Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 8 Maggio, 2017
Nome: 
Marco Di Lello

A.C. 3844-A

 

Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, questo provvedimento come ha appena ricordato la collega Narduolo, segue molti analoghi provvedimenti, proposte di legge e disegni di legge provenienti dalle Camere e dal Governo e, per quanto mi riguarda, mi piace sottolineare come segue quello analogo approvato in questa legislatura per Peppino Di Vagno. Dunque continuiamo ad investire in cultura e da deputato socialista del Partito Democratico con orgoglio dico che torniamo a riconoscere anche l'importanza della storia socialista nella storia d'Italia, una storia che sembrava fosse quasi oggetto di una sorta di damnatio memoriae. C'è stato chi in quest'Aula addirittura aveva proposto con un emendamento di eliminare l'aggettivo “socialista” per Di Vagno come per Matteotti, l'aggettivo che permea l'intera azione non solo politica di queste personalità che ci hanno consegnato l'Italia di oggi. Invece la storia socialista ha dato all'Italia i primi deputati assassinati dal fascismo come Peppino Di Vagno e Giacomo Matteotti ma anche Presidenti della Repubblica come Giuseppe Saragat e quello che ancora oggi è il più amato degli italiani, Sandro Pertini, che vedremo avrà più di un punto di contatto con la vita e la storia di Giacomo Matteotti. Quella vissuta da Matteotti e dai socialisti è una storia sempre di minoranza, avversata da destra ma anche da sinistra da un lato con l'isolamento, dall'altro con la violenza e questa è la storia di Giacomo Matteotti. Dopo la scissione del 1921 e ancora un congresso dei socialisti i primi di ottobre del 1922 si arriva ancora una volta con una spaccatura quasi al 50 per cento tra i massimalisti e i riformisti e Turati e Matteotti, Saragat e Pertini, l'ala riformista del PSI sarà espulsa dando vita al PSU, al Partito Socialista Unitario cui si aggiungerà poi nel 1924 Carlo Rosselli, altra vittima del fascismo. E questa è la triste storia dei riformisti: social-fascisti venivano definiti dai comunisti perché incolpati di essere deboli nella difesa della purezza del pensiero marxista ma in realtà perché consapevoli che senza libertà e democrazia non ci poteva essere crescita sociale. Mentre a destra i fascisti, che non avevano certo la stessa raffinatezza nell'eloquio, incapaci di usare parole affilate che pure facevano male come coltelli, preferivano direttamente i coltelli alle parole. Sono i coltelli che i fascisti useranno insieme alle mani e le spranghe per contrastare o almeno provare a contrastare la forza delle parole di Giacomo Matteotti. Ricordiamo che nasce a Fratta Polesine il 22 maggio 1885, frequenta lì il ginnasio Celio. In seguito va a Bologna, si laurea in Giurisprudenza, entra in contatto con i movimenti socialisti diventandone presto una tra le più autorevoli figure. È convinto sostenitore della neutralità durante la prima guerra mondiale e le sue posizioni antimilitariste contro la guerra gli costarono il confino in una zona montagnosa nei pressi di Messina.

A tratti fu eletto in Parlamento: la prima volta nel 1919, in rappresentanza, appunto, della circoscrizione Ferrara-Rovigo; poi, fu rieletto nel 1921 e nel 1924. I suoi compagni di partito lo chiamavano “Tempesta”, aveva un carattere battagliero, ma anche intransigente, come erano i socialisti dell'epoca. Nel 1921 pubblicò una famosa inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, in cui denunciava, con forza, le violenze delle squadre d'azione fasciste, durante la campagna elettorale del 1921. Una vita, quella di Giacomo Matteotti, tutta a difesa dei deboli, dei senza voce, degli sfruttati; una vita da socialista. Peppino Tamburrano nell'ultimo lavoro di ricerca, La sinistra italiana 1892-1992, dato alle stampe lo scorso anno, nel raccontare un pezzo della vita di Matteotti, lo inquadra in quello che era - lo voglio ricordare qui - il programma dei Socialisti di inizio del Novecento, perché ancora oggi è straordinaria l'attualità di quel pensiero. Lo chiamavano un “programma minimo”; ecco gli obiettivi: suffragio universale e indennità ai deputati - ci sarebbe da fare una lunga discussione in quest'Aula sul perché si pensava di dare l'indennità ai deputati, come strumento per consentire a chiunque di poter rappresentare il popolo, indipendentemente dal censo o dalla nascita -, abolizione di ogni legge restrittiva della libertà di stampa, sostituzione della nazione armata all'esercito permanente, eguaglianza giuridica e politica dei due sessi, autonomia comunale e indennità a tutte le cariche elettive. Completavano poi il “programma minimo” le proposte economiche: riforma dei patti colonici agrari, divieto di sostituire la forza pubblica agli operai in sciopero, nazionalizzazione di ferrovie, miniere, mezzi di comunicazione, espropriazione delle terre incolte, tassa unica progressiva sui redditi e sulle successioni, esenzione delle tasse per i redditi minimi, cassa pensione per gli inabili, otto ore di lavoro al giorno, minimi salariali, 36 ore di riposo settimanale consecutive, agevolazioni per donne e fanciulli ed infine, ma aggiungerei soprattutto, istruzione laica, cioè pubblica, obbligatoria fino alle elementari. Era dunque un partito autenticamente riformatore, ancorato ai valori della democrazia.

Alle elezioni del 1924, fallisce il tentativo di una lista unitaria tra gli spezzoni del vecchio Partito Socialista. Il PSU di Matteotti ottiene alla Camera 24 seggi, il PSI dei massimalisti 22, il PC appena 19 ed è il PSU di Matteotti quello più deciso nel richiedere il ripristino delle libertà violate. Matteotti - ricorda Tamburrano - era un oppositore testardo, uno che criticava con i dati alla mano, non aveva lasciato passare nulla delle illegalità, degli abusi, dei soprusi, degli affari loschi del regime e probabilmente aveva molti dossier ancora da aprire anche sulla corona. La denuncia alla Camera dei brogli elettorali fece traboccare il vaso della tolleranza del duce: bisogna dargli una lezione, ed i suoi sicari obbedirono.

Ma, allora, che cosa raccontò, qui, in quest'Aula, Giacomo Matteotti il 3 maggio del 1924? Ne prenderò solo uno stralcio, signor Presidente: “L'elezione - si era tenuta il mese prima - secondo noi è essenzialmente non valida e in tutte le circoscrizioni”, dice Giacomo Matteotti. “In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta dal Governo, ripetuta da tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioni non avevano che un valore assai relativo, in quanto che il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che, in ogni caso - come ha dichiarato replicatamente - avrebbe mantenuto il potere con la forza, anche se codesti applausi - che nel frattempo l'avevano interrotto - sono la conferma precisa della fondatezza del mio ragionamento”. Dirà ancora Matteotti: “Nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà, nessun elettore è libero di fronte a questo quesito, se egli cioè approvava o non approvava la politica o, per meglio dire, il regime del Governo fascista. Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva a priori che, se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c'era una forza a disposizione del Governo che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso”.

“A rinforzare tale proposta del Governo esiste una milizia armata, una milizia armata, la quale ha questo fondamentale e dichiarato scopo: sostenere un determinato Capo del Governo ben indicato e nominato nel capo del fascismo e non, a differenza dell'esercito, il Capo dello Stato. Vi è una milizia armata composta di cittadini di un solo partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse. In aggiunta e in particolare, mentre per la legge elettorale la milizia avrebbe dovuto astenersi, essendo in funzione, e mentre di fatto in tutta l'Italia, specialmente rurale, abbiamo constatato in quei giorni la presenza di militi nazionali in gran numero (…)”. Parole, evidentemente, che non potevano essere tollerate. Rivolto ai suoi vicini di banco, ai suoi compagni, Giacomo Matteotti, al termine di questo intervento, disse: Io il mio discorso l'ho fatto, ora voi preparatevi a farmi l'elogio funebre. Fu rapito poco più di un mese dopo, il 10 giugno 1924, il corpo fu ritrovato solo il 16 agosto.

La moglie Velia chiese che nessuna rappresentanza della milizia fascista fosse di scorta al treno. “Nessun milite fascista di qualunque grado o carica comparisca, nemmeno sotto forma di funzionario di servizio. Chiedo che nessuna camicia nera si mostri davanti al feretro e ai miei occhi durante tutto il viaggio, né a Fratta Polesine, fino a tanto che la salma sarà sepolta, voglio viaggiare come semplice cittadina che compie il suo dovere per poter esigere i suoi diritti, indi nessuna vettura-salon, nessuno scompartimento riservato, nessuna agevolazione o privilegio, ma nessuna disposizione per modificare il percorso del treno quale risulta dall'orario di dominio pubblico”. “Se ragioni di ordine pubblico impongono un servizio d'ordine, sia esso affidato solamente a soldati d'Italia”, dalla lettera di Velia Matteotti pubblicata sul Corriere della Sera il 20 agosto 1924.

A Fratta Polesine, grazie a questo provvedimento, la casa museo diventa oggi monumento nazionale. È un riconoscimento alla figura, forse tardivo, ma di certo dovuto, ma è anche un provvedimento che serve ai fini della preservazione della memoria, per questo, un fondo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, 300.000 euro per il 2017; ricordava la collega Narduolo che avremmo voluto approvarlo nel 2014, nel novantesimo anniversario, lo facciamo oggi, ci arriviamo un po' in ritardo, ma è importante arrivarci, con la consapevolezza che quell'esempio, quelle lotte, quegli scritti sono sempre, ancora oggi, di straordinaria attualità, forse più fuori da quest'Aula che qui dentro e questo è un torto a cui non potevamo non porre rimedio e come Democratici l'abbiamo assunto e lo facciamo. È anche per questo che siamo qui, per approvare una legge che sani questa, l'ultima insopportabile, ingiustizia.