Dichiarazione di voto finale
Data: 
Giovedì, 8 Febbraio, 2024
Nome: 
Anna Ascani

A.C. 1666

Grazie Presidente. Colleghe e colleghi, il nostro gruppo esprimerà voto favorevole al decreto che proroga l'autorizzazione al Governo a cedere materiali, mezzi ed equipaggiamenti militari all'Ucraina e lo farà tenendo fede all'impegno assunto in quest'Aula il 25 febbraio 2022, quando, a poche ore dall'aggressione criminale della Federazione Russa ai danni di un Paese libero, sovrano ed indipendente, dichiarammo insieme agli altri gruppi che non avremmo mai voltato le spalle al popolo ucraino e, insieme ai nostri partner europei e dell'Alleanza atlantica, l'avremmo sostenuto nella resistenza e aiutato ad esercitare il legittimo diritto alla difesa. Si trattava - è utile ricordarlo per chi sembra mancare di memoria - di un'invasione anche se, con sprezzo del ridicolo e protervia tipica dei regimi, veniva qualificata come “operazione militare speciale”. Una potenza nucleare invadeva con carri armati e mezzi blindati con migliaia di militari uno Stato confinante per annientare il Governo e le istituzioni democratiche per annetterlo. Putin voleva cancellare l'Ucraina dalla cartina geografica con la menzogna della denazificazione: questa è la storia di questa vicenda e questa storia non può essere scritta che così. Un folle disegno neoimperialista ha riportato qui, sul vecchio continente, fosche tenebre di guerra e morte, che credevamo cancellate definitivamente, un tragico balzo nel passato, che neppure nelle più distopiche immaginazioni aveva trovato posto. Sotto attacco era l'Ucraina - certo -, ma con essa i fondamenti delle nostre libere società e i pilastri su cui si sono poggiati decenni di pace, democrazia e giustizia nell'Europa riemersa dalla catastrofe della Seconda guerra mondiale, quella nella quale tutti si erano impegnati affinché prevalesse la forza del diritto e non più - mai più - il diritto della forza. Ce lo ha ricordato di recente il Presidente Mattarella: “La libertà e l'indipendenza dell'Ucraina” - ha detto - “sono tutt'uno con i valori fondanti dell'Europa”. Noi dunque decidevamo di aiutare il popolo ucraino a difendersi, ma nel contempo stavamo difendendo noi stessi e il modello di società che donne e uomini hanno conquistato, anche pagando con la vita, 80 anni fa, sconfiggendo totalitarismi e scellerate ideologie. Stavamo difendendo - ho detto - e stiamo difendendo, colleghe e colleghi, anche con il voto di oggi, anche due anni dopo, anche ora che la speranza di una rapida controffensiva si è scontrata con la complessità del campo di battaglia e un'innegabile stanchezza nelle nostre opinioni pubbliche comincia ad affiorare. Stanchezza che impallidisce però se si pensa alla fatica concreta del popolo ucraino, al desiderio che anima ogni cittadino in quel pezzo di Europa di vedersi restituita la pace, una stanchezza diversa dalla loro, che è conseguenza della lotta quotidiana per la libertà, non letta sui giornali, ma combattuta sulla propria pelle, vedendo morire persone care e allontanarsi, giorno dopo giorno, anche il ricordo dei tempi di quiete, cancellati dalla violenza immane di un invasore capace persino di deportare migliaia di bambini, bambini che abbiamo il dovere di riportare a casa, di restituire alle loro madri, alle loro famiglie e al loro Paese.

Nel nostro sistema di valori, colleghi e colleghe, è chiaro il ripudio della guerra. In questi banchi, ma - sono convinta - in nessuno scranno di quest'Aula, siede una donna o un uomo intossicato da spirito bellicista. Noi speriamo e vogliamo che questa guerra finisca, che cessi la sofferenza di un intero popolo, in cui in milioni non hanno più nulla: una famiglia su tre ha dovuto lasciare la propria casa, 6 milioni di cittadini sono dovuti fuggire in altri Paesi e altrettanti non riescono a mangiare tutti i giorni. E poi ancora bombe, missili e droni continuano a piovere su obiettivi civili, mietendo nuove vittime, spesso bambini. Ieri, 44 missili, 20 droni e 4 morti anche oggi, ogni giorno. E vogliamo che si ponga fine anche alla morte di decine di migliaia di giovani in divisa, una strage mostruosa: non è retorica, è realtà. Da subito abbiamo chiesto la fine del conflitto, abbiamo chiesto che tacessero le armi e vincesse la pace, abbiamo chiesto che venisse percorsa la via negoziale e noi oggi votiamo con quello stesso spirito, con quella stessa speranza e determinazione, perché una pace giusta e sicura sia possibile. Ed è per questo - lo abbiamo scritto esplicitamente nella risoluzione votata poco più di un mese fa - che riteniamo urgente uno sforzo diplomatico, rinnovato ed incisivo dell'Unione europea e chiediamo al Governo di impegnarsi su questa linea e, sempre al Governo, di adoperarsi in ogni sede internazionale per una pace giusta, che si faccia carico delle ragioni dell'aggredito. Lo abbiamo chiesto ad un Governo che - c'è da dire - non fa corrispondere ad una narrazione baldanzosa sul proprio ruolo nei consessi internazionali altrettanta capacità di iniziativa ed orientamento e questa assenza, questo vuoto pesano. Dinanzi al bene supremo della pace, occorre muoversi sul sentiero della franchezza; per questo dobbiamo riconoscere che anche la voce dell'Europa è stata debole. Nelle prime ore in realtà, la risposta, per quanto difficile, c'è stata, plasticamente rappresentata dalla fotografia dei tre presidenti Draghi, Macron e Scholz, in viaggio verso Kiev, fotografia che non a caso ha infastidito molto la Presidente Meloni. Alla reazione forte e risoluta al tentativo di Putin di dividere l'Unione, non ha fatto seguito però nel tempo una linea altrettanto forte e risoluta che ponesse l'Europa tra gli attori protagonisti della costruzione di una via d'uscita negoziale e diplomatica dal conflitto. Non dobbiamo certo ridimensionare l'importanza della decisione assunta lo scorso dicembre di aprire le porte dell'Unione a Kiev con l'avvio del percorso di adesione, né tantomeno l'approvazione, nei giorni scorsi, del nuovo pacchetto d'aiuti - approvazione purtroppo, come sappiamo, ritardata dal veto ungherese -, ma l'Europa politica, l'Europa che sa tradurre la solidità dei suoi valori in azione coraggiosa e tenace non si è vista, eppure è quella l'Europa che serve oggi, anche perché - è inutile nasconderlo - una direzione isolazionista degli Stati Uniti, legata all'eventuale infausta affermazione di Trump, non resterebbe senza effetti sul terreno degli equilibri e dei pesi internazionali e di questa guerra naturalmente. Certo, la strada è impervia, anche perché in Europa esistono forze, come quella di Zemmour e partiti di Governo, come quello di Viktor Orban, entrambi prossimi aderenti al gruppo dei conservatori della Presidente Meloni, che la considerano luogo di mera contrattazione degli interessi nazionali e non casa comune di popoli affratellati da un destino condiviso e che in questa vicenda hanno assunto posizioni - per dirla con un eufemismo – “ambigue”, ma se l'Europa non dovesse in questo tempo compiere un salto di qualità, comprendendo che siamo a un tornante della storia, ritrovando quel realismo profetico dei padri fondatori, allora il suo stesso futuro rischierebbe di essere condizionato, come quello di chi cammina verso una meta desiderata, frenato da pesanti catene. Signor Presidente, colleghi e colleghe, troppe vite spezzate, troppe rovine, troppe sofferenze frutto di atroce disegno di conquista devono spingere tutti fino a togliere il sonno alla ricerca del cessate il fuoco, ma sapendo bene una cosa, che non ci può essere pace se essa è disgiunta dalla parola sorella “libertà”: non vive in pace un popolo se non è libero, in quel caso c'è un altro nome: “schiavitù”.

Libertà e pace: questi sono i doni che abbiamo ricevuto da donne e uomini coraggiosi, saggi e illuminati all'indomani della seconda guerra mondiale e su cui è nata l'Europa ed è questo quindi il destino che anche noi dobbiamo contribuire a restituire al popolo ucraino.