Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 30 Luglio, 2018
Nome: 
Gian Mario Fragomeli

A.C. 924

Signora Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, questo decreto la settimana scorsa ha superato le pregiudiziali di costituzionalità. Ancora oggi, sentendo gli interventi, penso che siamo ormai alla parodia dei principi di necessità e urgenza.

In una situazione complessa come quella italiana, che ci ha visto lavorare negli ultimi due anni per risollevare il Paese economicamente e farlo uscire definitivamente da un rallentamento e dalla crisi economica, questo vostro primo provvedimento, questo primo provvedimento economico, in qualche modo, sembra non tanto rigettarci in un rallentamento, ma addirittura poter prevedere la stagnazione economica.

Lo dico perché il combinato disposto che abbiamo potuto rilevare negli articoli 5, 6 e 7, in qualche modo toglie spazio all'impresa italiana. Sembra quasi - permettetemi - che questo decreto sia un processo sommario all'imprenditore italiano, senza avere delle vere prove, ma solo con degli indizi: sono tutti, alla stessa stregua, trattati come coloro che fanno delocalizzazioni selvagge, non pensano all'occupazione in Italia, pensano ad acquisire contributi e aiuti per poi andare all'estero, temi che in qualche modo possono essere anche colti, raccolti, ma che non possono essere assolutamente standardizzati.

Nella scorsa legislatura, con il Piano Industria 4.0 abbiamo cercato di fare una rielaborazione complessa e un rilancio complessivo del sistema economico italiano. Lo abbiamo fatto mettendo assieme tutti gli elementi di un rilancio e della ripresa, lo abbiamo fatto con l'innovazione e la trasformazione digitale, per creare maggiore competitività nel sistema italiano, lo abbiamo fatto introducendo crediti per la ricerca e lo sviluppo, lo abbiamo fatto con modalità nuove anche di acquisizione del credito, quindi non limitandoci solo ed esclusivamente a quella che è una delle macro criticità italiane, cioè dipendere troppo dal sistema bancario e che in qualche modo abbiamo cercato di superare con l'introduzione dei PIR, con altre forme di finanziamenti a cui le imprese potevano appunto adire per investire. In parole povere, abbiamo cercato di internazionalizzare il sistema produttivo italiano, la politica ha costruito una sinergia forte con il sistema produttivo industriale italiano. E lo abbiamo fatto anche pensando al fatto che, per farlo, bisogna costruire le condizioni anche in una formazione permanente, siamo partiti dalla riforma della scuola, siamo partiti dall'alternanza scuola-lavoro e la abbiamo resa ancora più complessa nelle fasi successive. Abbiamo rigenerato un sistema formativo, che, in qualche modo, si coniugasse a un rilancio del sistema produttivo italiano.

E, invece, in questo decreto cosa scopriamo? Sfiducia assoluta nelle imprese italiane. Chi investe, chi addirittura acquisisce, con l'iper-ammortamento dei beni, anche i materiali, e ci siamo sforzati in Commissione di spiegarlo, ma come potete pensare che un'impresa che acquisisce un finanziamento e lo investe anche in beni materiali, in software, poi non possa, in un sistema di internazionalizzazione, utilizzarlo anche in imprese all'estero? Ma abbiamo capito che molti imprenditori italiani hanno investito all'estero anche per salvaguardare l'impresa italiana?

Io vengo dalla Brianza, vi posso fare l'elenco degli imprenditori italiani che hanno società all'estero, nell'est europeo e non solo, che hanno però consentito loro di mantenere lo stesso tasso occupazionale in Italia. L'hanno fatto grazie a questo, hanno creato delle economie di scala, hanno creato quel vantaggio competitivo che permette loro di competere con gli altri, questo hanno fatto molti imprenditori.

E vi è questo processo sommario, invece, all'impresa italiana, che non vede l'imprenditore illuminato italiano, ma vede solo esclusivamente imprenditori biechi, pronti ad investire. In Commissione mi è stato detto: abbiamo avuto il caso di alcune società che hanno delocalizzato 187 dipendenti su 250. E' vero, hanno delocalizzato in Europa, questo decreto tocca pochissimo rispetto a quello, a meno che non pensiamo che l'Italia, a un certo punto, che il nostro sistema abbia un ruolo pressoché bancario, cioè gli facciamo pagare l'interesse rispetto ad un prestito che abbiamo erogato.

Io penso che questo non sia lo scopo di erogare e dare aiuti alle imprese italiane, io penso che lo scopo di dare aiuti è quello di creare le condizioni perché la nostra impresa sia forte, perché la nostra impresa possa mantenere occupazione in Italia, perché la nostra impresa sia in grado di aumentare il suo export.

Perché, se noi siamo qui oggi e il nostro sistema ha retto la più grande crisi del secolo scorso, indubbiamente, rispetto a questo secolo e al secolo scorso, è stato possibile solo ed esclusivamente grazie all'aumento dell'export e noi questa cosa ce la dimentichiamo.

Ma il problema sta a monte: abbiamo pensato che punire i nostri imprenditori, in qualche modo, e generalizzando questa punizione, non tenesse conto del fatto che, in qualche modo, c'è una sorta di grandissima distinzione tra gli imprenditori. Io ho chiesto in Commissione: ma pensate che possiamo trattare le micro aziende come le macro aziende? Possiamo pensare che un'azienda di otto, dieci, dodici dipendenti, che magari per internazionalizzare apre una filiale in Olanda in attesa poi di svilupparsi, sia la stessa cosa di una società che ha più di 250 dipendenti? O che una società che fa utili sia uguale ad una società che fa perdite? Cioè, noi pensiamo che chi internazionalizza, di fronte ad una perdita, per mantenere la sua impresa, sia la stessa cosa di una società che, invece, fa utile e decide di delocalizzare? Questo è quello che pensiamo dell'impresa italiana? Questo è quello che pensiamo di coloro che danno lavoro e hanno sempre dato lavoro in Italia? Io penso che non stiamo facendo giustizia a chi crea lavoro in questo Paese e commettiamo un gravissimo errore da questo punto di vista.

E credo che le regole noi abbiamo cercato di cambiarle, lo abbiamo detto a più riprese, su tutte le questioni, anche su un tema che può sembrare per alcuni di voi secondario, ma per quanto riguarda l'attrazione degli investimenti, come possiamo pensare che, ad esempio, una piccola impresa che ha necessità del fondo di garanzia per poter investire, possa avere queste risorse nel momento in cui c'è qualcuno che può, a distanza di uno o due anni, toglierglielo perché fa una politica di internazionalizzazione? Come pensiamo di trattare tutti allo stesso modo? Abbiamo discusso tempo e tempo sull'agevolare le PMI e le microimprese e poi le trattiamo tutte allo stesso modo?

Bene, è questa logica, è questo provvedimento, che noi non condividiamo, questa logica di pensare appunto che ci siano i processi di massa, sempre e comunque, senza fare differenziazioni.

Invece questo Paese ha un sistema sano, di gente che sa investire, gente che vuole investire, ed ha la volontà anche di attrarre investimenti. Cosa faranno gli investitori esteri? Verranno qui, secondo voi, ad investire in una situazione così critica e difficile come questa? Io penso che stiamo ponendo veramente delle condizioni molto sbagliate e, siccome all'inizio parlavo di parodia del principio di necessità e urgenza, lo dico anche per quello che in qualche modo non c'è in questo decreto; perché, scusate, per quanto riguarda l'urgenza della proroga dello spesometro, sbugiardato da tutti gli interessati e da tutti gli esperti del settore, abbiamo scoperto che questo rinvio al 28 febbraio non esiste, perché se c'è la comunicazione trimestrale non c'è nulla che vieta che si passi ad una comunicazione semestrale e, conseguentemente, si arriva al 28 febbraio 2019 comunque. Perché abbiamo fatto questa proroga dello spesometro? Per che cosa? Con che finalità? Per dire che ci siamo occupati anche dallo spesometro, quando sappiamo che, invece, a normativa vigente - e non lo dice Gian Mario Fragomeli, parlamentare deputato del Partito Democratico, lo dicono le leggi vigenti, la legislazione vigente - è esattamente inutile? Questo è un decreto sull'inutilità, anche rispetto allo spesometro.

Ma il tema che ci preoccupa di più è che anche il Ministro in audizione è venuto a dire: no, ma noi con lo spesometro, con questa proroga, vogliamo chiarire che dal 1° gennaio 2019 dobbiamo introdurre la fatturazione elettronica. Bene! La fatturazione elettronica, anche questa - non lo dice il sottoscritto - è a legislazione vigente, l'abbiamo già introdotta: dal 1° gennaio 2019 questo Paese avrà la fatturazione elettronica. E, quindi, è implicito che l'introduzione della fatturazione elettronica comporti il superamento dello spesometro, perché è chiaro a tutti che, se c'è un sistema tracciabile con tutti i dati, con la fatturazione che appunto è una piattaforma digitale, non serve più mandare dei dati relativi alle medesime fatture ricevute o trasmesse, questo lo sa chiunque. Quindi, in qualche modo, ci aspettiamo una incentivazione, una voglia di portare avanti la fatturazione elettronica.

Poi nello stesso provvedimento, invece, ritroviamo che cosa? L'ennesima proroga della fatturazione elettronica per i carburanti. Qualcuno può dire “sì, ma è di nicchia”, ma per noi era importante - ce l'hanno detto le associazioni di categoria che sono venute in audizione - iniziare a sperimentare la fatturazione elettronica, la più grande rivoluzione digitale per la gestione delle imprese, perché attenzione, non è solo un tema fiscale, la fatturazione elettronica, non è un tema di contrasto all'evasione fiscale, certo che è fondamentale, ma è un tema di risparmio, è un tema di cambiamento nel flusso informativo fino al pagamento per un'impresa che rientra in un'era completamente digitale e risparmia.

Ci sono statistiche fatte dall'Osservatorio del Politecnico e da tutti quelli che volete voi che definiscono il risparmio per ogni società che passa alla fatturazione elettronica; questo è fondamentale, è il futuro, è uno dei pochi indicatori DESI, che, rispetto alla digitalizzazione delle nostre imprese, ci vede sopra la media europea e che dimostra che noi, davanti a questo processo della fatturazione elettronica, siamo partiti, nella scorsa legislatura, prima con le pubbliche amministrazioni e, adesso, volevamo completare, dal 1° gennaio 2019, il completo trasferimento a questa piattaforma digitale delle fatturazioni elettroniche.

Ci fa paura vedere che, a fronte delle parole di un Ministro in audizione che ci dice: insisteremo, poi, la prima vera sperimentazione viene ulteriormente prorogata. Perché noi abbiamo bisogno di misurarci, abbiamo bisogno di dare il tempo non solo a SOGEI, che fa le piattaforme di interscambio, ma abbiamo bisogno che le software house siano pronte, abbiamo bisogno di una sperimentazione che, nell'autunno, costruisca le condizioni e che non ci siano problemi per le società italiane, che possano avere quel risparmio, con la trasformazione della loro impresa, un risparmio economico effettivo, misurato, controllato e sperimentato prima del tempo, cosa che invece, in qualche modo, cerchiamo di non cogliere. Addirittura, anzi, non addirittura, sono dati importanti, si possono arrivare a risparmiare, nel ciclo produttivo complessivo, anche 65 euro per ogni impresa, risparmio sulle fatturazioni elettroniche.

Riprendo sempre la parodia di questo tema della necessità e dell'urgenza e la calo nel contesto, invece, dei contratti a termine, del tema del lavoro, di quello che, in qualche modo, è stato rivendicato come una grande rivoluzione, un grande processo di dignità del lavoro. La prima cosa che, in qualche modo, sento di dire, anche qui, rispetto alla necessità e all'urgenza è: partiamo dal presupposto che noi abbiamo aumentato la platea dei lavoratori, quindi, di coloro che lavorano in questo Paese, portandola a 23 milioni, ma, che, oggettivamente, i dati lo dicono, anche qui, l'Italia non è un Paese in particolare criticità rispetto alla media europea sul rapporto tra tempi determinati e tempi indeterminati. Nei Paesi dell'euro, noi siamo a 2,7 milioni, a circa 15 per cento, e siamo perfettamente nella media europea; siamo sotto la Francia, sotto i Paesi Bassi, sotto la Polonia, sotto la Spagna e, in alcuni settori, perché è giusto poi raffrontarlo anche rispetto ai diversi asset, come per la metalmeccanica, ad esempio, abbiamo un indicatore di lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato che, addirittura, vede davanti a noi Polonia, Germania, Francia e Spagna.

Quindi, da questo punto di vista, l'urgenza di un intervento di questo tipo non la vedo, a meno che non mi si spieghi che la necessità e l'urgenza erano di licenziare i lavoratori a tempo determinato dopo il dodicesimo mese. Invito i membri del Governo, per il suo tramite, Presidente, ad andare in giro per l'Italia in questi giorni, perché con la grande furbata dell'emendamento del 31 ottobre, girate, frequentate l'Italia, voi che siete in contatto con i cittadini e andate a vedere quante imprese stanno anticipando con contratti e con accordi sindacali le proroghe dei contratti a termine; in questi giorni, con il decreto che entrerà in vigore a pieno titolo, perché chiaramente, essendo un emendamento, dobbiamo aspettare la conversione in legge, vedremo, e, quindi, non ci stupiremo se il numero dei contratti cessati non sarà immediato, con la conversione in legge; ci vorrà magari qualche mese per vederlo, ma sarà molto pesante, perché, scaduto quell'anno di rinvio, non ci saranno altre strade, la proroga si farà adesso, entro il 31 ottobre, ci misureremo dal 31 ottobre in avanti, per vedere quanti contratti a termine, in qualche modo, verranno rinnovati.

Oppure, ci si dica che magari la necessità e l'urgenza erano di ridurre la NASpI, perché anche questo è un altro elemento non secondario, no? Si riduce il periodo lavorativo anche a tempo determinato e sapete quanta NASpI perdono i lavoratori con contratto a termine, portandola da tre a due anni? Hanno sei mesi in meno di tutela, sei mesi in meno di NASpI, sei mesi in meno per riformarsi e per trovare un altro posto di lavoro. Il passaggio da tre a due anni, premesso che bisogna vedere quanti faranno la proroga dal primo al secondo anno, porterà a una riduzione di questo tipo, perché il calcolo è presto fatto, sapete benissimo che l'indennità della NASpI segue la durata del contratto, fino a un massimo di lavoro di quattro anni; qui, chiaramente eravamo già a tre anni, scenderemo a due anni e, quindi, stiamo togliendo sei mesi di stipendio alle persone che, magari, vivono male e sono in difficoltà. Quindi, se la necessità e l'urgenza stavano da questa parte, allora, iniziamo a capirle, la necessità e l'urgenza.

Come sulle indennità di risarcimento, anche qui, per fortuna, c'è stato un nostro emendamento che ha chiarito che, quando si fanno i decreti per necessità e urgenza, non ci si deve occupare del 2033 o del 2027, perché anche le famose 36 mensilità sappiamo tutti che, essendo il Jobs Act a decorre dal 2015, le piene 36 mensilità di indennizzo partono dal 2033 e le cosiddette superiori a 24 dal 2025, di che cosa stiamo parlando? Abbiamo venduto i diritti dei lavoratori, abbiamo venduto nuove risorse dei lavoratori, a fronte di che cosa? A fronte di qualcosa che, forse, vedremo a regime nel 2033.

Per fortuna, con i colleghi della Commissione lavoro, abbiamo portato a casa un importante risultato che è oggi e che è nel processo di conciliazione con le 27 mensilità. Perché oggi bisogna occuparsi della crisi e della difficoltà dei lavoratori a tempo che vengono licenziati, cosa che, invece, non abbiamo registrato in questo decreto che, torno a dire, perde molti dei suoi punti di vista. Oppure, per finanziare questo decreto, era proprio necessario andare a tagliare e ridurre il Fondo per il finanziamento e la riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e le politiche attive? Cioè, tra tutti i fondi che dovevamo tagliare per finanziare questo decreto, abbiamo tagliato le politiche attive, cioè noi parliamo di dignità, quando non diamo la possibilità alle persone che devono reinserirsi e non trovano lavoro, tagliamo questo fondo. In una relazione tecnica si dice: sì, comunque, non inficia il processo di riformazione dei lavoratori. Ho capito, ma stiamo parlando di un decreto dignità e utilizziamo i fondi delle politiche attive per finanziare in qualche modo questo tipo di attività? Ma, anche questo non riesco a capirlo, da questo punto di vista.

Certo, abbiamo venduto, lo diceva qualcuno prima di noi, il tema, in extremis, degli under 35, quindi, della decontribuzione, ma, anche qui, noi l'avevamo già fatta, in modo anche molto più ampio, quindi, crediamo che l'intervento sui tempi indeterminati sia fondamentale e, quindi, non critico questo aspetto, se non nel fatto che, anche qui, per quella parodia che riprendo sempre della necessità e dell'urgenza, dico: ma avevamo proprio bisogno di infiocchettarla in questo decreto estivo, sapendo che, in qualche modo, è materia da legge di bilancio e, come sempre, essendo una proroga di una disposizione già nella legge di bilancio 2018 l'avremmo inserita nella legge di bilancio 2019? Era necessario infiocchettarlo, perché c'è il nulla in questo decreto, c'è il nulla; c'è la difficoltà oggettiva delle proroghe, oggettiva, c'è un'anticipazione che, grazie anche ai sindacati, con le imprese illuminate, quegli imprenditori che voi demonizzate, stanno chiudendo per mantenere una base di un certo tipo di gente che continua a lavorare, e ci sono cose che sono rimandate agli anni a venire. Lo stesso discorso, l'elenco, potrebbe continuare sullo split payment o su altri temi che abbiamo già affrontato in Commissione; guardate, si può dare il contentino alle singole associazioni di categoria, ma c'è il tema che l'Italia è in una situazione particolarmente critica per il tax gap sull'IVA; è un tema fondamentale sul quale bisogna intervenire. Noi abbiamo già fatto un intervento organico con il reverse charge, con lo split payment, con tutte le riforme che, in qualche modo, contrastano le frodi IVA, in particolare a livello comunitario e, quindi, da questo punto di vista, non capiamo adesso il voler tornare indietro, e intaccare, in qualche modo, le nostre entrate.

Ma voglio toccare, anche, il tema dei giochi, perché, anche qui, il protagonismo del Governo 5 Stelle-Lega è difficilmente percepibile, nel senso che, grazie ai colleghi delle Commissioni lavoro e finanza abbiamo, in qualche modo, costruito qualcosa che andasse oltre, permettetemi, lo slot della pubblicità, perché di slot si tratta, no? Di uno spazio, in qualche modo, costruito, pensando che rispondesse a tutte le esigenze di contrasto all'azzardopatia, ma la verità è che, se non fosse passato l'emendamento del Partito Democratico, che in qualche modo contrasta in modo pieno e forte, seppur tra un anno, l'abuso dell'utilizzo del gioco d'azzardo dei minori, che è uno dei temi principali, piuttosto che, in qualche modo, non sollecitassimo anche un contrasto alla forte distribuzione che, ancora, territorialmente c'è dei punti gioco, che sembrava una cosa che sentivamo solo noi….perché, oggettivamente, il Governo nel momento in cui ha detto, in modo molto chiaro, che non c'è più pubblicità, pensava di aver risolto un problema che, invece, è un problema molto, molto forte. Abbiamo parlato di un cambio totale, da questo punto vista, sui giochi, però, plaudiamo comunque ad un intervento in materia.

Mi avvio alla conclusione; io credo che, in qualche modo, voi che venite ascritti come populisti e sovranisti, siete stati bravi in campagna elettorale e siete bravi oggi con il decreto; abbiamo sentito la replica, ancora da propaganda elettorale, del Ministro; sapete aumentare le paure, confondere i dati reali con quelli percepiti, penso all'ambito dell'immigrazione, ma badate che sul tema dell'economia non sarà così per gli italiani.

Non riuscirete a fare percepire agli italiani quello che non gli entra in tasca. E noi saremo qui e saremo dagli italiani a dimostrare quanto le vostre politiche sono profondamente sbagliate per la ripresa e per il rilancio di questo Paese. Siamo sicuri che lo faremo capire agli italiani e che veramente verrete colpevolizzati. Quindi, questo è il primo vostro decreto, ma è un grande errore, sotto tutti i punti di vista, che non bada al Paese, che non bada ai lavoratori e che tanto più non bada alle imprese e al sistema economico italiano.