Data: 
Giovedì, 15 Maggio, 2014
Nome: 
Franco Vazio

Doc. IV, n. 6-A

Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Giunta per le autorizzazioni riferisce su una domanda di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato Francantonio Genovese.
  Presidente, voglio evidenziare all'Aula che l'esame ha riguardato 16 faldoni trasmessi dal tribunale di Messina, un'ordinanza di oltre 350 pagine, quattro memorie difensive e numerosi altri documenti e sentenze. Questo solo per dare una spiegazione dei tempi che sono stati necessari alla Giunta per le autorizzazioni per esprimersi. Non abbiamo perduto tempo. Era nostro compito lavorare e decidere con coscienza e responsabilità e ciò abbiamo fatto.
  In ragione dei tempi che mi sono concessi metterò in evidenza gli argomenti salienti sviluppati nella relazione depositata, a cui sotto ogni profilo faccio riferimento e che integralmente richiamo.
  Ebbene, la richiesta è stata avanzata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Messina lo scorso 18 marzo 2014, con riferimento ai reati di associazione a delinquere, concorso nei reati di riciclaggio, peculato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, dichiarazioni fraudolente ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.
  Secondo l'ipotesi accusatoria, fatta propria dal giudice per le indagini preliminari, alcuni enti privati siciliani, gonfiando i costi di esercizio per lo svolgimento dei corsi di formazione professionale, erano divenuti strumento per la sottrazione di fondi regionali e comunitari dalla loro destinazione (parliamo di fondi di circa 27 milioni di euro). L'inchiesta descritta nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari prende le mosse dalle vicende che, già nel mese di luglio del 2013, hanno indotto la medesima autorità giudiziaria a disporre l'applicazione di misure cautelari per altri dieci indagati, tra cui persone strettamente connesse, per ragioni di parentela o legate ad altro titolo, a Francantonio Genovese.
  L'impianto accusatorio ruota intorno all'influenza politica dell'onorevole Francantonio Genovese. Ciò gli avrebbe consentito di far stipulare a tali enti contratti per beni e servizi a costi esorbitanti, ovvero consulenze o somministrazioni fittizie con società direttamente riferibili a lui e alla sua organizzazione. Il tribunale di Messina, chiamato a giudicare sulla richiesta di riesame su misure cautelari disposte a carico di uno dei soggetti coinvolti nel procedimento penale, nell'ordinanza di rigetto del 2 agosto 2013 così illustrava dettagliatamente il sistema: «Il meccanismo si basava, in particolare, su un rapporto di cointeressenza – dice il tribunale –, che spesso trasmodava nella coincidenza di centri di interesse, tra i titolari dell'ente di formazione e alcune società di servizi, le quali locavano immobili o noleggiavano attrezzature da soggetti terzi a prezzi correnti, per poi proporli in subaffitto all'ente di formazione a tariffe esorbitanti».Vale la pena di richiamare in questa sede uno degli episodi descritti dal tribunale. Un primo gruppo di capi di imputazione attiene alla vicenda della locazione dell'immobile sito in Caltanissetta: «Nel mese di febbraio del 2007, la Sicilia Service prendeva in affitto l'immobile in oggetto per il canone di euro 10 mila, comprensivo di consumi elettrici, idrici e dei costi per le pulizie. In pari data, la Sicilia Service subaffittava l'unità immobiliare all'ARAM all'iperbolico canone di euro 70 mila, IVA inclusa», dice il tribunale.
  E ancora il tribunale di Messina, in data 8 agosto 2010, precisa: «È indubbio, pertanto, il fumus commissi delicti nei termini sopra chiariti. E d'altra parte, ai fini del mero fumus, non possono smentire le conclusioni a cui si è pervenuti le consulenze prodotte dalle difese in sede di discussione. Le stesse, infatti, non sono valse neppure a ritenere scolorito il quadro di gravità indiziaria idoneo a supportare l'applicazione della misura personale». In relazione all'ipotesi di reato di associazione a delinquere, l'ordinanza del giudice afferma che Francantonio Genovese «si colloca chiaramente al vertice del sodalizio criminale», con il ruolo di «promozione e direzione, e contestualmente stratega e principale beneficiario dei proventi illeciti».
  Attraverso questa struttura complessa, secondo i giudici procedenti, l'onorevole Francantonio Genovese avrebbe, quindi, tratto profitti illeciti, confluiti nel suo patrimonio. Il giudice, preso atto delle risultanze investigative, ha ritenuto di accogliere la richiesta del pubblico ministero. Il giudice, a tal riguardo, osservava: «Tali elementi rendono l'idea di un'organizzazione criminale diffusa, ben avviata ed adeguatamente potente, che ha delinquito e ragionevolmente continuerà a delinquere. (...) Appare, dunque, ragionevolmente certa la reiterazione delle medesime condotte criminose». In ordine all'adeguatezza della misura, aggiunge il giudice, «deve ritenersi che unica misura adeguata a soddisfare le esigenze cautelari sia quella della custodia in carcere».
  Ebbene, passo ora, succintamente, alle ragioni di critica sollevate dall'onorevole Genovese da cui si desumerebbe il fumus persecutionis e alle relative deduzioni della Giunta. Un primo elemento di critica si incentra sul rifiuto di acquisire prove prodotte dalla difesa in ordine alla congruità di determinati canoni contrattuali a carico di taluni enti di formazione. Al riguardo, occorre ricordare che tale facoltà non è riconosciuta in modo assoluto nel nostro ordinamento processuale, dal momento che l'incidente probatorio, ai sensi dell'articolo 392 del codice di procedura penale, può essere legittimamente richiesto nelle sole ipotesi in cui la prova riguarda il luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile.
  Il fatto che il giudice, quindi, non abbia concesso e accolto questo incidente probatorio non può essere sintomatico del fumus persecutionis. In secondo luogo, la difesa dell'onorevole Genovese contesta il fatto che il giudice per le indagini preliminari qualifichi in termini di peculato una condotta che è, invece, derubricata nel meno grave reato di truffa, così come poi pronunciato dalla Corte di cassazione.
  Ad avviso della maggioranza dei componenti della Giunta, tale circostanza ha un peso marginale. È stato in proposito evidenziato come il citato giudicato cautelare non riveste alcun valore vincolante per il magistrato procedente. In più, l'ordinanza cautelare fa perno su ben otto capi di imputazioni, tra i quali la truffa aggravata che è già di per sé sufficiente a legittimare la custodia cautelare in carcere. Inoltre, non si può omettere di osservare che dal contesto complessivo dell'ordinanza risulta in modo incontrovertibile che l'inchiesta ruota intorno al reato associativo e a poco rileva la configurazione oscillante di altri reati.
  Dobbiamo prendere, altresì, atto che le contestazioni sono passate al vaglio di diversi organi della magistratura, monocratici e collegiali, e che tutti si sono espressi per la fondatezza dell'impianto accusatorio.
  In quarto luogo, al di là della congruità dei canoni e dei corrispettivi contrattuali erogati dagli enti, che saranno poi oggetto ovviamente di valutazione processuale, nel dibattito è emerso come dagli atti d'indagine si abbia l'impressione di una piena coincidenza tra gli enti predetti e la società riferibile all'onorevole Genovese. Ciò posto, appare ragionevole la tesi accusatoria fatta propria dal giudice per le indagini preliminari: se acquisire un contratto o un servizio è costato meno al soggetto che, senza scopi di lucro, dovrebbe chiederne il rimborso, questo vantaggio spetta all'ente pagatore, cioè la regione Sicilia, e non può essere surrettiziamente ed illegittimamente aumentato dallo stesso in forza di alchimie contrattuali.
  Un altro elemento di valutazione riguarda la potenziale lesione delle prerogative costituzionali concernenti il divieto delle intercettazioni telefoniche. Ebbene, su questo punto l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari afferma che l'ordinanza non si fonda, e noi abbiamo accertato che non si fonda in alcun modo, sulle conversazioni intercettate, né nei confronti del parlamentare, né nei confronti dei suoi interlocutori; pertanto, anche sotto questo profilo, difetta il fumus persecutionis.
  Nell'ulteriore esame nel dibattito in Giunta è emersa altresì l'esigenza di precisare la portata del principio di salvaguardare la tutela del plenum assembleare; si è opportunamente rilevato che tale criterio di valutazione può trovare spazio nelle sole ipotesi in cui la misura cautelare discenda da un pericolo di inquinamento probatorio e, forse, di fuga, ma non è invece invocabile nel caso di specie. Nessun pregiudizio allo svolgimento dell'azione penale può infatti derivare dalla concessione o dal diniego dell'esecuzione di una misura cautelare per il caso di pericolo di reiterazione del reato.
  Infine, la Giunta non ritiene condivisibili i sospetti sul condizionamento e sulla terzietà dell'autorità giudiziaria, che, anzi, appare al di sopra di ogni sospetto proprio in ragione della sua iniziativa di formulare un'istanza di astensione; elemento quest'ultimo che certamente smentisce ogni ipotesi di intento persecutorio.
  Con riferimento all'ipotizzata reiterazione delle condotte dobbiamo rilevare due cose: dall'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari emerge che il prospettato pericolo di reiterazione delle medesime condotte viene principalmente ricondotto, più che all'attività relativa agli enti di formazione, agli elementi caratterizzanti l'organizzazione criminale asseritamente gestita dal Genovese; il secondo concerne gli elementi posti all'attenzione della Giunta in merito alla Training Service. A tale proposito, è fuori dubbio, avendolo confermato lo stesso Genovese, che tale società è a lui indirettamente riconducibile e che svolge tuttora attività formativa. Pur essendo vero che il bando relativo all'attività di formazione risale al 2011, è anche vero che le istanze, le note, gli incontri e i perfezionamenti di queste istanze avvengono dall'agosto al dicembre del 2013, in un periodo in cui erano state già disposte ed erano in corso misure cautelari nell'ambito dei succitati procedimenti. Sotto altro profilo e in relazione ad altre censure, è il caso di evidenziare che il compito della Giunta è solo quello di valutare se gli atti direttamente o indirettamente viziati da illegittimità siano affetti da fumus persecutionis. Ciò che viene richiesto per far emergere tale profilo non è solo l'illegittimità dell'atto, ammesso e non concesso che vi sia, ma anche un particolare e aggiuntivo elemento che la Giunta non ritiene che sussista.
  Infine, non è apparso neppure condivisibile il parallelismo proposto dal relatore originariamente designato tra la posizione di Francantonio Genovese e la cessazione delle misure cautelari; anche in questo caso infatti le posizioni non sono sovrapponibili anche perché l'onorevole Genovese oggi è in una fase completamente differente rispetto agli altri imputati. Peraltro, è corretto evidenziare che, a seguito dell'impugnazione da parte del pubblico ministero, il collegio per il riesame ha comunque riconosciuto che permangono le esigenze cautelari, seppure in misura attenuata.
  È di tutta evidenza che la posizione dell'onorevole Genovese, in quanto estranea a quel processo, non sia in alcun modo assimilabile a quella dei predetti imputati.
  Mi avvio alle conclusioni. Sulla base delle predette argomentazioni, la Giunta non ha rinvenuto alcun intento persecutorio nei confronti dell'onorevole Genovese.
  Il sottoscritto relatore desidera conclusivamente chiarire che nessuna determinazione assunta dalla Giunta può e deve sostituirsi all'accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità penali nelle sedi opportune e proprie. Non è infatti competenza dell'organo parlamentare sviluppare un giudizio sulla fondatezza delle accuse e sulla colpevolezza o innocenza del deputato oggetto di indagine.
  La determinazione della Giunta, ben consapevole del peso e della gravità di tale scelta, si è mossa nel solco dell'articolo 68 della Costituzione nello spirito più genuino, che impone di negare l'autorizzazione ad una richiesta all'organo giudiziario solo ove si riconosca in essa un intento persecutorio. Ciò in quanto la richiamata prerogativa costituzionale è a tutela delle istituzioni e non del singolo membro, la cui libertà personale e i cui diritti individuali devono trovare piena esplicazione nelle sedi proprie e, segnatamente, nelle procedure definite dal nostro ordinamento processuale.
  Alla Giunta non spettava – e, secondo me, alla Camera non spetta – alcuna forma di giudizio parallelo rispetto a quello che si svolge nelle aule giudiziarie. All'organo parlamentare compete solo di valutare se, nel caso concreto, sia ravvisabile o meno il fumus persecutionis e in questo senso la Giunta ha concluso i propri lavori.