Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 26 Settembre, 2016
Nome: 
Chiara Gribaudo

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, quella che ci apprestiamo a discutere oggi è una mozione molto importante; lo è per chi, come molte di noi oggi qui in quest'Aula, nel mese di maggio ha incontrato alla Camera appunto la delegazione yazida guidata da Nadia Murad. Questo è un passaggio particolarmente significativo e lo è specialmente per chi di noi ha potuto ascoltare le loro voci e la loro dolorosa e forte testimonianza. Lo vegliamo, quindi, con solennità e con intima emozione. Ci eravamo impegnati con loro ed oggi manteniamo quell'impegno.   Con questa mozione noi denunciamo le efferate violenze compiute dall'Isis nei confronti della minoranza yazida e le chiamiamo con il loro nome: genocidio. Lo facciamo in conformità alla risoluzione ONU n. 260 del 1948, che definisce come tale «ciascuno degli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale etnico, razziale o religioso». Quella yazida è una comunità etnico-religiosa di origine curda di circa 800 mila persone; 750 mila vivono nel Kurdistan iracheno. Due anni fa, la notte tra il 3 e il 4 agosto 2014, questo territorio intorno al monte di Sinjar veniva circondato dalle forze del Daesh. I testimoni diretti hanno visto gli uomini di al-Baghdadi incappucciati di nero entrare nelle case e trarne fuori tutti, uomini, donne, vecchi e bambini. Centinaia morirono subito. Nei giorni seguenti continuò una vera e propria caccia: chi venne catturato fu costretto a scegliere tra convertirsi all'Islam o morire. Nel villaggio di Kocho gli jihadisti sgozzarono circa seicento uomini che avevano rifiutato di convertirsi. 
Anche Nadia Murad viene dal villaggio di Kocho. Lì ha visto morire con i propri occhi sua madre e suoi sei fratelli. Presa come bottino di guerra è stata portata con le altre donne a Mosul e acquistata come schiava. Dopo il primo tentativo di fuga per punizione è stata stuprata da sei miliziani fino a perdere conoscenza; alla fine è riuscita a scappare e ad arrivare in Europa, dove ha trovato asilo. Nadia aveva allora 19 anni; oggi ne ha 21. Nel dicembre 2015 è intervenuta al Consiglio di sicurezza dell'ONU per aprire finalmente gli occhi delle nazioni sugli orrori di cui è stata testimone. Ora viaggia in tutto il mondo per parlare a nome del suo popolo e per raccontare la tragedia che sta vivendo. Secondo stime ufficiali sono oltre 5 mila le vittime yazide, anche se altre fonti parlano addirittura del doppio; si contano, invece, più di 7 mila donne, anche minorenni, rapite, schiavizzate e sistematicamente stuprate. «È necessario che si sappia quello che ci è successo», ci ha raccontato Nadia, «in modo che il mondo si renda conto della sofferenza di oltre 3.500 donne e ragazze che tuttora sono in schiavitù e vengono stuprate ogni ora e ogni giorno». È necessario che si sappia del genocidio subito da una comunità pacifica e impotente, come pure di tutto il dolore che colpisce ogni minoranza e chiunque non condivida l'interpretazione dell'Islam portata avanti dallo Stato islamico. 
Nel novembre del 2015 il Sinjar è stato in parte liberato dall'Isis, ma nonostante questo i massacri non sono finiti. Ancora ai primi di giugno 2016 a Mosul 19 yazide sono state bruciate vive dentro una gabbia di metallo per essersi rifiutate di concedersi come schiave sessuali ai combattenti del califfato che ha lì la sua capitale in Iraq. Sempre le parole di Nadia indicano, quindi, con chiarezza l'obiettivo che abbiamo da perseguire: «La violenza deve finire; nessun'altra ragazza deve subire quello che ho subito io. Ho perso tutto ciò che avevo una volta: la famiglia, gli amici, la patria, i sogni. Li ho persi e migliaia di yazidi hanno perso i propri cari. Tutte le minoranze rimpiangono la propria terra». La patria storica che rimpiangono gli yazidi ancora prigionieri o costretti a fuggire è il Kurdistan; lì è nato il loro culto antichissimo ed originale. Anche per questo non è la prima volta che il popolo yazida subisce massacri in nome della religione che professa; sono stati accusati di essere apostati, libertini e adoratori del diavolo. Secondo il loro conto siamo anzi alla settantatreesima persecuzione, quella definitiva, che vuole cancellarli dalla faccia della terra. Nel 2014 ci fu molto clamore mediatico per il massacro del Sinjar. Già nel marzo 2015, infatti, il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha consegnato un rapporto nel quale denunciava chiaramente la gravità delle azioni commesse in Iraq nei confronti degli yazidi, classificandoli come crimini contro l'umanità. Lo stesso rapporto affermava che i responsabili del Daesh avrebbero dovuto rispondere dei genocidi davanti alla Corte penale internazionale; eppure, due anni dopo misuriamo ancora il silenzio e, ahimè, l'inefficacia dell'azione internazionale. 
Ma qualcosa sembra muoversi, anche grazie a questo prezioso lavoro di Nadia Murad. Nel 2016 il Parlamento europeo ha infatti approvato una risoluzione che in modo analogo classifica come genocidio le esecuzioni sistematiche e le violenze dei guerriglieri dell'Isis ai danni delle minoranze religiose in Iraq e in Siria. Un passo positivo, ma finché non finiranno tutte le sofferenze delle minoranze religiose in Iraq e in Siria non potremmo dirci soddisfatti. Nel suo ultimo discorso alle Nazioni Unite, qualche giorno fa il Presidente Obama ha parlato degli orrori di uno Stato islamico che ha atterrito chiunque abbia incrociato sulla propria strada. Davanti ai delegati il Presidente ha ricordato nuovamente lo stupro su madri, figlie e sorelle usato come un'arma di guerra. I bambini innocenti uccisi a colpi di arma da fuoco, i corpi gettati nelle fosse comuni, le minoranze religiose affamate a morte. Lo stesso giorno il Consiglio di sicurezza aveva in discussione una risoluzione per sottolineare la responsabilità degli Stati nel combattere l'estremismo violento, ma, ha ammonito Obama, le risoluzioni devono essere seguite da impegni concreti perché siamo noi i responsabili quando non ci dimostriamo all'altezza. Sono parole che vogliamo fare nostre, sentendo tutta la responsabilità che esse comportano. Ecco perché il Parlamento italiano deve dare oggi un segnale forte e concreto. La risoluzione che proponiamo impegna innanzitutto il Governo a promuovere ogni iniziativa volta al riconoscimento del genocidio jazida nelle competenti sedi internazionali e l'avvio di un provvedimento contro i responsabili presso la Corte penale internazionale. In secondo luogo impegna ad adoperarsi in seno all'Organizzazione delle Nazioni unite, d'intesa con gli altri Paesi dell'Unione europea, per far cessare ogni violenza nei confronti della popolazione yazida. La nostra mozione chiede poi al Governo di assumere iniziative per realizzare corridoi umanitari al fine di favorire l'arrivo di aiuti internazionali a sostegno della popolazione civile colpita dalle violenze. Ultimo punto, non certo per importanza, indica la necessità di soccorrere, attraverso specifiche iniziative di assistenza umanitaria e sanitaria, le vittime della violenza. Onorevoli colleghi, il Presidente della Commissione delle Nazioni unite lo ha detto chiaramente: il genocidio continua e lo Stato islamico non nasconde la sua intenzione di distruggere questa minoranza religiosa. Anche a noi allora spetta continuare il nostro impegno perché, come dicono gli attivisti yazidi, occorre che il tempo non copra queste tragedie e i drammi inenarrabili. Per tutte queste ragioni, a nome del Partito Democratico, mi auguro che ci possa essere unanime convergenza da parte di quest'Aula, lo dobbiamo alle sofferenze e al coraggio idonee come Nadia Murade e soprattutto alle molte che ancora attendono di essere salvate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).