatura si è formata. Ricordiamo tutti le parole che in quest'aula il Presidente Napolitano volle pronunciare in occasione della sua seconda elezione. Ricordiamo i contenuti di un monito confermato dal Presidente Mattarella. Ricordiamo i toni di un discorso che applaudimmo incessantemente ma che di fatto ci inchiodava alle nostre storiche colpe, all'immobilismo di Governo e maggioranze che per quasi un decennio hanno bloccato ogni progetto di riforma. Erano ormai nove lunghi anni che l'Italia stava aggrappata ad una legge elettorale pessima come il Porcellum e se oggi possiamo dire che abbiamo un diverso sistema elettorale, lo dobbiamo solo alla Corte costituzionale da cui è arrivata un'altra pesantissima strigliata alle forze politiche e alle istituzioni che negli ultimi due lustri hanno avuto la responsabilità di cambiare le cose, fallendo miseramente. Siamo ad un punto di non ritorno, come ha detto il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, l'Italia avrà una nuova legge elettorale oppure avrà un nuovo Governo. Sta a tutti noi e ad ognuno di noi decidere se vogliamo l'una o l'altra cosa e assumercene pienamente la responsabilità. Chi critica questa scelta non riconoscendovi coraggio riformatore è male informato o in cattiva fede. I mali informati gridano alla mancanza di dialogo, al verticismo decisionale, alla mortificazione della rappresentanza politica e parlamentare. Dimenticano perché per oltre quasi un altro anno e mezzo le porte intorno a questo cantiere sono state aperte, tutte le porte anche quelle che affacciavano sulle realtà più piccole. Abbiamo lavorato insieme, abbiamo modificato il testo, lo abbiamo votato e approvato in prima lettura alla Camera e al Senato e chi è in cattiva fede oggi grida al fascismo, come l'onorevole Brunetta che appartiene ad un partito che ha valutato e votato positivamente nell'altro ramo del Parlamento lo stesso identico testo. 
Chi critica la mancanza di pluralità e la fine della rappresentanza ha ottenuto l'abbassamento della soglia di sbarramento dall’ 8 al 3 per cento. Se si pensa che in un grande Paese come la Germania lo sbarramento è al 5 per cento, capiamo come la critica di legge antidemocratica è ridicola. Poi c’è chi sostiene che il provvedimento sia un cavallo di Troia del presidenzialismo con il quale si scardina l'intero impianto parlamentare della nostra repubblica e allora giù critiche o sulla mancanza di contrappesi, su inaccettabili scorciatoie di riforma costituzionale, sui pericolosi squilibri istituzionali che deriverebbero da questo aspetto. Ma non è così: l'Italicum non ha nulla a che vedere con il presidenzialismo. Ad averlo argomentato meglio di me sono politologi dal calibro di D'Alimonte e prestigiosi costituzionalisti come il professor Barbera. 
Quest'ultimo, com’è noto, è stato anche componente di quella «Commissione dei 35» voluta dal Governo Letta, che, prima di sciogliersi, licenziò un documento contenente indicazioni molto vicine allo spirito dell'Italicum. 
Dai primi mesi del 2014, il Governo si è messo al lavoro su un testo approvato prima dalla Camera, poi, nettamente modificato al Senato secondo le indicazioni giunte da vari schieramenti politici. Quello che votiamo oggi è un provvedimento assai diverso rispetto a quello licenziato in prima lettura ed è lontano anni luce dai profili di incostituzionalità rilevati della Consulta sul Porcellum. 
Ricordiamo il punto centrale: la Corte costituzionale ha ritenuto inaccettabile l'attribuzione di un premio di maggioranza, in un'elezione a turno unico, senza l'individuazione della soglia minima da raggiungere; elemento che potrebbe portare forze che raggiungono a malapena il 20 per cento a conseguire una rappresentanza parlamentare del 54. Ora, chi ha voluto e votato questa legge dello scandalo sono gli stessi che oggi vorrebbero apparire «barricadieri», gli stessi che parlano di «legge Acerbo» e che, magari, nei loro interventi parlamentari, si ritrovano, senz'altro per mancanza di argomenti, a citare Mussolini. 
Ad ogni modo, questo ostacolo è stato superato dalla messa a punto di un modello, che prevede due turni e la soglia minima del 40 per cento per far scattare il premio della prima tornata; meccanismo che esclude premi abnormi e fissa il massimo di un 14 per cento di quota premiale, pari ad un premio di 20-25 deputati. Un sistema che attribuisce il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, per evitare il ripetersi di tristi dinamiche a cui abbiamo assistito in passato, con schieramenti legati con lo spago e cartelli elettorali buoni solo per spartirsi il premio e, poi, come si suol dire, ognuno per la sua strada.  Tutto questo finisce con l'Italicum e chi si sbraccia, in buona o cattiva fede, per denunciare un eccesso di premialità al partito vincente non ha presente due aspetti fondamentali. Il primo: la dimensione di questo quid è inferiore a quello che si produce normalmente nei massimi sistemi maggioritari di altre grandi democrazie europee, come Francia e Inghilterra. Siamo in linea con l'Europa, come si usa dire. Secondo: lo stesso Mattarellum, negli anni Novanta, garantiva maggioranze simili a coalizioni che avevano conseguito simili risultati elettorali. Chi critica l'attribuzione del premio ad un partito che al primo turno ha preso, mettiamo, il 25 per cento, lo fa senza fondamento o con la strumentalità di chi ha propri tornaconti. Non si può, infatti, relegare il ballottaggio ad una votazione di rango inferiore: siamo, a tutti gli effetti, di fronte ad uno scrutinio legittimante. Chi vince ottiene, effettivamente, la maggioranza assoluta dei consensi, rendendo più solida e stabile la possibilità decisionale dell'elettore. 
Ma, ancora una volta, attenzione a parlare di presidenzialismo: il Presidente del Consiglio e il Governo che presiede continuano ad essere sottoposti e legati alla fiducia del Parlamento e il Presidente della Repubblica mantiene intatte le sue prerogative e i suoi poteri. Nessun alibi per chi lucra politicamente nel fare confusione tra un sistema istituzionale e una pur importante legge elettorale maggioritaria. 
Tanto si è discusso sulla capacità dell'elettore di scegliere i propri candidati in maniera diretta: possibilità negata dal non compianto Porcellum, e reintrodotta nel modello che stiamo votando. Un confronto serrato ha permesso di trovare un equilibrio tra candidati di collegi e preferenze. Oggi, abbiamo un sistema che garantisce preferenze di voto con alternanza di genere e la capacità dell'elettore di conoscere i candidati che i vari partiti propongono come capilista nei vari collegi. Un modello di piena trasparenza che assicura visibilità ai candidati, dando modo all'elettore di scegliere liberamente quale soggetto politico votare. Niente più di un velo pietoso, invece, sugli aspetti ridicoli e surreali arrivati da esponenti di quei partiti che hanno partorito una legge incostituzionale, battezzata del suo stesso ideatore come «porcata». 
Le tante voci che compongono il panorama politico italiano avranno la possibilità di entrare in Parlamento e di organizzare un'opposizione dura e senza sconti, anche grazie all'abbassamento della soglia di sbarramento al 3 per cento. Ma una cosa è rafforzare le garanzie, un'altra è permettere alle forze di minoranza di esercitare un perenne ricatto sulla maggioranza e sul processo di riforme avviato dall'Esecutivo. Lo abbiamo già vissuto in passato, specialmente noi di centrosinistra: non vogliamo che si verifichi mai più, perché quella è la strada della paralisi, un sentiero senza sbocchi, che ha permesso ad un conservatorismo di destra, ma anche di sinistra di bloccare, negli ultimi vent'anni, qualunque iniziativa riformatrice, qualunque progetto di innovazione. 
Onorevoli colleghi, oggi si decide l'esito dell'iter sull'Italicum: un risultato che, da solo, autorizza a parlare di giornata storica; ma si decide anche altro, qualcosa che ha a che vedere con il ruolo di ognuno di noi qui dentro.
È in gioco una buona fetta della credibilità della politica, della capacità nostra di dare forma a quel percorso di cambiamento che nel 2013 ci ha portato qui. È quello che gli italiani si aspettano da noi, quello per cui ci hanno votato e la ragione per la quale non ci perdoneranno mai se falliremo ancora una volta. Rispedire questa legge al Senato dopo tutte le discussioni, dopo tutte le istanze recepite avrebbe significato fallire, gettare benzina sul rogo dell'antipolitica, allontanare forse definitivamente i cittadini dal sistema della rappresentanza e dalle istituzioni democratiche. So che per alcuni di voi questa ipotesi rappresenta un'auspicabile prospettiva, ma per chi fa politica guidato dal senso di responsabilità, e siamo in tanti qui a farlo, questa ipotesi non può che essere considerata un disastro. 

Colgo l'occasione per ringraziare coloro che in quest'Aula, pur criticando civilmente il ricorso al voto di fiducia, hanno contribuito all'approvazione di questa legge e conseguentemente sostenuto il Governo. La crescita che incominciamo a percepire, lo dico all'onorevole Carfagna, è dovuta a molteplici fattori: le scelte economiche del Governo, della Banca centrale europea, nonché la determinazione di imprese e lavoratori che hanno concentrato le loro intenzioni nello sfidare il sistema Paese, che hanno creduto in questo Paese e che hanno bisogno di essere confortati da una politica che sia un giusto mix di stabilità, riformismo e concretezza. 
Oggi il Paese ha più che mai bisogno di una buona politica che risolva le incertezze piuttosto che si manifesti con risse in Aula, con urla, con assalti ai banchi del Governo e con il disimpegno delle scelte. È proprio in un momento così delicato per la qualità delle istituzioni e per la democrazia nel nostro Paese che auspico che il consenso di tutti e la responsabilità di tutti orientino la coscienza con un voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).