Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 5 Novembre, 2019
Nome: 
Patrizia Prestipino

Presidente, “libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”, così Virgilio presenta Dante a Catone l'Uticense nel primo canto del Purgatorio, e sono forse questi i versi della Divina Commedia in cui più Dante ama riconoscersi e dai quali essere riconosciuto dal mondo. La sua vera identità e anche eredità politica e civile si possono riassumere nella parola dal significato più alto e più nobile della lingua italiana: libertà. Libertà che oggi, nel nostro mondo democratico, sembra quasi scontata, ma ai tempi di Dante era quasi sconosciuta, perché Dante, nonostante i limiti che la fede e la politica gli imponevano, era anche e soprattutto un uomo libero. Ed era la libertà che invidiava negli altri: che fossero atei come Ulisse o Catone l'Uticense o avversari politici come Farinata degli Uberti, era proprio quel morire cercando la libertà che li rendeva grandi ai suoi occhi. Dante nasce nella città di Firenze nell'età dei comuni in lotta tra loro, di fazioni che si alternavano al comando tra tradimenti, tra uccisioni, tra stragi, tra interventi di potenze straniere e soprattutto dell'ingerenza della Chiesa, in una Firenze che non era da meno, divisa tra guelfi e ghibellini e i guelfi divisi in bianchi e neri. Ed è in questo contesto storico che va collocata la produzione letteraria di Dante, con il suo sogno di una Firenze indipendente, libera dalle fazioni, e di un'Italia e un'Europa impero guidati da un sovrano illuminato, proprio come aveva fatto Giulio Cesare, secondo l'ottica dantesca, riportando la pace a Roma e mettendo fine alla res publica. Città italiane lacerate da guerre civili, una Chiesa mondanizzata e corrotta, l'assenza di un imperatore quale supremo regolatore della vita civile, sono questi gli oggetti delle critiche dantesche. Consapevole di ciò e nonostante le contraddizioni del tempo, egli indossa le vesti del profeta, diventa eroe civile e politico, oltre che testimone di fede cristiana, guidando l'umanità verso il riscatto, verso la giustizia, la pace e il rispetto delle leggi e del buon costume. Tutto questo costituisce l'utopia dantesca, ma è proprio nella storia intesa come un ripetersi ciclico degli eventi che emerge con forza l'attualità di Dante Alighieri, perché Dante era convinto che il vuoto politico, la mancanza di valori e il presente caotico e incerto offrissero all'uomo le condizioni migliori per uscire rigenerato da questo caos. Nel suo viaggio Dante colloquia con le anime facendone emergere la loro sfera più intima, più umana, narra la vita, la morte e le paure dei suoi conterranei, indulgendo solo verso coloro che avevano commesso peccati in nome di un ideale o di una passione politica, come a dirci che se le azioni sono moralmente sbagliate sono però tutte umanamente rispettabili perché fedeli a un sentimento forte, che si trattasse di amore, come Paolo e Francesca, che erano stati uccisi per colpa del loro amore, o di Catone l'Uticense, che era morto per inseguire il suo ideale politico, che ha preferito togliersi la vita lui stesso piuttosto che assistere alla morte della sua amata res publica, o di quell'Ulisse che Dante colloca, sì, nel girone dei fraudolenti ma verso il quale è terribilmente invidioso perché ne invidia, appunto, la libertà, la sete di conoscenza, la sete di sapere, quell'indomita curiositas che lo aveva spinto a superare le colonne d'Ercole. E quante colonne d'Ercole a noi vengono imposte ogni giorno, in ogni latitudine e in ogni dove? Le colonne d'Ercole che sono i limiti della conoscenza e del sapere. In questo Dante è attuale e per rimarcarne ancora l'attualità condanna la società borghese e mercantile del tempo perché ha nostalgia dei tempi andati, perché il suo elevato patriottismo civico vorrebbe veder superate le lotte intestine e le fazioni interne. Firenze è definita “la città partita”, partita perché quando si è divisi in fazioni si perde il senso di appartenenza e viene meno l'amore per la propria città, puntini, puntini, puntini. La passione civile di Dante ne riflette il suo profondo patriottismo, ideale che ne ha condizionato la vita ed egli è arrivato a rinunciare alla propria libertà e per questo a scegliere il doloroso esilio. Ugualmente divisa è l'Italia di oggi, in cui i personalismi hanno preso il posto degli interessi generali del nostro Paese. E poi parlava di unità quando diceva: “(…) le genti del bel paese là dove ‘l sì suona”. Con queste parole si riferisce agli italiani - pensate - in un tempo in cui l'idea dell'Italia neanche ancora esisteva, eppure già all'epoca egli aveva compreso quanto fosse importante avere un'autorità centrale politica e, soprattutto, il ruolo di coesione dell'unità linguistica. Questa è la grandezza di Dante: il “sì” come primo nucleo dell'identità comune alle diverse genti italiche. Mi dispiace che ieri nella discussione sulle linee generali i colleghi della Lega, il partito di “prima gli italiani”, non siano intervenuti per parlare di Dante, padre della lingua italiana. E vi paiono così diversi gli uomini dell'epoca dagli uomini di oggi? In una società liquida e materialista come quella attuale mancano punti di riferimento e l'uomo è logorato dalla quotidianità e dallo stress e non è difficile trascinarsi nell'indifferenza o farsi sopraffare da ciò che forse è meno giusto ma più agevolmente raggiungibile. Perché lottare? Eppure Dante ci insegna che bisogna sempre e comunque lottare: lottare per gli ideali in cui si crede perché, indipendentemente dal ceto sociale e dall'età di ognuno di noi, il cambiamento è possibile se si perseguono i valori più puri, la conoscenza e la giustizia messi al servizio del bene comune.

La Divina Commedia è anche un coacervo di attualità. Vi butto là qualche curiosità: via o piazza Dante è la sesta denominazione più utilizzata in Italia; alcune espressioni che noi utilizziamo sono state create da Dante: “stai fresco”, “galeotto fu”, “il bel paese”, “senza infamia e senza lode”, “non ragioniam di loro, ma guarda e passa”, che poi nella vulgata è diventata “non ti curar di loro” ma questa è un'altra storia, “non mi tange”. Il 90 per cento delle parole create da Dante sono utilizzate oggi nella lingua italiana; la prima versione in forma dialettale risale al 1818, quando Carlo Porta la tradusse in milanese; ci sono 58 traduzioni di Dante in tutto il mondo. Insomma, l'Italia deve buona parte del proprio prestigio ad artisti illustri e geni proprio come Dante Alighieri. Già nel 1950 Thomas Eliot lo definì “il poeta più universale che abbia scritto in lingua moderna”. Dante, pur essendo un italiano, è prima di tutto un europeo, perché ha saputo parlare all'umanità e l'umanità non ha frontiere da rispettare, come - lasciatemi aggiungere - non ne ha e non ne dovrebbe avere questa nostra Europa di oggi. Già nella scorsa legislatura il Parlamento aveva approvato la legge per celebrare i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e di Raffaello e i 700 anni di Dante e l'istituzione di tre comitati nazionali scientifici che mettessero in essere attività di alto valore culturale e proprio il comitato relativo a Dante, che già è in essere e lavora a pieno regime, ha già cominciato a consultare attività, associazioni, istituzioni e musei di ogni luogo.

Per questo e per tanto altro, in occasione del settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta, la mozione è volta ad istituire una giornata celebrativa quale occasione per ricordare le sue opere e l'influenza che esse hanno ricercato, il “Dante Dì”. È la sua immortalità la prova più grande della potenza della poesia di Dante. Come diceva Foscolo, “(…) l'armonia vince di mille secoli il silenzio”. Una potenza che nessuna dittatura, nessun ordine, nessuna prigione, nessun divieto, nessuna situazione può annientare, una volta penetrata dentro di noi. Ecco perché, tanto più in questo nostro calmo, tranquillo, benestante e appagato oggi, tanti docenti - e io sono orgogliosamente tra questi - continuano a sentire come un dovere……quello di trasmettere ai nostri studenti il valore della poesia dantesca, come dev'essere un impegno per il Governo e per il legislatore garantire lo studio, la diffusione e la conservazione di questo che, per grandezza, bellezza, complessità, interiorità e modernità……è entrato a pieno titolo nel patrimonio di tutta l'umanità.