Dichiarazione di voto
Data: 
Giovedì, 25 Settembre, 2014
Nome: 
Francesca Bonomo

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Signor Presidente, onorevoli colleghi e onorevoli sottosegretari presenti, gli accordi presi dal Consiglio europeo a Fontainebleau, come è stato ricordato anche negli interventi precedenti, nel lontano 1984, che prevedevano in favore della Gran Bretagna uno sconto, originavano dall'esigenza di compensare un Paese a scarsa vocazione agricola che, a differenza di Francia e Italia, non usufruiva dei cospicui finanziamenti della nascente politica comune europea. È evidente come quelle argomentazioni alla base degli accordi siano oggi superate e dunque assolutamente condivisibili le riflessioni volte a un superamento degli stessi.
  Occorre, infatti, superare quelle scelte e la persistenza dell'accordo, confermato anche nel 2007, oggi ingiustificato e anacronistico, anche in considerazione della crisi economica che ha colpito in maniera diversa alcuni Paesi membri, ma soprattutto in seguito alla riduzione delle risorse europee in particolare in materia di PAC.
  La permanenza di ingiustificati vantaggi a favore di un solo Paese non fa che aumentare gli squilibri fra gli Stati membri.
  È evidente, dunque, la necessità di avviare una riflessione in sede europea affinché tali meccanismi e criteri siano rivisti e rinegoziati, anche a fronte della persistente dicotomia – anche questo veniva accennato – fra quanto versato nel bilancio europeo e quanto ricevuto da parte dell'Italia (c.d. saldo netto negativo). Da un lato, va superato questo rebate, quale quello previsto per il Regno Unito e ogni forma di regolamentazione che inserisca eccezioni e deroghe nazionali in una logica di negoziazione intergovernativa e bilaterale; dall'altro, però, bisogna riaffermare la necessità di rivedere i meccanismi di predisposizione del bilancio europeo, che nell'ultima programmazione del quadro finanziario pluriennale ha visto per la prima volta una contrazione su spinta dell'azione dei Paesi rigoristi.
  Questa contrazione, in parte, è stata mitigata – anche grazie alla nostra battaglia in tale direzione – da alcuni interventi correttivi del Parlamento europeo che prevedono una maggiore flessibilità per l'uso delle risorse. Le esigue risorse del bilancio europeo indeboliscono l'Europa e rendono difficile il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di Europa 2020, con particolare riferimento alle iniziative faro per la ricerca, gli investimenti produttivi, la lotta contro la povertà e la disoccupazione e in favore della cittadinanza europea.
  L'insufficienza di risorse appostate a livello europeo evidenzia poi la situazione squilibrata anche per quanto riguarda i cosiddetti saldi netti.
  A questo proposito, però, va precisato che, a differenza di quanto dichiarano altre mozioni, l'Italia, seppure mantenga ancora un saldo netto negativo e abbia peggiorato la sua posizione per quanto riguarda il termine del PIL pro capite, ha tuttavia, nel 2013, iniziato ad invertire questa tendenza, divenendo il terzo contributore netto, passando dagli attuali 4.500 milioni di euro l'anno per il periodo 2007-2013, corrispondenti allo 0,28 per cento del reddito nazionale lordo, a 3.850 milioni di euro per il periodo 2014-2020, corrispondenti allo 0,23 per cento del reddito nazionale lordo, con una riduzione media annuale di 650 milioni di euro per l'intero periodo 2014-2020. Questi sono i dati che ci riporta la Corte dei conti nella relazione del 2013 al Parlamento sui rapporti finanziari con l'Unione europea.
  Risulta, quindi, che il saldo negativo è di 5,7 miliardi di euro a fronte dei 6,6 miliardi di euro del 2011. Questo per rispondere anche alle preoccupazioni dell'onorevole Prataviera che io stimo molto. Però, è a partire proprio da quest'anno che si è invertita la rotta, non nei Governi precedenti nei quali vi era anche il suo partito di appartenenza, la Lega Nord.
  Il miglioramento è stato ottenuto grazie all'aumento netto delle risorse destinate all'Italia per la realizzazione di programmi europei nell'ambito della politica di coesione – e vorrei ricordare, appunto, che per una maggiore e migliore politica non si può prescindere da un inserimento dei giusti fondi della politica di coesione e, quindi, dell'accoglimento anche di quelle che sono le istanze del sud d'Italia perché l'Italia è fatta di tante realtà – e quindi in controtendenza rispetto ad una generalizzata riduzione dei finanziamenti per la politica di coesione per gli Stati membri.
  Va, inoltre, ricordato che in precedenza il saldo netto negativo derivava anche dai fondi strutturali spesso usati in maniera frammentaria, senza obiettivi e senza una visione strategica per lo sviluppo del Paese – questo è anche dovuto, appunto, a scelte sbagliate di Governi precedenti – o peggio non completamente utilizzati, come avvenuto anche nella programmazione conclusasi nel 2013 nella quale abbiamo speso solo circa il 52,7 per cento dei fondi comunitari.
  Per quanto detto, quindi, è importante sottolineare che, pur essendo giusto il superamento di questa anacronistica clausola – e qui vorrei rispondere anche ovviamente anche al collega Gallinella che, quindi, è importante aver messo in luce questo squilibrio che deve essere superato -però ciò non basta; in realtà occorre anche, a livello europeo – e questo è già iniziato sicuramente nel percorso avvenuto grazie al Presidente Renzi – iniziare in Europa a ritrovare un protagonismo dell'Italia in sede europea e ribaltare complessivamente la logica sbagliata che fino ad oggi ha caratterizzato le politiche europee che sono state incentrate sull'ossessione dell'austerità e del rigore dei bilanci pubblici, senza la previsione di risorse a livello europeo, invece, in favore di politiche di investimenti e di crescita. Sempre parole che sono state agitate in passato, però mai implementate attraverso risorse europee adeguate al caso.
  I recenti dati di agosto, comunque, ci hanno rivelato ovviamente che queste politiche sono state sbagliate, inefficaci e in effetti evidenziano un calo preoccupante perfino per la stessa Germania e ci dicono che la stasi dello sviluppo è un problema europeo – quindi non dell'Italia, ma europeo – ed è un problema a cui l'Europa della moneta unica deve dare risposte comuni che vanno oltre le leve della moneta e del credito.
  Ma non è certo la soluzione – con questo risponderei ovviamente anche al collega Prataviera – uscire dall'euro.Per tali ragioni, invece, andrebbe accolto un primo importante segnale di cambiamento positivo delle politiche in Europa: vogliamo infatti accogliere favorevolmente l'annuncio del nuovo presidente della Commissione europea, Juncker, per la predisposizione di un Piano europeo di investimenti di 300 miliardi di euro in tre anni, per infrastrutture, trasporti, efficienza energetica, ricerca e innovazione. Un programma per la crescita che va sostenuto anche se, però, occorre incalzare il nuovo Presidente per anticipare, già a partire dal prossimo Consiglio europeo di dicembre 2014, l'operatività di questo piano – che è stata per ora annunciata solo nel febbraio 2015 – facendo pressioni anche in occasione – in questo mi rivolgo al Governo – della Presidenza italiana, affinché siano indicate meglio le risorse, anche quelle aggiuntive – visto che quelle indicate dalla BEI potrebbero risultare insufficienti – con indicazioni dettagliate di obiettivi e di strumenti. In tal senso occorre quindi sviluppare nuove capacità finanziarie, come, per esempio, un uso serio dei project bond, che oggi sono solo a livello sperimentale.
  La battaglia italiana deve qui incentrarsi, per far valere in sede europea le ragioni in favore dell'attuazione del Patto di stabilità e crescita che tenga conto di una maggiore flessibilità per quanto riguarda il piano di rientro del debito, a fronte però di una chiara implementazione delle riforme strutturali, cosa che stiamo dimostrando di voler fare sul serio, finalmente, a differenza di quanto avvenuto con i precedenti Governi.
  Anche i Paesi più deboli, però, devono fare le riforme, che non sono eguali per tutti. Bisogna che il cronoprogramma delle riforme sia dosato alla situazione di recessione-deflazione strisciante di cui molti Paesi soffrono con alti livelli di disoccupazione. Non si può infatti esaltare e generalizzare il modello greco o spagnolo con il 25 per cento di disoccupazione. È bene poi precisare che la richiesta di maggiore flessibilità, che noi richiediamo per l'Italia, per cui ci stiamo battendo anche a livello europeo e che vorremmo sostenere anche come Parlamento, non è la richiesta di uno sconto da parte del nostro Paese ma è la riaffermazione ed il rispetto di quanto prevedono i Trattati europei, contro un'interpretazione sbagliata e suicida, che è stata fatta dei Trattati, da parte dei Paesi rigoristi in questi ultimi anni.
  Per questi motivi vorrei dichiarare il voto favorevole del Partito Democratico alla mozione presentata, però vorrei indicare che se è questo quello che vogliamo costruire, cioè se vogliamo più Italia e più Europa, quello che dovremmo fare in Europa è chiedere veramente una maggiore presenza dell'Europa a tutti i livelli in cui è necessario rilanciare l'occupazione, le risorse e gli investimenti. La battaglia italiana deve incentrarsi e si incentrerà sul duplice percorso di implementazione delle riforme strutturali interne e della capacità di far valere in sede europea le ragioni in favore dell'attuazione del Patto di stabilità e crescita, che tenga conto, però, di una maggiore flessibilità per quanto riguarda il piano di rientro del debito.