Data: 
Lunedì, 26 Ottobre, 2015
Nome: 
Sergio Boccadutri

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Grazie, Presidente. Molte cose sono state già dette dai colleghi che mi hanno preceduto, cioè che il 95 per cento delle società partecipate sono società partecipate sostanzialmente a livello comunale e che operano nel settore terziario. Della situazione di questa società ne ha parlato anche l'onorevole Palese, cioè che sostanzialmente non reggono, appunto, neanche la prova dei bilanci e che c’è stata una norma della legge di stabilità che ne ha stabilito una razionalizzazione, sulla base di alcuni criteri che sono stati anche qui ricordati. Questo è un lavoro che è proseguito anche con la riforma della pubblica amministrazione, che sta proseguendo e che ovviamente bisogna portare a termine – sono d'accordo –, perché è importante rispetto agli impegni presi. 
Ma qui stiamo parlando anche di un altro problema, cioè di come vengono individuati gli amministratori di queste società. E, allora, da questo punto di vista, non dobbiamo sempre partire da zero. Ci sono stati degli interventi, in questi anni, che riguardano proprio i requisiti per fare parte dei consigli di amministrazione delle società, che sono requisiti di ineleggibilità contenuti in una direttiva del Ministro dell'economia e delle finanze, che devono essere estesi anche a tutte le società partecipate, qualunque sia il soggetto che le partecipa o le controlla. Ci sono, poi, anche cause di ineleggibilità legate, quindi, a requisiti soggettivi e a requisiti oggettivi, come, appunto, la professionalità, l'esperienza e l'assenza di conflitti di interesse.
Ma qui è stata ricordata anche la necessità che nelle società partecipate non vadano persone che hanno subito una sentenza di condanna anche non definitiva. Ciò è scritto esattamente nell'allegato della direttiva del Ministro dell'economia e delle finanze, esplicitamente per alcuni tipi di reato. È evidente che ciò si stabilisce non soltanto quando vi è una sentenza di condanna non definitiva ma, forse anche in via proprio precauzionale, il Ministero ha inteso addirittura stabilirlo quando vi è il decreto che dispone il giudizio o, addirittura, che dispone il giudizio immediato. Quindi, siamo in una fase anche che va al di là del fatto che ci sia stata una sentenza, sebbene di primo grado. 
Quindi, del lavoro è stato fatto ed è stato fatto anche in modo forte, perché, appunto, stiamo parlando anche di persone che probabilmente potrebbero anche uscire poi indenni dal giudizio. Dunque, da questo punto di vista io credo che noi dobbiamo lavorare affinché si estendano queste direttive a tutte le società partecipate. 
C’è, poi, una cosa non condividiamo. Non condividiamo questa idea per cui vi è un'assenza totale di discrezionalità di chi controlla e di chi partecipa, che si traduce in un'assenza totale di responsabilità, perché, alla fine, caro Presidente, se decidono tutti non paga mai nessuno. Se decidono tutti, da un punto di vista anche della responsabilità politica, di chi ha deciso e ha compiuto una scelta, a fronte di requisiti oggettivi e soggettivi, di un soggetto piuttosto che di un altro, come, ovviamente, il non essere preparati – e non ripeto qui i criteri della direttiva –, e poi ha scelto quel determinato soggetto, chi agisce si assume anche le responsabilità di quello che ha scelto. Tanto è vero, se lo assume, che ciò è già previsto all'interno della ratio della direttiva, che dice che, se ci dovesse essere la riconferma, si deve guardare anche al risultato ottenuto, al risultato della gestione.
Se ci deve essere una riconferma dei membri di un CdA di una partecipata o di una controllata, l'ente che ha il potere di indicarla deve guardare questo, e quindi si assume doppiamente la responsabilità di avere verificato che vi sia stata una buona gestione da parte di quel soggetto. Quindi, ripeto, è troppo facile estenderla e dire che decidono i cittadini, perché, anche qui, dobbiamo chiarirci: siamo ancora una democrazia rappresentativa, in cui si eleggono gli organismi, vi sono delle responsabilità ed è giusto che chi ha una responsabilità e ha un mandato li eserciti, anche nella discrezionalità, e ne risponda, ovviamente, qualora abbia sbagliato, anche di fronte al proprio elettorato. 
Pensare di risolvere il problema in quell'altro modo significa che, alla fine, quando, poi, sorge il problema o quando le cose vanno male, la responsabilità non sarà stata di nessuno, perché sarà stata di tutti.