Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 12 Aprile, 2017
Nome: 
Carlo Dell'Aringa

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Signor Presidente, la proposta di modifica della Carta costituzionale che è stata bocciata con il referendum del 4 dicembre prevedeva nel nuovo Titolo V il trasferimento delle competenze legislative in materia di lavoro in via esclusiva allo Stato. Non solo: inseriva per la prima volta nel testo della Carta l'espressione “politiche attive del lavoro”, come riconoscimento dell'importanza di queste politiche del lavoro, che sono entrate a pieno titolo nel complesso di misure economiche e sociali dei Paesi più evoluti, come caposaldo dell'intervento pubblico nel funzionamento del mercato del lavoro.

Soprattutto nei Paesi europei vicini a noi le politiche attive accompagnano e si integrano con le cosiddette politiche passive, cioè con gli interventi di sostegno del reddito delle persone in difficoltà, senza lavoro o in cerca di ricollocazione. Questi lavoratori devono certamente essere aiutati in termini economici, ma devono essere anche aiutati a cercare il nuovo posto di lavoro: la ricerca attiva è in tutti i Paesi condizione per ottenere il sostegno del reddito.

Nel nostro Paese, nonostante gli sforzi consistenti operati col Jobs Act, che ha dato frutti notevoli, sul fronte delle politiche attive registriamo ancora qualche ritardo.

Mentre in altri Paesi, come è stato detto, le spese per questi interventi sono altrettanto importanti quanto quelle sostenute per il sostegno dei redditi, nel nostro Paese c'è una sproporzione: mentre in rapporto al PIL spendiamo in linea con gli altri Paesi per quanto riguarda le politiche passive, per quanto riguarda le politiche attive siamo senz'altro sotto la media dei Paesi europei.

Alcune ricerche nazionali e internazionali mettono in luce come il cosiddetto incontro tra domanda ed offerta di lavoro nel nostro Paese sia difficoltoso e problematico: ci sono squilibri rilevanti e, se venissero rimossi, si otterrebbe un aumento dell'occupazione, anche in periodi di difficoltà economica come quello attuale.

Si permetterebbe, inoltre, un migliore incontro tra impresa e lavoratori, aumentando la probabilità di instaurare rapporti di lavoro più produttivi e più stabili.

La nostra struttura dei centri per l'impiego sul territorio non è sufficiente, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.

Certamente bisogna fare salve le eccezioni di eccellenza che esistono, ma non sono sufficienti, sono poche, andrebbero aumentate, soprattutto in quelle regioni dove la disoccupazione strutturale e la disoccupazione di lunga durata sono più elevate.

Una maggiore presenza dell'operatore pubblico non significa rinunciare alle iniziative private, quelle attuate dalle agenzie di somministrazione e di intermediazione, che svolgono un ruolo utile, ma anche l'operatore pubblico deve avere un proprio peso, proprio perché all'operatore pubblico è richiesta la funzione più importante e anche quella più delicata, cioè quella dell'indirizzo, del controllo e della valutazione delle attività che hanno rilevanza pubblica, anche quelle che sono affidate all'operatore privato.

Anche in questo caso, come in altri campi del welfare, come la sanità, la scuola, l'assistenza, occorre trovare un giusto mix fra pubblico e privato nel campo delle politiche attive, e, in particolare in quella dell'intermediazione, bisogna riconoscere che il ruolo pubblico è alquanto ridotto oggi in Italia, è quasi marginale: questa è una stortura che va corretta.

Francia, Germania e Gran Bretagna - è stato ricordato - spendono 8 o 9 volte più del nostro Paese nelle loro strutture di servizi per il lavoro.

È molto importante quello che è stato fatto certamente con il Jobs Act e quello che ci si appresta a fare: più Garanzia Giovani, l'apprendistato di primo livello, l'alternanza scuola-lavoro, l'assegno di ricollocazione sono esempi importanti di un nuovo corso che vede il Partito Democratico in prima fila ad indicare la giusta direzione di marcia.

I buoni risultati sono arrivati e non mancheranno in futuro, ma queste iniziative, per essere ancora più efficaci, devono essere sostenute da una valida rete di servizi dislocati sul territorio.

La gestione degli attuali servizi, i centri per l'impiego, rimane di competenza delle regioni, ma c'è un rischio, e cioè di avere - pur riconoscendo che in sede locale si possono svolgere funzioni anche in modo migliore che in sede nazionale - una rete spezzettata in una ventina di contesti istituzionali, ciascuno dei quali si ispira a diversi modelli di intervento nel mercato del lavoro, con la conseguenza che solo con grande difficoltà le reti regionali interagiscono tra di loro e tra loro e le strutture nazionali, come l'Anpal o come l'INPS, che, fra l'altro, gestisce gli ammortizzatori sociali.

Voglio inoltre ricordare che un'efficace politica di contrasto alla povertà significa accompagnare il sostegno economico ad un'adesione ad un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, come recita il disegno di legge sul contrasto alla povertà.

Tramontata la riforma costituzionale, non possiamo rassegnarci a questa frammentazione. Nell'attuale quadro di competenza legislativa concorrente, è essenziale la definizione, in accordo tra Stato, regioni e province autonome, di linee di indirizzo e di obiettivi puntuali dell'azione amministrativa ed è cruciale il ruolo di Anpal come di Anpal Servizi, cioè l'ex Italia Lavoro, come soggetti che predispongono gli strumenti comuni che consentono il coordinamento dell'azione finalizzata al raggiungimento di tali obiettivi.

Oltre ad assicurare le risorse necessarie ad ANPAL e soprattutto le risorse umane, che devono essere impiegate con rapporti di lavoro stabili - questa è la condizione perché questi rapporti di lavoro siano anche produttivi -, occorre anche assicurare all'ex ISFOL, cioè l'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche, risorse adeguate per lo svolgimento e valutazione delle politiche del lavoro e dei servizi per il lavoro, ivi inclusa la verifica del raggiungimento degli obiettivi da parte degli ANPAL.

Occorre un forte coordinamento tra strutture regionali e strutture nazionali, senza il quale partiamo con un grave handicap, nella prospettiva di iniziative europee che noi stessi tra l'altro sollecitiamo.

Infatti, stiamo giustamente rivendicando l'istituzione di un sussidio di disoccupazione funzionante a livello europeo, che può aprire la strada all'Europa sociale e ad un bilancio economico europeo da gestire in condizioni di minore difficoltà.

Non possiamo essere in prima fila a sostenere questa importante iniziativa e al contempo non riuscire a fare decisivi passi in avanti con le politiche attive, che ci mettano alla pari degli altri Paesi europei con cui vogliamo condividere gli sforzi per costruire il pilastro sociale europeo.

Non possiamo presentarci impreparati a questo appuntamento ed è per questo che il sostegno delle politiche attive deve diventare una delle riforme fondamentali che vengono messe in campo per aumentare anche la crescita potenziale del nostro Paese. Grazie, signor Presidente.