Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 30 Luglio, 2018
Nome: 
Antonio Viscomi

A.C. 924

Grazie, Presidente. Allora, devo confessare che, leggendo il decreto n. 87, e in particolare gli articoli che riguardano i rapporti di lavoro, è fortissima l'impressione che il cambiamento del Governo del cambiamento non sia altro che un ritorno al passato, superficiale, per la verità, e anche molto confuso, che non produrrà effetti benefici per i lavoratori, e, anzi, creerà danni ai datori di lavoro. Badi, signora Presidente, che parlo di datori di lavoro, non di imprenditori, perché qui stiamo focalizzando sempre l'attenzione sull'imprenditore, ma il decreto trova applicazione nei confronti di tutti i datori di lavoro, imprenditori o non imprenditori, le famiglie ad esempio, ma anche gli studi professionali e tante altre tipologie.

Più che un decreto 2.0, come ama dire il Ministro e come ha ripetuto oggi, a me pare, se mi si passa la metafora calcistica, un 2 a 0 nei confronti della logica organizzativa e del buonsenso giuridico. Altro che prima pietra o primo mattone di un nuovo patto sociale! Una risposta sbagliata ad un problema reale, che rimane la precarietà professionale, con tutto il suo portato di precarietà esistenziale e familiare. Precarietà, Presidente, che è cosa ben diversa dalla temporaneità dei rapporti professionali. Quella è una trappola, ma questa può essere un trampolino, e questa doppia anima è percepita nella realtà quotidiana dei lavoratori ed è segnalata da tempo dall'Unione europea sia nella redazione della direttiva n. 1999/70 sia nel più recente Libro verde del 2006.

Il fatto, però, è che il trampolino può funzionare e le buone occasioni di lavoro possono derivare soltanto dalla presenza di imprese capaci di stare in un mercato globale, non chiuso nei confini nazionali, in modo innovativo e competitivo, da sostenere mediante la riduzione definitiva e radicale del costo del lavoro, così come, in ben quattro emendamenti, avevamo proposto in sede di Commissione, a beneficio dei lavoratori con età inferiore ai trent'anni, a beneficio dei lavoratori in possesso di un dottorato di ricerca, a beneficio di tutti i lavoratori, a beneficio dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato come trasformazione da un contratto a tempo determinato. Nessuno di questi quattro emendamenti è stato accolto dalla maggioranza di Governo. Questo è stato e questo è stato giustificato da qualcuno in Commissione affermando, in modo apodittico, che il decreto è destinato a recuperare la tradizione giuslavoristica consolidata nel nostro Paese. Il fatto è, però, che proprio guardando la tradizione giuslavoristica del nostro Paese emergono con prepotenza i limiti culturali – uso consapevolmente la parola culturale cioè come modello di società – concettuali e tecnici del decreto n. 87 che proverò a delineare sinteticamente, articolando il mio intervento su tre questioni principali che potrei riassumere utilizzando tre parole: complessità, dinamicità ed effettività. Complessità, signor Presidente, degli interessi in gioco, complessità degli interessi in gioco che rendono il contesto molto più importante del testo, dinamicità normativa in materia di lavoro a termine, che ha visto una decina di interventi dal 2000 ad oggi, difficoltà applicative, scarsa effettività conseguente al fatto che l'intervento in esame non tiene conto della complessità degli interessi e della stessa evoluzione normativa della materia.

Inizierei con il primo punto, la complessità degli interessi. Confesso che è stato proprio l'intervento in Commissione di un esponente del partito di maggioranza, che ricordava la necessaria presenza di una causa per ogni negozio giuridico, a richiamare la mia attenzione su questo punto. Naturalmente, la causa del contratto è cosa diversa dalla causalità del termine o della somministrazione, la causa è la funzione socio-economica realizzata dalle parti contraenti, la causale indica invece le situazioni oggettive o soggettive in presenza delle quali è legittimo stipulare un contratto a termine. Bene, però la causa, la funzione del contratto di lavoro subordinato a termine o a tempo indeterminato che sia non è certo assicurare al lavoratore la proprietà di un posto di lavoro o un effetto assicurativo sui redditi, ma solo consentire al datore di lavoro di integrare la prestazione individuale in una dimensione organizzativa. Il contratto di lavoro costituisce il termine medio tra prestazione organizzazione ed è proprio da ciò che derivano le specificità della disciplina lavoristica, che si presenta come un congegno altamente sofisticato chiamata a coniugare gli interessi della persona, del prestatore con gli interessi di una organizzazione di lavoro che opera per il mercato e che nel mercato, con i suoi cicli, con le sue dinamiche, trova la ragione della propria identità. Proprio per questo motivo, diciamo tutti che il compito fondamentale del diritto non è creare occupazione – non può farlo il diritto, i posti di lavoro non si creano per decreto –, ma il compito del diritto è creare condizioni ottimali per creare occupazione. Ma se non si comprende questa complessità del sistema che dalla persona arriva al mercato e si continua a ragionare per slogan tipo combattere la precarietà, si crea una situazione paradossale, idonea a generare effetti perversi e non voluti. Per combattere la precarietà si introducono norme che incidono sui rapporti temporanei, che producono ulteriore precarietà verso il lavoro nero e verso forme di lavoro meno tutelate come i voucher. Noi volevamo introdurre condizioni per una buona occupazione, per un buon lavoro, stiamo arrivando in Aula con i buoni lavoro, con i voucher appunto. Bastava dare uno sguardo all'evoluzione della disciplina per rendersi conto delle difficoltà che abbiamo davanti quando regoliamo il contratto a termine. In Commissione abbiamo sentito dire che il modello da riprendere e rispecchiare è la legge n. 230 del 1962, ma è proprio la legge del 1962 a dimostrare le ragioni per cui il vostro intervento sarà ineffettivo sul piano del mercato del lavoro. Il nostro ordinamento, sottosegretario, ha riconosciuto diversi modelli di governo del contratto a termine. La legge del 1962 con le causali, causali molto simili alle nostre, alle vostre attuali, opera nei servizi definiti e predeterminate nel tempo aventi carattere straordinario e occasionale. La legge del 1979 che introduce un controllo dell'ispettorato del lavoro sulla stipulazione dei contratti a termine. La legge del 1987 che affidava alla contrattazione collettiva la definizione delle causali. La legge del 2001 che introduceva il “causalone”: esigenze tecniche, organizzative e produttive. E, poi, gli interventi successivi. Il decreto Monti, ad esempio, che introduceva una parziale acausalità del contratto a termine per il primo anno, più o meno come il vostro; avete copiato Monti, da questo punto di vista. Per arrivare, poi, al decreto Poletti. E poi al Jobs act che elimina la causale formalizzata dal legislatore. Ma perché quest'evoluzione, questa diversità dei modelli e dei paradigmi regolativi nell'ambito del contratto a termine? Per un motivo molto semplice, perché siamo tutti convinti e consapevoli, avendolo sperimentato sulla pelle del mercato del lavoro nel nostro Paese, che il legislatore non può regolare questa materia con un'unica norma uguale per qualunque settore, per qualunque tempo, per qualunque realtà territoriale del mercato del lavoro. La legge del 1962 è fallita per le questioni delle punte stagionali: è possibile stipulare un contratto a termine per le punte stagionali, è la punta stagionale cioè un incremento di un'attività periodica nel tempo, occasionale e straordinaria? Beh, dopo tanti anni di conflitti giudiziari, di sentenze diverse, di convegni scientifici, di polemiche politiche, ci si è resi conto che forse è meglio affidare alla contrattazione collettiva la definizione delle causali. E sa qual è la prima fattispecie individuata dalla contrattazione collettiva, nel 1987, di contratto a termine o di causale per il contratto a termine? Il contratto week-end degli esattori dei pedaggi autostradali. Vogliamo confrontarla con la formulazione attuale, che voi avete proposto, delle causali? Le punte stagionali sono attività ordinarie? Sì, se sono attività ordinarie, lettera a), non posso stipulare il contratto a termine. Sono attività programmabili? Sì, lettera b), se sono attività programmabili, non posso stipulare un contratto a termine. Se questo vale per le punte stagionali, figurarsi per gli esattori del pedaggio autostradale dei contratti week-end. Come vedete, a saperla leggere, la storia giuridica vi dimostra perché la vostra legge e le vostre causali non avranno effetto sul mercato del lavoro e condurranno e spingeranno le imprese a ricorrere al lavoro nero oppure ad altri contratti che hanno un inferiore livello di tutela.

Per questo motivo avevamo proposto, come Partito Democratico, una serie di emendamenti per affidare alla contrattazione collettiva, alle parti sociali, la definizione delle causali. Non capiamo perché avete risposto negativamente, perché, nell'ambito del sistema del decreto n. 81 così come ora è congegnato, come risulta dalle vostre modifiche, la contrattazione collettiva può allungare il termine di durata del contratto a termine. Voi dite in giro che il contratto a termine ha una durata massima di ventiquattro mesi; mi dispiace, dovreste dire ventiquattro mesi, salvo diversa previsione dei contratti collettivi. Giusto? Sta dicendo di sì? È esattamente così, e vale anche per le percentuali. L'avete inserito nella riformulazione sul contratto di somministrazione, sul contratto a termine del 30 per cento, e vale per la identificazione delle attività stagionali, e vale per una serie di altri motivi, e vale per la possibilità di esonerare dall'applicazione totale della disciplina sul contratto a termine, in caso di nuova attività, per settori o territori. E proprio sulle causali avete deciso che la contrattazione collettiva non deve essere utilizzata. Io non capisco, continuo a non capire le ragioni di questa a opposizione nei confronti dell'intervento della contrattazione collettiva sulle causali.

Ci sarebbero molte altre cose da dire. Mi limito semplicemente ad accennarle, per poi avviarmi velocemente alla conclusione. Centottanta giorni di impugnazione, avete allungato i termini per impugnare il contratto a termine dai centoventi introdotti con il Jobs Act, in una situazione di omogeneità o tendenziale omogeneità tra contratto di lavoro a tempo indeterminato, impugnazione del licenziamento del contratto di lavoro a tempo determinato, impugnazione appunto del recesso del datore di lavoro, centoventi giorni; avete differenziato queste due situazioni; centoventi per il contratto a tempo indeterminato, centottanta per il lavoro il lavoratore a termine e non si comprende bene perché il lavoratore a termine debba avere due mesi in più per poter decidere di impugnare il contratto a termine stesso.

Per non parlare, poi, dell'entrata in vigore, dove avete combinato – consentitemi di dirlo – un pasticcio giuridico un patchwork giuridico. Che senso ha fare applicare al contratto la legge immediatamente in vigore per i contratti stipulati successivamente alla data dell'entrata in vigore della legge, e poi applicare, invece, le norme che voi avete deciso di introdurre su proroghe e rinnovi, ma soltanto se partiranno dal 1° novembre? In questo mese – che voi avete creato di “buco” sostanzialmente – andiamo a vedere cosa succederà.

Succederà che vi sarà un ricorso forsennato alle proroghe e ai rinnovi dei contratti a termine per applicare, a questi rinnovi e a queste proroghe, in questo mese di entrata in vigore, la disciplina previgente anziché la nuova disciplina. Quindi è un modo per dire: veniamo incontro all'esigenza dell'impresa, ma alle esigenze camuffate, attraverso proroghe e rinnovi che poco avranno di correntezza nelle situazioni.

Il problema reale, per ritornare al punto centrale della questione, signor Presidente, è il ruolo della giurisprudenza nella disciplina delle causali. Il problema reale, sul quale voi non riuscite a focalizzare l'attenzione, è l'aver affidato il governo della flessibilità nelle aziende non al contratto collettivo e nemmeno al contratto individuale, cioè al rapporto individuale tra datore di lavoro e lavoratore, ma alle toghe, alla giurisprudenza, che avrà ora il compito di esaminare la sussistenza, non formale ma sostanziale, delle causali che avete individuato, con la sanzione che avete connesso alla mancata individuazione della presenza delle causali, cioè la conversione, la trasformazione del contratto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato. È questa che rende non calcolabile, non prevedibile l'azione imprenditoriale, l'azione manageriale, e che spingerà a non utilizzare il contratto a termine ma a ricorrere non al contratto di lavoro a tempo indeterminato ma a lavori nascosti o lavori meno tutelati.

Chiudo, signor Presidente, ribadendo che il lavoro non lo creano i decreti e le leggi, ma solo le imprese, imprese capaci di stare sul mercato, innovative, competitive. Chiudo segnalando il vecchiume, il senso di antiquario che c'è nella formulazione di questo “decreto Di Maio”, che continua a correlare le tutele del lavoratore non al fatto di lavorare ma al contratto di lavoro. Continuate a dire: se hai il contratto a tempo indeterminato, avrai un pacchetto di tutele; se invece sei titolare di un contratto a tempo determinato, avrai un altro pacchetto di tutele. Io vi prego di cambiare proprio prospettive e logica. Questa è una logica ottocentesca, che lega le tutele alla tipologia del contratto. Forse dovremmo iniziare a pensare a legare le tutele al fatto di lavorare, perché è il riconoscimento della dignità di chi lavora che va tutelato e va promosso. Ma questo lo si fa a prescindere dal contratto, collegando le tutele al fatto stesso di lavorare.

Chiudo, signor Presidente, semplicemente dicendo che guardando al passato si ha forse fiducia nelle cose che si stanno facendo, un po' come chi lascia il porto con una barca e tende a guardare indietro, al porto, per essere sicuro; io credo che, invece, avremmo un mare davanti sul quale dovremmo aprire i nostri orizzonti, che sono più complessi di una causale del contratto a termine. I nostri orizzonti sono connessi alla scarsità di capitale umano, sul quale dovremmo lavorare e investire sul piano della formazione; sono connessi alla debole innovazione nel nostro sistema imprenditoriale, che andrebbe incentivata e sostenuta; sono connessi alla necessaria adozione di nuove tecnologie, che va promossa. Sono orizzonti collegati alla poca domanda di competenze che ancora esprime il nostro sistema imprenditoriale; sono, infine, i bassi livelli di produttività salariale. Allora la sfida reale che abbiamo davanti non è introdurre causali sul contratto a termine, è iniziare a risolvere questi problemi che ho appena elencato. Ma questi problemi che ho appena elencato, signor Presidente e signor sottosegretario, non si risolvono nel chiuso delle stanze, si risolvono parlando con gli attori e i protagonisti, con gli stakeholder, come oggi si su usa dire, parola che non vorrei più tradurre come “portatori di interesse” ma come portatori di competenze e di esperienze. E credo che anche il Governo talvolta ha necessità di ascoltare chi è portatore di competenze e di esperienza.