Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 26 Settembre, 2016
Nome: 
Gianna Malisani

Grazie, Presidente. Le mozioni che domani siamo chiamati a votare sono molto importanti per la comunità degli yazidi perché hanno chiesto con forza anche in questo Parlamento e continuano a chiedere l'attenzione internazionale verso quello che è stato definito genocidio. Gli yazidi sono una comunità religiosa, non musulmana che affonda le sue radici nello zoroastrismo, presente prevalentemente in Iraq nel distretto del Sinjar, nordovest del Paese ma anche in Georgia, Azerbaijan e una comunità coesa in Germania. La popolazione yazida al momento presente nel Kurdistan iracheno è di circa 400.000 unità, distribuite tuttavia nei campi di sfollamento. Circa 100.000 sono partiti sulle rotte migratorie per raggiungere l'Europa dopo i fatti del 2014. Da sempre infatti perseguitati, oggetto di violenze e massacri per ben 74 volte nella storia, hanno subito un vero e proprio sterminio iniziato il 3 agosto 2014 da parte di Daesh quando è stata attaccata la comunità di Sinjar e Mosul. L'obiettivo di Daesh era di sterminare gli yazidi, considerati infedeli. Il rapporto dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato la responsabilità di Daesh per il genocidio del popolo yazida di fronte alla Corte penale internazionale. La comunità yazida è stata posta di fronte alla scelta se convertirsi o essere sterminata. Le vittime dell'attacco non erano solo gli yazidi ma anche cristiani, sciti e altre minoranze religiose ma il trattamento riservato agli yazidi, perché non rientranti secondo il Corano tra le genti del Libro sacro, è stato quello della conversione o della morte: non hanno potuto pagare la tassa islamica o andare in esilio. Il rapporto delle Nazioni Unite documenta il massacro degli uomini uccisi, la cacciata dalle loro case, la fuga sul monte Senjar di almeno 40.000 yazidi dove molti hanno rischiato di morire per disidratazione e alcuni, soprattutto bambini, sono morti. Le Nazioni Unite hanno stimato che nel 2015 cinquemila yazidi sono stati massacrati e settemila donne e bambine dai nove ai trenta anni sono state ridotte in schiavitù. Hanno rapito le donne-bambine per farne schiave sessuali e i bambini per portarli nei campi di addestramento. Le donne sono state stuprate, hanno subìto molestie sessuali, mutilazioni e spinte al suicidio, schiavizzate e trattenute come bottino di guerra. Gli attacchi subiti da Daesh contro il corpo, l'identità e il pensiero delle donne vengono perpetrati in modo crudele: una vera e propria guerra contro le donne, un femminicidio lo possiamo definire. Invito a leggere la testimonianza, già citata dalle mie colleghe, portata dalla Commissione affari esteri di questo Parlamento il 5 maggio scorso da Nadia Murat, ventun'anni sopravvissuta alla prigionia delle mani di Daesh, ripetutamente e continuamente violentata per tre mesi. Alcune donne dicevo sono state liberate, circa 2.500. Le altre con molti bambini sono ancora prigioniere. I bambini yazidi anche piccolissimi sono stati rapiti e venduti come schiavi come testimoniato nel rapporto di Amnesty International. Nella controffensiva sono state ritrovate solo nei territori liberati circa cinquanta fosse comuni di sole vittime yazida che documentano l'intento genocidiario. A Dohuk, provincia estrema del Kurdistan gremito di profughi, due magistrati hanno costituito un centro di documentazione per il crimine di genocidio. Sono Sail Khider Khalaf, procuratore, e Ayman Mostafà, giudice. Vogliono impedire che il tempo confonda le tracce. Il centro ha la responsabilità di documentare nel dettaglio le storie individuali, offrire un supporto legale, documentare le violazioni, gli stupri, i suicidi, identificare le fosse comuni e le vittime, preservare i reperti, rendere istituzionalmente efficace il processo di ricostruzione e ricerca per il perseguimento dei responsabili mediante la Corte penale internazionale. Il rapporto del 2015 dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato la responsabilità di Daesh per il genocidio del popolo yazida davanti alla Corte penale internazionale. Vi è un'iniziativa tesa a richiedere al Security Council delle Nazioni Unite un'inchiesta formale sui crimini, rapimenti, torture e uccisioni di massa e si chiede di ricorrere alla Corte penale internazionale perché persegua i responsabili. Il genocidio è definito in conformità della risoluzione n. 260 del 1948 con la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio come ciascuno degli atti commessi con l'intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Le violenze efferate compiute dall'Isis nei confronti della minoranza yazida si configurano come atti riconducibili a tale definizione in quanto non c’è dubbio che si possono definire come un tentativo di annientamento. C’è una diaspora yazida che vivrà per vedersi riconosciuta la propria catastrofe, che non è avvenuta cento anni fa, ma sta avvenendo. Per questo è importante che l'Italia promuova, nelle competenti sedi internazionali, come chiediamo nelle mozioni, ogni iniziativa volta al formale riconoscimento del genocidio del popolo yazida e ad assicurare ogni sforzo per la sottoposizione dei responsabili alla giurisdizionale della Corte penale internazionale. Così hanno chiesto le delegazioni yazide sentite da questo Parlamento nello scorso mese di maggio, una, quella già citata, di Nadia Murad e l'altra guidata dall'onorevole Dakhil Saeed, yazida, appartenente al Parlamento federale iracheno. 
Sarà anche importante che il Governo, nell'ambito di rifinanziamento delle missioni internazionali, metta in atto o in loco 620 donne liberate da Daesh, dove le donne usufruiscono di assistenza sanitaria e psicologica e attività formative tese al loro reinserimento nella comunità. Ricordo che il reinserimento è molto difficile, signor sottosegretario, perché vengono spesso rifiutate dopo l'esperienza di violenze subite da Daesh. Ricordo anche il progetto di cash transfer diretto alle minoranze per l'assistenza essenziale delle famiglie superstiti, per un totale di 6.040 nuclei familiari. 
Il riconoscimento del genocidio richiederebbe un aiuto, per la fornitura di strumenti adeguati, anche al centro di documentazione che prima ho citato, quello di Douk, affinché vengano documentate le violenze e i crimini e l'identificazione delle fosse comuni. Credo che sia importante anche sostenere e ampliare il progetto partito nel 2015, grazie all'impegno di volontari e alla stessa regione del Friuli-Venezia Giulia, del ponte sanitario mirato all'assistenza sanitaria infantile di casi incurabili nei campi di sfollamento, si potrebbe ampliare, signor sottosegretario, a problematiche specifiche per le donne liberate.