Intervento del Ministro della giustizia
Data: 
Giovedì, 25 Giugno, 2015
Nome: 
Andrea Orlando

Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, mi avvio ad illustrare i fatti oggetto dell'indagine della procura della Repubblica di Roma, ormai nota come «mafia capitale». Prima di iniziare la mia esposizione, credo siano indispensabili due premesse. La prima: in indagini così complesse ritengo debba essere d'obbligo un approccio prudente rispetto alle valutazioni dei fatti e delle posizioni per le quali è attribuito all'autorità giudiziaria il compito di verificare ed accertare le relative responsabilità penali. 
È, tuttavia, evidente come una valutazione complessiva della vicenda imponga, già oggi, una profonda riflessione del Parlamento e di tutte le forze politiche in esso rappresentate, non solo su quanto è emerso rispetto ai fatti delittuosi come commessi nella capitale, ma anche, più in generale, sull'evoluzione, nel Paese, dei fenomeni corruttivi e sulle prospettive di più efficace contrasto rese possibili dal progressivo arricchimento degli strumenti di prevenzione e di repressione. 
La seconda considerazione preliminare attiene allo stato delle procedure di competenza dell'autorità giudiziaria. Siamo, infatti, di fronte agli esiti di indagini preliminari ancora in corso, che coinvolgono molte persone per fatti ed ipotesi delittuose particolarmente gravi, a cui la coscienza civile guarda con comprensibili sentimenti di sgomento e di indignazione. Appunto, data la peculiare fase nella quale si trova il procedimento, sotto lo specifico profilo della ricostruzione dei fatti finora emersi, non potrò che fare pressoché esclusivo riferimento a quanto comunicato dall'autorità giudiziaria procedente. Tanto è dovuto al necessario rispetto delle prerogative della magistratura e dei principi che regolano l'equilibrio tra poteri dello Stato. Nell'offrire una prima ricostruzione al Parlamento, non posso, quindi, che basarmi sugli elementi informativi trasmessi dal procuratore della Repubblica di Roma e sulle valutazioni contenute in provvedimenti giudiziari conoscibili. 
Come a molti noto, a seguito di complesse indagini, durate circa due anni, il GIP del tribunale di Roma ha emesso, lo scorso 28 novembre 2014, una prima ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di 37 persone. In particolare, con quel provvedimento a 18 degli arrestati sono contestati i delitti di partecipazione, direzione e organizzazione ad un'associazione per delinquere di tipo mafioso, di cui all'articolo 416-bis del codice penale, oltre che specifiche condotte di usura, estorsione, corruzione, turbativa d'asta, intestazione fittizia di beni ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Nella gran parte dei casi è stata ritenuta sussistente l'aggravante di avere agito al fine di agevolare l'associazione di tipo mafioso, ovvero avvalendosi della forza di intimidazione della stessa consorteria criminale. 
Le misure cautelari sono state eseguite il 2 dicembre 2014. Contestualmente, con decreto del tribunale per le misure di prevenzione, sono stati sottoposti a sequestro beni per un valore complessivo stimato a circa 220 milioni di euro. Per quasi tutti gli indagati vi è stata conferma dei provvedimenti cautelari da parte dei giudici del tribunale del riesame e, successivamente, della Corte di cassazione. 
Questa prima fase dell'indagine può dirsi conclusa lo scorso 29 maggio, allorquando il giudice per le indagini preliminari di Roma ha emesso il decreto che dispone il giudizio immediato, richiesto dal pubblico ministero. La prima udienza del conseguente dibattimento è, come è noto, fissata dinanzi al tribunale di Roma per il 5 novembre 2015. Nella stessa data del 29 maggio scorso, il giudice per le indagini preliminari ha inoltre emesso una nuova ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di 44 persone, 12 delle quali già destinatarie del precedente provvedimento cautelare. I delitti contestati sono stati: la partecipazione a vario titolo nell'associazione di tipo mafioso, individuata come promossa, diretta ed organizzata da Massimo Carminati. Anche in questo caso a quelle contestazioni se ne associano altre, formulate in relazione ai gravi fatti di corruzione, turbativa d'asta, intestazione fittizia di beni ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. 
Anche questo provvedimento è stato confermato per le posizioni prese finora in considerazione dal tribunale per il riesame di Roma. Nel corso degli ultimi mesi, infine, in esecuzione di provvedimenti del tribunale di Roma, sezione misure di prevenzione, sono stati sequestrati ulteriori beni del valore stimato di circa 140 milioni di euro. Con riferimento alla contestazione del delitto di associazione di stampo mafioso, secondo la prospettazione offerta dalla procura della Repubblica di Roma, le indagini hanno consentito allo Stato di acquisire gravi indizi di colpevolezza in ordine all'esistenza di un'organizzazione criminale operante nel territorio della città di Roma, che si avvale della forza di intimidazione, del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne discende per commettere delitti e per acquisire, in modo diretto o indiretto, la gestione e il controllo di attività economiche, di appalti e di servizi pubblici. 
Per i magistrati requirenti tale organizzazione presenta caratteristiche proprie, solo in parte assimilabili a quelle delle mafie tradizionali e agli altri modelli di organizzazione di stampo mafioso fin qui conosciuti. La riconducibilità dell'organizzazione alla fattispecie di cui all'articolo 416-bis del codice penale è stata ipotizzata in considerazione dell'impiego del metodo mafioso e cioè della forza di intimidazione derivante da vincoli di appartenenza costituiti per il conseguimento di comuni scopi criminali. 
Secondo quanto rappresentato dal procuratore della Repubblica, cito testualmente: «la forza di intimidazione del vincolo associativo, autonoma ed esteriorizzata, e le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà sono generate dal combinarsi di fattori criminali, istituzionali, storici e culturali, che delineano un profilo del tutto originale ed originario: originale, perché l'organizzazione criminale presenta caratteri suoi propri, in nulla assimilabili a quelli delle altre consorterie note; originario, perché la sua genesi è propriamente romana nelle sue specificità criminali ed istituzionali. Le indagini hanno rivelato in mafia capitale un gruppo illecito evoluto, che si avvale della forza di intimidazione derivante – anche – dal passato criminale di alcuni dei suoi più significativi esponenti; un'organizzazione criminale tanto pericolosa, quanto poliedrica, che, per definirla con espressioni ormai note, opera in un mondo di mezzo, un luogo dove, per effetto della potenza e dell'autorevolezza acquisite, si realizzano sinergie criminali e si compongono equilibri illeciti tra il mondo di sopra, dell'imprenditoria e delle istituzioni, ed il mondo di sotto dalle forme più tradizionali della illiceità penale». Fine della citazione. 
Nei provvedimenti giudiziari è stata sottolineata la peculiarità del quadro circostanziale emerso dalle indagini rispetto ai dati propri delle mafie tradizionali. Queste ultime, sul piano strutturale, presentano di regola modelli organizzativi pesanti e rigidamente gerarchici, nei quali i vincoli di appartenenza sono indissolubili ed inderogabili. Un tale modello organizzativo è stato ritenuto storicamente e sociologicamente incompatibile con la realtà criminale romana, che invece è stata sempre caratterizzata da un'elevata fluidità nelle relazioni criminali, dall'assenza di rigide strutture organizzative, tuttavia compensata dalla presenza di figure carismatiche, dai rapporti molto stretti con le organizzazioni mafiose tradizionali, comunque attive sul territorio romano, e da una connaturata capacità di ricercare e realizzare continue mediazioni tra gli interessi ed i ruoli criminali in gioco. Secondo il procuratore Pignatone, mafia capitale ha saputo adattarsi alla particolarità delle condizioni storiche, politiche ed istituzionali della città di Roma, differenziandosi ed in parte affrancandosi dalle precedenti espressioni organizzate capitoline, come la banda della Magliana. Quel sodalizio criminale risulta così aver creato una struttura organizzativa di tipo reticolare, che mantiene inalterata la capacità di intimidazione derivante dal vincolo associativo nei confronti di tutti coloro che vengono a contatto con l'associazione. Per quanto sinora conosciuto dalle indagini, viene ipotizzata come tuttora frequente la commissione di gravi delitti di criminalità comune, prevalentemente a base violenta, ma lo scopo principale della consorteria criminale in parola sarebbe costituito soprattutto dall'infiltrazione nel tessuto economico, politico e istituzionale cittadino, in particolare nell'ottenimento illecito dell'assegnazione di appalti, servizi e forniture da parte della pubblica amministrazione. Nell'ordinanza del GIP di Roma del 28 novembre 2014 sono analizzati in particolare i rapporti tra mafia capitale e le pubbliche istituzioni lato sensu considerate, comprensive dunque tanto della dimensione prettamente burocratica amministrativa quanto di quella della rappresentanza politica, risultando una capacità di condizionamento illecito e di compenetrazione delle strutture della pubblica amministrazione che assume carattere multiforme. 
Per la ricostruzione offerta dal giudice per le indagini preliminari, tale carattere emerge sotto un primo angolo di visuale, ove si consideri che i metodi usati sono diversificati, benché operanti sul piano di una strettissima interazione: da quello tipicamente mafioso, a volte latente a volte palesemente esteriorizzato, a quello tipicamente corruttivo, alla continua ricerca di accordi criminali e collusioni illecite. 
Sotto altro angolo visuale, la pluralità degli approcci alla dimensione pubblica da parte di Mafia capitale si coglie, secondo quanto ricostruito dalle indagini, ove si considerino i protagonisti interni ed esterni alla sua struttura, appartenenti, per storia e per scelta politica, ad aree diverse, spesso anche opposte, nelle quali al radicalismo delle posizioni ideali professate fa da contrappunto l'assenza totale di remore a comporre, con soddisfazione e apprezzamenti reciproci, affari illeciti. 
In altri termini, la contestazione di numerosi reati contro la pubblica amministrazione rivela, stando a quanto finora ricostruito dagli inquirenti, una preoccupante pervasività della corruzione a livello di amministrazioni locali. 
Particolare rilievo hanno le considerazioni del procuratore capo di Roma, secondo le quali – di nuovo cito testualmente – «le indagini svolte hanno consentito di evidenziare come, nella strategia di penetrazione della PA finalizzata ad ottenere il controllo di lavori pubblici e di singole attività economiche, il metodo mafioso abbia avuto precisa efficienza causale, sia nell'elaborazione strategica che nel concreto esercizio, massimamente verso i settori delle amministrazioni locali e delle loro controllate. 
L'elaborazione strategica, l'utilizzazione e l'interazione del metodo mafioso con il metodo corruttivo sono rese evidenti, nelle intercettazioni, anche in relazione al mutamento politico della classe dirigente dell'amministrazione di Roma capitale dopo le ultime elezioni comunali della primavera del 2013». Nelle stesse parole del procuratore si segnano fasi diverse, ma si delinea come questo elemento sia proseguito, sia pure con caratteri diversi. 
È necessario, al riguardo, porre in evidenza che, con le due ordinanze del GIP di Roma che ho già richiamato, è stata disposta l'applicazione di misure cautelari personali per i reati contro la pubblica amministrazione nei confronti di cinque componenti del consiglio comunale di Roma, mentre numerosi sono stati i dirigenti e funzionari dell'amministrazione di Roma capitale e della società partecipata AMA nei confronti dei quali sono state disposte misure cautelari per i reati di corruzione, turbativa d'asta e, in alcuni casi, anche per il delitto di cui all'articolo 416-bis. 
Così come va segnalato che un altro settore privilegiato di intervento illecito dell'associazione criminosa risulta essere stato quello particolarmente allarmante dell'accoglienza dei migranti, che si è concretizzato, dal punto di vista delle fattispecie penali di cui si ipotizza la violazione, in plurimi episodi di corruzione e di turbativa d'asta. La ricostruzione del fenomeno delineato dall'indagine secondo il prescelto paradigma dell'articolo 416-bis del codice penale è stata quindi confermata dalla Corte di cassazione, che, con una sentenza del 10 aprile 2015, ha respinto i ricorsi presentati da alcuni degli indagati sottoposti a misura cautelare. 
La decisione che ho appena citato affronta, risolvendola positivamente, la controversa questione dell'applicabilità della norma incriminatrice dell'articolo 416-bis del codice penale – con il suo severo trattamento sanzionatorio e con il particolare regime processuale che essa determina – anche alle associazioni per delinquere diverse dalle «mafie tradizionali». La Cassazione, inoltre, ha preso in esame il rapporto tra associazione mafiosa e le collegate pratiche di corruzione, confermando l'ormai consolidato orientamento secondo cui le mafie «tradizionali» e «nuove» ricorrono sempre più alla minaccia e alla violenza esplicita solo come extrema ratio, privilegiando, invece, un più agevole approccio di tipo collusivo-corruttivo. 
Valorizzando «il “salto di qualità” dell'associazione nel settore economico e nella pubblica amministrazione», la Corte ha evidenziato come – cito testualmente – «l'associazione ha potuto ampliare lo spettro delle sue attività e sfruttare il conferimento del “bene” derivatole dall'acquisto della capacità di intimidazione già sperimentata nei tradizionali settori delle estorsioni e dell'usura: capacità progressivamente accumulata nel serbatoio criminale di origine e poi trasfusa, con metodi più raffinati, nei nuovi campi di elezione del “mondo di sopra”, ove si è avvalsa del richiamo alla consolidata “fama criminale” acquisita nel tempo, senza, tuttavia, abbandonare le possibilità di un concreto ricorso ad atti di violenza e di intimidazione quali forme di manifestazione da utilizzare all'occorrenza». 
Sempre secondo la citata sentenza, «la forza di intimidazione dell'associazione è stata così direttamente veicolata all'interno dei meccanismi di funzionamento propri del mondo imprenditoriale e della pubblica amministrazione, alterando, da un lato, i principi di legalità, imparzialità e trasparenza nell'azione amministrativa, e, dall'altro lato, quelli della libertà di iniziativa economica e di concorrenza». 
In sintesi, e questo è l'elemento rilevante che credo vada offerto a questa Assemblea, la Corte di cassazione ha affermato come nello schema dell'articolo 416-bis del codice penale non rientrino solo le grandi associazioni di mafia, con elevato numero di appartenenti, dotate quindi di mezzi finanziari imponenti ed in grado di assicurare l'assoggettamento e l'omertà, attraverso il terrore ed il costante attentato alla vita umana ed alla sicurezza delle comunità, bensì anche organizzazioni con un limitato numero di affiliati, anche non necessariamente armate, ma capaci di assoggettare, a propri fini egemonici, un circoscritto territorio, un determinato settore di attività economiche, avvalendosi tuttavia del tipico metodo mafioso, dell'intimidazione e delle conseguenti condizioni di omertà. 
Con specifico riferimento a «Mafia capitale», la suprema Corte ha affermato in particolare che «non si è trattato di uno sfruttamento organizzato del potere amministrativo a fini personali o clientelari attraverso l'abuso sistematico degli organi istituzionali (...) bensì di una occupazione dello spazio amministrativo ed istituzionale attraverso un uso criminale delle forme di esercizio della pubblica potestas, basato sul possibile ricorso ad una forza intimidatrice autonoma del vincolo associativo, da questo direttamente originata e in quanto tale percepita, anche all'esterno, come un elemento strutturale permanente del sodalizio». Al fine di realizzare gli obiettivi dell'associazione, si legge in sentenza, «la forza intimidatrice del vincolo associativo non ha agito direttamente sui pubblici amministratori per condizionarne le scelte, ma se ne è servita aggregandoli al proprio apparato organizzativo per la diretta realizzazione dei suoi illeciti interessi, ovvero inducendoli a favorire il gruppo attraverso accordi di tipo corruttivo-collusivo che hanno deformato l'intero funzionamento dell'amministrazione capitolina: in tal modo si è esaltata la capacità di pressione intimidatoria del sodalizio, la cui direzione è stata orientata nei confronti di tutti coloro che avrebbero potuto avvantaggiarsi dei provvedimenti amministrativi e dei contratti della pubblica amministrazione, scoraggiandone la concorrenza e inducendoli a lasciare il campo quando erano in giuoco gli interessi delle imprese utilizzate dall'associazione». Conclusivamente la Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui «Ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, la forza intimidatrice espressa dal vincolo associativo dalla quale derivano assoggettamento ed omertà può essere diretta tanto a minacciare la vita o l'incolumità personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti. Ferma restando una riserva di violenza nel patrimonio associativo, tale forza intimidatrice può venire acquisita con la creazione di una struttura organizzativa che, in virtù di contiguità politiche ed elettorali, con l'uso di prevaricazioni e con una sistematica attività corruttiva, esercita condizionamenti diffusi nell'assegnazione di appalti, nel rilascio di concessioni, nel controllo di settori di attività di enti pubblici o di aziende parimenti pubbliche, tanto da determinare un sostanziale annullamento della concorrenza o di nuove iniziative da parte di chi non aderisca o non sia contiguo al sodalizio». Fine della citazione. 
Tanto premesso, sul piano di una doverosa ricostruzione della vicenda processuale, va ribadito come la valutazione delle responsabilità penali dei singoli e della correttezza della qualificazione giuridica dei fatti loro attribuiti, è istituzionalmente riservato al giudice naturale e alle regole processuali che regolano la formazione della prova nel contraddittorio delle parti. Allo stato, vanno registrate le pronunce, nei termini di cui ho riferito, intervenute in sede cautelare, in attesa dello svolgimento del processo, ormai avviato per contestazioni formulate con la prima ordinanza. Non può, tuttavia, non rilevarsi come l'indagine in esame, per il suo rilievo obiettivo delle circostanze fattuali fin qui emerse, abbia rivelato la gravità di nuove forme di manifestazione dei fenomeni criminali, tipicamente ascrivibili di tipo mafioso, dimostrando ancora una volta la necessità di un continuo adeguamento degli strumenti di contrasto, sia sotto il profilo della prevenzione, che sul piano strettamente repressivo. Emerge, può allora dirsi, la speciale evidenza sintomatica dei delitti di corruzione oggetto di ricostruzione investigativa che, oltre a riassumere in sé oggetti e profili di intrinseco disvalore penale, costituiscono nel contempo la spia di più ampi fenomeni di espansione di interessi criminali stabilmente organizzati. 
La consapevolezza di tale disvalore aggiunto dei delitti di corruzione e delle ripercussioni del fenomeno sulla vita economica e sociale del Paese ha ispirato sin dall'inizio l'azione del Governo, che su questo fronte è stata costante e determinante. Si tratta di una sfida cruciale, essendo fondamentale eliminare ogni rischio di distorsione delle funzioni pubbliche e di condizionamento criminale del mercato, delle imprese e del sistema finanziario. 
In questa prospettiva si era già mossa la legge Severino del 2012 con la maggiore trasparenza e l'obbligo dei piani di prevenzione della corruzione di tutte le pubbliche amministrazioni. In coerenza con quell'obiettivo questo Governo ha rafforzato i poteri dell'Autorità nazionale anticorruzione, cui è stata affidata una missione più chiara con un aumento delle funzioni ispettive di vigilanza, ben distinte da quelle proprie dell'autorità giudiziaria.
In particolare, con il decreto-legge n. 90 del 2014, ha ampliato i poteri dell'Anac, inglobando in un'unica autorità le competenze in materia di vigilanza dei contratti e degli appalti pubblici. Le attribuzioni conferite all'Anac oggi sono quelle di prevenire la corruzione nell'ambito delle amministrazioni pubbliche e nelle società partecipate e controllate, con il compito di vigilare anche sui contratti pubblici, gli incarichi e comunque in ogni settore della pubblica amministrazione. 
L'efficacia delle misure di prevenzione dell'intervento già in ambito amministrativo può essere apprezzata proprio alla luce di quanto è stato immediatamente intrapreso in occasione della vicenda «mafia capitale». Così come comunicato dal Ministero dell'interno, infatti, già sulla scorta degli elementi emersi a seguito dell'esecuzione della prima ordinanza cautelare, la prefettura di Roma ha avviato le proprie iniziative lungo distinte direttrici di azione. 
Su un primo versante si è provveduto all'immediata sospensione degli amministratori locali destinatari di misure coercitive. Su un secondo versante è stata promossa una complessiva azione di verifica di condizionamenti mafiosi nelle amministrazioni di Roma capitale e degli altri quattro comuni della provincia in vario modo interessati dai fatti evocati negli atti giudiziari. 
Con provvedimento in data 15 dicembre 2014 la prefettura di Roma aveva nel contempo già disposto l'invio di una commissione di accesso, finalizzata a verificare l'esistenza di condizionamenti mafiosi nella gestione del comune metropolitano di Roma capitale. La commissione ha concluso di recente propri lavori, depositando un'ampia e documentata relazione. I relativi esiti sono ancora oggetto di doverose attività di studio, analisi e valutazione. Alla luce di tale documento e del parere che sarà reso dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza, integrato con la presenza del procuratore della Repubblica di Roma, la prefettura presenterà entro il 30 luglio le sue valutazioni al Ministro dell'interno, il quale provvederà a formulare la proposta per le determinazioni del Consiglio dei ministri. Le commissioni di accesso riguardanti gli altri quattro comuni della provincia stanno ancora svolgendo le verifiche ispettive di propria competenza, destinate a terminare a breve. 
Su un ulteriore piano la prefettura ha intrapreso un'azione finalizzata ad escludere dal circuito degli appalti pubblici le imprese coinvolte nelle indagini, tanto per essersi rese protagoniste di fatti corruttivi che per essere risultate destinatarie di tentativi di infiltrazione mafiosa. In particolare, a seguito dell'ordinanza del 28 ottobre 2014 proprio su proposta del presidente della Anac, si è preceduto a commissariare, secondo la vigente normativa anticorruzione, le società Consorzio nazionale servizi società cooperativa ed Edera società cooperativa sociale. 
Tale misura è stata adottata per garantire la completa esecuzione dei contratti di appalto, aggiudicati alle predette società dall'Azienda municipale ambiente Spa (AMA), riguardanti lo smaltimento e la raccolta dei rifiuti urbani. Inoltre, dal dicembre 2014 ad aprile di quest'anno, sono state emesse informazioni antimafia interdittive nei riguardi di ulteriori sette società, alcune delle quali riconducibili a Salvatore Buzzi, allo stato individuato quale fiduciario di «mafia capitale» nella gestione di ampie e ramificate relazioni affaristiche, perseguite anche attraverso la citata Edera società cooperativa sociale e il Consorzio sociale Coin. Per quest'ultimo, peraltro, è stata adottata la misura del commissariamento antimafia, prevista dall'articolo 32, comma 10, del decreto-legge n. 90 del 2014. 
Aggiungo che la prefettura di Roma sta tuttora approfondendo le posizioni delle imprese indicate nell'ordinanza 29 maggio scorso, al fine di individuare quelle collegate o colluse con «mafia capitale» o con altri sodalizi criminali, allo scopo di adottare eventuali provvedimenti inibitori. Si tratta all'evidenza di interventi tuttora in corso, che daranno luogo ad iniziative che gli organi competenti intenderanno adottare in presenza delle condizioni previste dalla legge. 
La sintetica ricostruzione dei meccanismi e degli esiti dell'azione svolta sul piano amministrativo, grazie ai nuovi strumenti di prevenzione anticorruzione, dimostra l'accresciuta consapevolezza del valore decisivo degli interventi da realizzarsi, accanto e indipendentemente a quelli propriamente repressivi, affidati alla responsabilità dell'autorità giudiziaria. 
I nuovi strumenti di prevenzione e contrasto della corruzione politica ed amministrativa consentono oggi di restituire alle istituzioni possibilità di controllo preventivo prima impossibili. Ma altrettanto decisiva è la capacità delle forze politiche di trarre dai fatti che emergono, anche dalle vicende giudiziarie, i necessari elementi per indirizzare nel modo migliore le iniziative legislative e le più opportune e ulteriori misure di contrasto. 
Il Governo, dal suo insediamento, ha assunto la responsabilità di condurre fino in fondo questa sfida, che indicavo come cruciale. Sin dall'inizio l'obiettivo fondamentale delle proposte e dell'azione del Governo è stato quello del massimo rafforzamento degli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione e alle più gravi forme di criminalità economica, come pare dimostrato proprio dall'indagine «mafia capitale». In questi anni, infatti, è cresciuta l'importanza della leva corruttiva nelle dinamiche espansive delle organizzazioni criminali, come tali ormai riconoscibili anche in contesti territoriali diversi dalle regioni di origine. Io stesso ho avuto modo di riscontrare, anche nell'esperienza nella Commissione antimafia, come sia questa soprattutto la dinamica attraverso la quale l'espansione di questi fenomeni si realizza in regioni diverse da quelle di origine. 
Siamo di fronte a un'evoluzione del fenomeno mafioso che richiede nuovi e rafforzati strumenti di analisi, di prevenzione e di contrasto penale. Il quadro che emerge da molte inchieste odierne ci offre lo scenario di apparati statuali esposti ad un'influenza corruttiva pervasiva e di una politica che sempre più frequentemente recita una parte ancillare e subalterna. Dico questo non per assolvere la politica, ma anzi per segnalarne l'ulteriore rischio di arretramento su un terreno sul quale si gioca la fondamentale partita della credibilità e della legittimazione delle istituzioni democratiche. 
L'economia ha sovrastato la dimensione pubblica. La crisi sociale ha contribuito all'arretramento e all'indebolimento della struttura statale, rendendo quest'ultima sempre più fragile di fronte agli interessi particolari che la condizionano e ai poteri illegali che la insidiano. In un Paese come il nostro, caratterizzato dalla storica presenza di radicate e pericolose organizzazioni criminali, la prostrazione dei corpi intermedi e delle istituzioni apre spazi crescenti ai fenomeni criminali in ambito economico, sociale e politico. Non è, dunque, casuale che i fenomeni corruttivi incontrino sempre più spesso quello della criminalità organizzata. E non è un caso che i due fenomeni spesso si intreccino e che, anche quando non stabiliscono una relazione, percorrano le medesime strade e utilizzino gli stessi varchi per infiltrarsi e piegare la sfera pubblica e lo Stato a interessi particolari. 
L'introduzione di un sistema di misure preventive per il contrasto alla corruzione e il rafforzamento del rigore sanzionatorio hanno formato i due pilastri su cui si è basata la filosofia degli interventi fin qui complessivamente introdotti. Con riferimento all'aggravamento delle sanzioni, voglio qui precisare che, in linea generale, non ritengo che il solo innalzamento delle pene edittali abbia reali effetti di deterrenza e diffido di soluzioni semplicisticamente affidate a una sorta di gara al rialzo. 
Ma, in materia di corruzione, è difficile contestare quanto fosse stringente la necessità di adeguare i livelli sanzionatori all'effettivo disvalore sociale di condotte criminose gravissime. Il minor rigore ha certamente contribuito a consolidare la diffusa percezione di una scarsa capacità del sistema della repressione di colpire gli autori di tali delitti. Nella legge n. 69 del 2015, da pochi giorni in vigore, il recupero del rigore sanzionatorio e dell'effettività degli interventi passa anche attraverso la rimodulazione di sanzioni accessorie di tipo interdittivo e l'efficace impiego di nuovi strumenti di incentivazione delle collaborazioni processuali. 
Si è ritenuto, altresì, di subordinare la concessione di determinati benefici, come la sospensione condizionale della pena, al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato. Analogamente si è proceduto in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti, ora subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato. 
È stato concepito, inoltre, un circolo virtuoso di obblighi informativi in favore dell'ANAC, a carico del pubblico ministero, delle stazioni appaltanti, dei giudici amministrativi. In una visione più ampia, la risposta penale ha interessato i reati spia e il nesso con i reati di corruzione. Penso al nuovo delitto di autoriciclaggio. 
La lotta alle organizzazioni criminali passa anche attraverso l'introduzione di nuovi delitti ambientali, settore in cui da sempre si manifestano con forza gli appetiti delle mafie. È stato previsto su questo terreno un sensibile innalzamento delle pene edittali per l'associazione di tipo mafioso. 
L'azione di contrasto del fenomeno dell'inquinamento mafioso nelle competizioni elettorali ha invece trovato attuazione nella nuova formulazione del reato di scambio elettorale politico-mafioso. Sul fronte della criminalità organizzata ulteriori proposte del Governo attualmente all'esame del Parlamento fanno tesoro dell'applicazione pratica di quattro anni di codice antimafia e dei più importanti contributi di osservatori ed esperti del settore. Il nostro sistema contribuisce ed è da tempo un modello cui da sempre l'Europa guarda per orientare l'evoluzione dei dispositivi di contrasto della criminalità organizzata. Naturalmente alla generale solidità del modello corrisponde anche una necessità di continuo adattamento alle esigenze rivelate dall'esperienza pratica e di un progressivo perfezionamento dei singoli istituti. In questa prospettiva si collocano le proposte finalizzate a rafforzare e razionalizzare l'attività investigativa in campo patrimoniale, a definire la fisionomia del processo di prevenzione, tenendo conto delle rilevanti elaborazioni della giurisprudenza sul punto nonché a potenziare l'attività di amministrazione dei beni in sequestro e di destinazione di quelli confiscati. 
Sempre sul fronte della prevenzione, credo che possa costituire un ulteriore passo in avanti lo schema di delega approvato dal Senato per il recepimento delle direttive sui pubblici appalti e concessioni. Nella piena consapevolezza che si tratta di un ambito economico facilmente permeabile alla logica delle contiguità mafiose ed alla corruzione, la delega non si limita al mero recepimento delle tre direttive ma fissa principi vincolanti volti a correggere le più vistose distorsioni della vigente disciplina. L'obiettivo è eliminare la frammentazione soggettiva delle stazioni appaltanti, l'opacità della nomina delle commissioni di gara, il moltiplicarsi di procedure di gara atipiche e derogatorie, l'incertezza dei costi di gara, fattori tutti che lasciano ampi spazi a illecite infiltrazioni e interferenze. L'attuazione della delega comporterà una drastica semplificazione soggettiva, oggettiva e procedurale, standardizzazione dei costi insieme ad un rafforzamento di poteri di regolazione, vigilanza e controllo e ad un incremento della trasparenza. A completare questo quadro contribuirà la modifica della disciplina della prescrizione dei reati nel testo licenziato dalla Camera e attualmente all'esame del Senato. 
Le riforme approvate ed in corso di approvazione rappresentano anche uno sforzo teso a recuperare credibilità nel contesto internazionale. Ne è testimonianza l'ultimo rapporto GRECO, gruppo di Stati contro la corruzione, in cui sono stati espressi positivi apprezzamenti nei confronti dell'Italia con particolare riferimento al rafforzamento dei poteri dell'Autorità nazionale anticorruzione e agli inasprimenti di pena per i reati di corruzione. Ma la potenziata capacità di contrasto dei fenomeni corruttivi non può condurre ad una sottovalutazione della gravità della minaccia criminale per la stessa credibilità delle istituzioni. Ciò che abbiamo di fronte non è un fenomeno nuovo ma sarebbe un grave errore non cogliere l'evoluzione dei profondi mutamenti. Stesso discorso vale per i sempre più intensamente collegati fenomeni di criminalità organizzata. Gli effetti delle novità normative degli ultimi tre anni in materia di prevenzione della corruzione saranno sempre più positivamente apprezzabili attraverso il pieno dispiegamento dei nuovi strumenti. In questa prospettiva repressione penale e prevenzione si coordinano. L'importanza di questi strumenti sarà fondamentale per dotare tutte le pubbliche amministrazioni degli anticorpi necessari a contrastare i fenomeni corruttivi. La corruzione per proliferare ha bisogno di uno Stato fragile, non in grado di assolvere appieno le proprie funzioni. La corruzione e la criminalità insidiano lo Stato dove esso è più debole. Uno Stato efficiente e una pubblica amministrazione capace di rispondere in tempi rapidi rappresentano il migliore antidoto contro questi fenomeni. Più una procedura autorizzativa è resa tortuosa, più essa è sottoposta ad una moltitudine di norme, passaggi burocratici, più è elevato il grado di discrezionalità in capo al funzionario pubblico, più il cittadino e le imprese incontrano una pubblica amministrazione inefficiente e malfunzionante più è facile che proprio lì cresca e petroliferi la corruzione. 
Per queste ragioni la lotta alla corruzione e alle forme di illegalità più diffuse e la ricostruzione dello Stato attraverso il processo di riforme che il Governo ha avviato fanno parte di una comune strategia. È dunque necessario continuare a mettere in campo sforzi e risorse straordinarie per perfezionare elevati standard di rigore sanzionatorio, per le forme più pervasive di criminalità e rendere sempre più efficace il sistema della prevenzione. Ho già avuto modo di dirlo nel corso del dibattito per l'approvazione della legge anticorruzione e vorrei ribadirlo in questa sede. Questo Paese ha sconfitto i fenomeni più gravi quando ha saputo realizzare un grado sufficiente di coesione e di solidale responsabilità di tutte le forze politiche, sociali ed economiche. È necessario mettere in campo uno sforzo comune che distilli il meglio delle energie vitali del Paese. In questo è fondamentale il ruolo dei partiti nella selezione di una classe dirigente moderna e capace di agire con rigore ed efficienza. 
Anche per questa ragione, auspico – ed il mio Ministero ne seguirà con attenzione l'iter – l'approvazione di una legge sui partiti e una normativa di regolamentazione delle lobby. La qualità dei corpi intermedi e il loro coinvolgimento nel contrasto a tali forme di offesa, non solo della legalità, ma del complesso di principi e valori che promanano dalla nostra Carta costituzionale, è di fondamentale rilevanza. 
Ritengo, poi, assolutamente urgente una riflessione sul rapporto tra partecipazione e presenza di questi fenomeni: dove la partecipazione è più forte, è più costante, è più consapevole, questi fenomeni diminuiscono. Questo credo che sia un tema che debba anche far ripensare alcune scelte che sono state assunte in passato, contraendo gli spazi della partecipazione democratica. L'obiettivo che credo deve guidare tutti, a prescindere dalle appartenenze, è restituire il prestigio e l'autorevolezza alle istituzioni. La trasparenza e il dibattito pubblico sulle scelte delle amministrazioni pubbliche credo possano rappresentare il miglior viatico per il contrasto ai poteri criminali, perciò credo che in questo senso vada informata tutta la nostra legislazione. È con questo auspicio che concludo e vi ringrazio per l'attenzione.