Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 4 Agosto, 2014
Nome: 
Angelo Capodicasa

A.C. 2568-A

 

Signor Presidente, ad ascoltare il dibattito intorno a questo decreto mi pare che si possa dire che non siano state colte le suggestioni sulle quali lo stesso decreto si muove. Oltre alle ricorrenti critiche che vengono mosse di solito ai decreti circa loro eterogeneità, la loro frammentarietà, che sono tanto ricorrenti quanto alla fine infruttuose, va detto che questo decreto non può essere giudicato sulla base di un approccio che sia di carattere generale. 
Del resto non è questa l'intenzione del Governo, che nel corso di questi quattro mesi di vita, pur avendo individuato una strategia di lungo periodo per aggredire la crisi e far uscire il Paese dallo stato di stallo in cui si trova, ha messo in campo una serie di azioni che hanno il carattere della complessità ma che sono convergenti verso un unico obiettivo, quello di produrre crescita e sviluppo del Paese. 
La crisi che viviamo ha un carattere straordinario, invasivo, come non siamo più abituati a vedere da tanto tempo non solo in Italia ma anche in Europa e direi quasi nel mondo e, quindi, non si possono invocare provvedimenti che abbiano il carattere risolutivo o da soli possano avere un carattere risolutivo. Proprio in questa chiave il Governo ha già presentato una serie di provvedimenti, alcuni dei quali già approvati dal Parlamento e che sono già legge, l'ultimo l'abbiamo esitato proprio la settimana scorsa – il decreto sulla riforma della pubblica amministrazione – e prima ancora i provvedimenti sul mercato del lavoro, sulla cultura, sui beni culturali. 
È in corso al Senato la discussione sulla riforma istituzionale, interventi che hanno il carattere della straordinarietà. In autunno si attende il provvedimento che viene definito «sblocca Italia» con un'immissione notevole di risorse nel circuito economico attraverso il finanziamento di infrastrutture primarie per il nostro Paese. 
Si tratta di tasselli di un unico mosaico che hanno come finalità quella di stimolare la crescita del Paese e dare a questa strategia un obiettivo di lungo periodo. Possiamo dire che lo sforzo che si sta producendo comincia a dare i primi risultati, nonostante, come oggi nella sua intervista rilasciata a la Repubblica, il Presidente del Consiglio abbia ammesso che la ripresa sia ancora debole, ma qualcosa già si muove, abbiamo delle stime di crescita che non ci fanno più presagire un segno meno, che fanno parlare, sì, di una debolissima crescita, ma comunque si inizia a invertire la tendenza. 
Questo provvedimento che abbiamo oggi in esame affronta diversi argomenti che hanno tutti la stessa finalità, quella della competitività del sistema, di dare al Paese gli elementi per poter accrescere la sua capacità di competere sui mercati europei e internazionali, sbloccare alcune norme in materia di agricoltura attraverso semplificazioni, attraverso incentivi per l'assunzione di giovani lavoratori agricoli in agricoltura, detrazioni che vengono previste per l'affitto di terreni agricoli a giovani agricoltori, interventi a sostegno delle imprese agricole che sono condotte da giovani attraverso mutui a tasso zero. 
Sono previsti interventi per la tutela dei nostri marchi di qualità, la produzione di qualità nel campo agroalimentare e poi interventi in materia di ambiente come quelli, di cui si è discusso molto nel dibattito di oggi, sull'efficientamento energetico, in materia di rifiuti, di accelerazione delle procedure di spesa in materia di mitigazione del rischio idrogeologico: le notizie di oggi circa i morti che si sono avuti nell'alluvione conseguente alla bomba d'acqua che si è abbattuta nella zona del trevigiano ci fa dire quanto siano necessari. 
Poi credito di imposta per investimenti in beni strumentali e nelle varie materie su cui si sono soffermati altri colleghi, fra cui l'onorevole Taranto. Io credo che il complesso degli interventi che sono contemplati in questo decreto ci possono far dire che siamo sulla strada che il Governo ha intrapreso, che già con le proprie dichiarazioni programmatiche il Presidente del Consiglio aveva tracciato. Certo, se dovessimo dire che siamo in presenza di un atto risolutivo della crisi, non diremmo la verità.
Però, se noi concepiamo questo intervento nell'ambito di una serie di misure – come ho detto poc'anzi – e di tasselli che vanno a comporre un mosaico, allora si può dire che con questo decreto si continua sulla strada intrapresa e si va nella direzione giusta. 
Io credo che l'argomento che deve essere l'elemento orientatore nel nostro giudizio e nella nostra scelta sia esattamente quello della crescita, se gli atti che produciamo hanno quella finalità. Ecco, io credo che siamo su questa strada, ma dal mio punto di vista ancora non basta. 
Approfitto di questi pochi minuti che sono stati concessi per porre una questione che è ancora all'orizzonte dell'iniziativa parlamentare, e anche quella di Governo stenta ad intravedersi. Intendo parlare di quella che io considero una emergenza delle emergenze, cioè il Mezzogiorno d'Italia. La settimana scorsa, si è tenuta una conferenza stampa di anticipazione del rapporto Svimez 2014 che sarà presentato a ottobre e devo dire, anche con una qualche lamentela che va fatta, che i dati che sono stati forniti all'attenzione delle forze politiche, degli analisti e delle forze parlamentari non hanno avuto la risonanza che meritavano. 
I dati che sono stati presentati sono, a mio giudizio, scioccanti. Il direttore Padovani ha esordito dicendo che questa crisi lascia a chi dovrà gestire la situazione economica del Paese un Paese ancora più diviso del passato e sempre più diseguale. Dice, il direttore Padovani, che l'impatto della crisi sul Mezzogiorno, sia sul versante produttivo, che su quello sociale e occupazionale, è stato non solo di maggiore entità rispetto al resto del Paese, ma ha prodotto effetti che non appaiono più solo transitori, ma strutturali. E lì ha fornito una serie di dati che nella loro crudezza danno la dimensione di ciò che la crisi ha prodotto negli ultimi sei anni, dal 2008 al 2013, nel Mezzogiorno e appaiono essere tanto più sconvolgenti se messi in raffronto con i dati del centro nord del Paese e con il resto dell'Europa. 
Ha ragione Padovani a dire che non si tratta solo di differenze di natura quantitativa, ma si tratta di qualcosa che va più in profondità e che probabilmente lascia in eredità qualcosa che poi sarà molto più difficile da rimuovere per rimettere il Paese su gambe solide. 
Dice il direttore Padovani che, dal 2008 al 2013, la recessione nel Mezzogiorno non ha conosciuto tregua. Se nel 2014 ci avviamo allo zero, questa sarà la media di una perdurante recessione al sud e di una lieve ripresa al nord. 
La crisi ci lascia un mutamento nella struttura produttiva che ha qualcosa di profondo. L'apparato industriale, quello pesante, quel poco che esiste nel Mezzogiorno, tende allo smantellamento o a un progressivo ridimensionamento. 
Abbiamo un crollo occupazionale che ha caratteristiche epocali e c’è una fortissima ripresa dei flussi migratori che non interessa più la manodopera generica, quella comune, ma interessa soprattutto i giovani laureati e la manodopera qualificata, che cerca sbocchi occupazionali nel resto del Paese o fuori, in Europa. 
Quindi, siamo ben consapevoli che di fronte alla crisi, che attanaglia il Paese e che lo vede ormai da oltre sei anni in difficoltà, la prima preoccupazione di un Governo e delle forze politiche debba essere quella di rimettere sui binari giusti l'economia per rilanciarla e per riprenderla. 
Però, c’è anche da considerare che noi operiamo in un Paese dalla caratteristiche duali nel campo dell'economia e del sociale. Abbiamo una realtà che reagisce anche agli stimoli di carattere legislativo e ai provvedimenti che vengono adottati in modo differente, perché differente è la struttura produttiva e differenti sono anche il livello dei servizi che sono forniti dalle imprese e differente è anche la capacità di crescita. Abbiamo una situazione che va esaminata, contemplata e affrontata proprio per il dualismo che ha vissuto storicamente e che oggi tende ancora a crescere. 
Il PIL nel centro nord, dal 2010 al 2011, ha visto una crescita che si avvicinava alla crescita media europea: un più 3,2 contro un 3,7 per cento dell'Europa, mentre nel 2013 il centro nord regredisce dell'1,4 per cento, ma al sud noi abbiamo un meno 3,5 che si aggiunge al meno 3,2 per cento dell'anno precedente. Cioè, nel sessennio, mentre le altre macro-regioni, macro-aree del Paese hanno avuto degli alti e bassi circa la crescita della ricchezza prodotta, nel Mezzogiorno questo sessennio ha avuto un continuum che ha visto una regressione continua che lo ha portato a un meno 13,3 per cento alla fine del 2013, che equivale a quasi il doppio della decrescita economica che ha avuto il Paese, che ha raccolto un meno 7 per cento. 
Nel campo occupazionale, tra il 2008 e il 2013, abbiamo un crollo dell'occupazione nel Mezzogiorno che è stimato in un meno 9 per cento, al cospetto di un dato, che riguarda il centro nord, del 2,4 per cento. Quindi, nel Mezzogiorno la perdita di posti di lavoro è stata quattro volte superiore al resto del Paese. Nel settore dei consumi abbiamo avuto un 12,7 per cento in meno contro il 5,7 per cento del centro nord del Paese. Il divario non è di decimali, perché parliamo di qualcosa che si aggira al doppio di quanto non è avvenuto nel resto del Paese. Nel campo degli investimenti abbiamo avuto una riduzione che è stata del meno 33 per cento nel Mezzogiorno, contro un 24,5 nel centro nord e dice Padovani, definendola epocale, che nell'industria abbiamo avuto un crollo che si aggira, nel Mezzogiorno, al 53,4 per cento contro un 24,6 del centro nord. 
Io credo che siamo in presenza quasi di un bollettino di guerra. Non sono dati che possono essere fatti passare sotto silenzio. Credo che le forze politiche abbiano il dovere di interrogarsi, di fronte a una situazione di questo genere, su quali possano essere le misure per indurre a un riequilibrio. Certo, di fronte a una crisi che riguarda l'intero Paese, c’è da intervenire sui fondamentali dell'economia, ma anche il Mezzogiorno ne costituisce una parte e, così come poi dimostrano i dati successivamente forniti, le due cose stanno insieme.
Un Paese che cammina con una gamba sola non può che zoppicare. E non ci sono assolutamente le condizioni perché il Paese riprenda slancio se anche il Mezzogiorno non torna a crescere o quantomeno a ridurre il divario che nel corso degli anni si è creato. 
Basti dire che, per esempio, la spesa ordinaria al sud non raggiunge il 30 per cento, contro il 27,6 che c’è nel resto del Paese. Ma la cosa che suscita più scandalo, a mio giudizio, è che la spesa aggiuntiva totale, che è quella che dovrebbe per legge essere destinata nella quota dell'80 per cento e che è fissata per legge a beneficio delle aree depresse sia del nord che del sud (ma è chiaro che, in questo caso, il grosso del Paese interessato sarebbe il Mezzogiorno d'Italia), non raggiunge il 67,3 per cento. Nonostante questo 80 per cento sia frutto di un intervento avvenuto pochi mesi fa – si è passati dall'85 e 15 per cento, all'80 e 20 per cento – e nonostante queste siano oggi le quote assegnate, non si raggiunge neanche l'80 per cento: ci siamo attestati al 67,3 per cento. 
Così nel settore delle infrastrutture, dove abbiamo avuto tagli che si sono riversati più pesantemente al sud che al nord o nel settore della piccola e media impresa, che in questo periodo ha subito un ridimensionamento anche in termini di unità lavorative medie: dai 23 del 2001 si scende ai 19,9 del 2011. 
Nel mercato del lavoro abbiamo poi il dato più clamoroso: su 985 mila unità lavorative che il Paese ha perduto nella crisi, ben 583 mila sono al sud. 
Io credo che bastino questi dati per dire quale voragine da un punto di vista sociale – ed io dico anche della giustizia sociale – si stia producendo nel Paese che, a mio giudizio, suggerisce di correre ai ripari, perché io non vedo cos'altro debba succedere, cos'altro possa succedere perché un'area, una macroarea come quella del Mezzogiorno, che è decisiva anche ai fini della ripresa e del rilancio del Paese, si ritrovi a vivere queste performance nel campo dell'economia. 
Noi abbiamo avuto anche risultati che, così come dice Padovani, incideranno sulla struttura economica e sociale del Mezzogiorno, occorreranno tempo e investimenti perché possano riprendersi. Interi poli industriali stanno uscendo dalla crisi attraverso lo smantellamento: faccio riferimento a Termini Imerese, il polo dell'auto che ormai non esiste più o, sempre per restare in Sicilia, al petrolchimico di Gela, che proprio in questi giorni vive con ansia il proprio futuro a seguito delle scelte che l'ANIC vuole compiere in quella zona, o a tutta quella fascia di piccola e media impresa che, non producendo per l'esportazione, perché non ha questa vocazione, non ha la struttura per poterlo fare, vive per i mercati locali; e il crollo del reddito e il crollo anche dell'occupazione hanno finito per penalizzarla ulteriormente e decisivamente. 
Io vado a concludere, Presidente, non voglio abusare, ma i pochi minuti che mi sono stati concessi li ho voluti dedicare in particolare a questo grosso problema, perché avremo altri appuntamenti. Questa è l'ultima occasione, prima che il Parlamento chiuda, perché possa essere registrata una voce in tal senso in quest'Aula. Avremo poi altri appuntamenti: in settembre ci sarà lo «sblocca Italia» dove vengono annunciati investimenti notevoli nel campo delle infrastrutture. Poi avremo la legge di stabilità e quant'altro. 
Io credo che il Governo debba porre un'attenzione particolare a questa questione, perché si pone, a mio giudizio, sempre di più un problema di sostenibilità sociale di questa crisi, che proprio per il suo carattere duale si abbatte pesantemente sulle aree depresse del Paese e, in questo caso, sul Mezzogiorno. 
Quindi, è un appello che rivolgo ai rappresentanti del Governo, perché se ne facciano latori, ma anche noi, come parlamentari, non mancheremo di mettere in campo azioni che possano, in qualche modo, segnalare la gravità del problema e trovare i rimedi necessari perché si esca tutti insieme dalla crisi, con la possibilità di rimettere il Paese sui giusti binari della crescita e dello sviluppo.