Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 24 Settembre, 2014
Nome: 
Michela Rostan

Signor Presidente, onorevoli colleghi, un uomo, Enrico Forti, per gli amici Chico, è detenuto da quasi 15 anni negli Stati Uniti e sta scontando la pena per una condanna pesantissima che una Corte americana gli ha inflitto. Forti grida da sempre la propria innocenza. Sin dall'inizio della sua vicenda processuale ha denunciato al mondo intero di essere stato vittima di un complotto, di un clamoroso errore giudiziario. Non so davvero come ci si possa sentire a trascorrere un giorno in carcere con la convinzione di subire una ingiustizia perché si è innocenti. 
  Non oso pensare quanto pesino 15 anni trascorsi in questa condizione di restrizione della propria libertà personale, in un altro Paese, lontano dalla propria patria, dai propri figli, dagli affetti. 
  Non so davvero come si potrà, se mai sarà rivisto il verdetto che ha condannato Chico Forti, risarcire a quest'ultimo un danno probabilmente inestimabile. Quello che so, invece, onorevoli colleghi, è che la richiesta di Forti, non di essere dichiarato innocente e liberato bensì quella di essere sottoposto ad un processo giusto, approfondito, nel quale poter esercitare a pieno il proprio diritto di difesa, è una richiesta giusta, umanamente e costituzionalmente ineccepibile, che noi, parlamentari italiani, dobbiamo, in modo fermo e convinto, sostenere. Ne va della credibilità della nostra stessa democrazia, ne va della credibilità del nostro Paese, ne va della certezza stessa del nostro diritto e dei principi fondanti sui quali esso si basa e trova quotidiana applicazione. 
  È per tutto questo che ho sentito fortemente il bisogno di intervenire, anche nell'ambito della discussione preliminare sulla mozione che oggi ci apprestiamo ad approvare, ed è per le stesse ragioni che oggi, per il Partito Democratico, invito i miei colleghi e l'Aula tutta, senza distinzione di appartenenza politica, a votare favorevolmente sulla mozione relativa alla condizione del nostro concittadino. In gioco non c’è solo la vita di un uomo; in gioco c’è l'affermazione di un principio universale, quello del giusto processo, tanto bene articolato dall'articolo 111 della nostra Costituzione, che, a dire di molti, è la più bella del mondo. Un principio, quello del giusto processo, intimamente connesso alla pienezza del diritto di difesa, che deve essere assicurata a tutti i cittadini dinanzi alla legge. Un diritto di difesa che presuppone l'idea che lo Stato possa condannare una donna o un uomo soltanto quando quest'ultima o quest'ultimo possono essere definiti colpevoli al di là di ogni ragionevole dubbio. 
  Tutte queste certezze, tutti questi elementi imprescindibili non li abbiamo riscontrati nel caso di Chico Forti, tanto che il suo avvocato, Joe Tacopina, si dice fortemente fiducioso di riuscire ad ottenere la riapertura del processo attraverso quello che resta l'ultimo tentativo di riesame a disposizione del nostro concittadino. Il principio del giusto processo, quello che riteniamo sia stato fortemente, eccessivamente compromesso nel procedimento che 15 anni fa ha portato alla condanna di Forti, è un principio che, convintamente, trattati internazionali e convenzioni bilaterali, ai quali il nostro Paese e gli stessi Stati Uniti hanno aderito in passato, affermano con solennità e chiarezza. 
  La storia di Forti, che, ne siamo certi, merita un serio e severo riesame da parte dell'autorità giudiziaria americana, si presta pertanto, oltre che ad una lettura di carattere tecnico, anche ad una visione politica. Questo affinché la storia stessa e le vicissitudini di tutti i suoi protagonisti, non solo di Forti ma anche dei suoi figli, dei suoi congiunti, possano costituire un precedente storico utile per la collettività, per la nostra democrazia e per la democrazia americana. 
  L'impegno della nostra discussione di oggi e ciò che, con l'approvazione della mozione, porremo a carico del Governo, non è diretto esclusivamente a realizzare l'interesse del singolo, che pure è centrale e sicuramente preponderante. Sbaglieremmo se limitassimo il taglio della nostra azione a questo singolo scopo. Il nostro lavoro, viceversa, deve essere diretto – e su questo credo che i colleghi converranno – a dare una risposta sul piano valoriale e volto ad affermare un'idea ben precisa che deve essere elemento fondante di ogni Stato democratico, ovvero che nessuno può subire limitazioni irreversibili o durature della propria libertà personale mentre si professa innocente e mentre forti, anzi fortissimi, sono i dubbi circa i presupposti processuali e probatori posti a fondamento di una barcollante dichiarazione di colpevolezza. 
  Al di là della vicenda di Forti, al quale va tutta la mia personale solidarietà, quale cittadina, avvocato e deputato italiano, ciò che dobbiamo affermare quest'oggi è l'universalità del giusto processo e di tutte le garanzie, che, seppure con varie sfumature, ogni ordinamento, che abbia l'ambizione di definirsi progressista, moderno, equilibrato, deve essere in grado di garantire in modo uguale a tutti i soggetti ad esso sottoposti. 
  Non scenderò in tecnicismi, non competono a noi. Non ritengo che Forti sia innocente, sia ben chiaro: questo spetterà alla magistratura americana stabilirlo, magistratura nella quale continuo a nutrire piena fiducia. A noi, invece, il compito di assicurare che le autorità italiane lavorino affinché al nostro concittadino sia riconosciuto il diritto di difendersi nel processo, e non dal processo. Un aspetto, quest'ultimo, che dovrebbe, a mio avviso, caratterizzare anche la discussione attualmente in atto nel nostro Paese sulla non più rimandabile riforma della giustizia. 
  Quella che dobbiamo portare avanti, in Parlamento e fuori, è, in altre parole, una battaglia da combattere con tutti i mezzi che la nostra democrazia ci mette a disposizione e su più terreni di scontro. In ballo non vi è solo il destino di un uomo, ma la salvaguardia di un principio universale, di fronte al quale non possiamo in alcun modo voltare le spalle; un principio che – colgo l'opportunità di questa discussione – dobbiamo imparare anche noi stessi a rispettare e a far rispettare nei nostri processi, nei nostri tribunali, nelle nostre carceri. 
  È in nome dell'universalità di questa battaglia che il Partito Democratico sosterrà l'accoglimento di questa mozione ed è in nome di questa universalità che rivolgo all'Aula l'appello a fare lo stesso, senza indugio. Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente fino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa. 
  Questa frase, così solenne, così ferma, chiara, decisa, non è una massima, non è una citazione: è un articolo, è l'articolo 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Il Parlamento italiano, e con esso il nostro popolo, hanno quest'oggi l'opportunità unica ed irripetibile di unirsi, approvando questa mozione, per chiederne il rispetto al di là dei nostri confini. Sono certa del fatto che insieme, onorevoli colleghi, sapremo cogliere questa occasione per Chico Forti, per la nostra Costituzione, per i valori ed i principi che quest'ultima e il diritto internazionale affermano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).