Data: 
Martedì, 11 Novembre, 2014
Nome: 
Roberta Agostini

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Signor Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, il tema dell'occupazione femminile riguarda i diritti delle persone e riguarda lo sviluppo del Paese e la sua possibilità di uscire dalla crisi. Vorrei che noi guardassimo all'investimento sul lavoro delle donne in un'ottica produttiva e non semplicemente redistributiva, in una chiave per la quale il beneficio è maggiore del costo a partire da un assunto che molte economiste e filosofe spiegherebbero meglio di me e cioè che l'attuale divisione del lavoro tra uomini e donne non va bene: è un problema per le donne, è un problema per gli uomini ed è un problema per la nostra società. 
La disparità di genere è un problema, perché significa che noi sprechiamo talento, risorse, competenze e sono state molte le voci, in questi ultimi anni, dalla Banca d'Italia alla direttrice del Fondo monetario internazionale, che hanno chiesto all'Italia di affrontare la sfida dell'occupazione femminile che noi crediamo debba essere un impegno fondamentale di questa legislatura e un banco di prova per Governo e Parlamento. 
I dati del rapporto ISTAT del 2014, che noi citiamo e che sono stati ricordati in molte delle mozioni, sono allarmanti: siamo sempre all'ultimo posto nella graduatoria dell'Unione europea per tasso di occupazione femminile, al 47 per cento contro il 58 per cento della media UE, e questo a fronte, invece, di una crescita delle occupate straniere e di una crescita delle ultraquarantenni, anche per effetto delle riforme che sono state approvate del sistema pensionistico e quindi dell'innalzamento dell'età delle lavoratrici. 
Cresce l'occupazione nelle professioni non qualificate, il part-time, il gender pay gap, un dislivello che si aggira intorno al 20 per cento tra uomini e donne e cresce, purtroppo, la distanza tra il Nord e il Sud del Paese. Nel Sud l'occupazione è lontana 30 punti percentuali dagli obiettivi fissati a Lisbona e una donna su tre lavora. Ad una occupazione modesta corrisponde quasi sempre una retribuzione insufficiente che non compensa il lavoro domestico al quale si dovrebbe rinunciare per lavorare in un contesto di servizi insufficienti ed assenti. È per questo che le donne scelgono di stare a casa, oppure rinunciano a fare figli  Grazie, Presidente; la flessibilità e la flessibilizzazione del lavoro sono diventate precarietà esistenziale e nessuna riforma che si vuole strutturale può eludere questi dati. Alla radice dei divari ci sono ragioni molto diverse, c’è l'intreccio di molte cause, non solo una; in primo luogo – lo diceva la collega Titti Di Salvo e io sono d'accordo con lei – una maternità considerata un peso e un ostacolo, così come ci racconta il fenomeno delle dimissioni in bianco o le molte storie di vita vissuta che ci vengono descritte e raccontate, mentre nel contesto internazionale, invece, c’è un legame molto positivo tra fecondità ed occupazione. Non c’è sicuramente nel nostro Paese un gap di istruzione alla base della minore occupazione femminile, perché le ragazze si laureano di più e meglio dei colleghi uomini, magari in facoltà diverse, più letterarie e meno scientifiche. Pesano i pregiudizi, come il maggior diritto di un uomo a conservare il lavoro in un momento di crisi o l'attribuzione alle donne di ruoli tradizionali; infatti, le donne italiane sono quelle che dedicano al lavoro domestico il maggior numero di ore nel panorama europeo. 
Per questo parliamo di condivisione, oltre che di conciliazione, perché c’è bisogno di un modo nuovo e diverso di intendere i ruoli dentro le famiglie e perché più spazio alle donne nella vita pubblica possa corrispondere ad uno spazio maggiore degli uomini in quella privata. 
Anche il termine conciliazione andrebbe concepito in chiave europea, come conciliazione tra vita professionale, familiare e personale, anche come segno simbolico. La causa della mancata partecipazione al lavoro è proprio l'assenza o la difficoltà delle politiche di conciliazione: scarsi servizi, in particolare al Sud, scarsi gli strumenti per organizzare una flessibilità buona del lavoro. Sono istanze e problemi che richiedono di rimodulare complessivamente la strategia dello sviluppo del nostro Paese. Lo hanno detto molte colleghe prima di me: non c’è una bacchetta magica, vanno compiute insieme scelte lungimiranti coraggiose ed innovative. Nella legge delega sul lavoro o nella riforma della pubblica amministrazione è prevista l'apertura di capitoli che potrebbero diventare decisivi, importanti: dal rafforzamento degli strumenti a tutela della maternità alle politiche di conciliazione e all'ampliamento dei servizi di cura, quelli per i bambini e per gli anziani. Ci aspettiamo molto, Presidente, dai decreti legislativi attuativi e dal lavoro del Governo; ad esempio, quel lavoro che si sta facendo per semplificare l'erogazione di quei contributi per l'acquisto di servizio per la retta dei nidi di cui molte colleghe prima di me hanno parlato. Noi abbiamo buone leggi, l'Italia è all'avanguardia in fatto di buone leggi Penso alla legge n. 53 del 2000, sui tempi, o a quella per l'imprenditoria femminile, o a strumenti importanti come la rete delle consigliere di parità, ma sono strumenti ed impegni che bisogna perseguire con maggiore determinazione, che hanno bisogno di essere declinati, articolati, che chiedono risorse adeguate, che chiedono di riaprire con forza il capitolo del ripensamento in chiave avanzata e moderna dei servizi di welfare, dei servizi pubblici, a partire dai cambiamenti intervenuti nelle famiglie. E ne servirebbero altri di strumenti: penso al timido tentativo che è stato fatto negli anni passati di introdurre il congedo paterno obbligatorio, che avrebbe bisogno di essere monitorato, di essere rilanciato. Per questo, nella mozione chiediamo al Governo di assumere una logica mainstreaming e di affrontare l'emergenza del lavoro femminile in modo coordinato ed unitario tra i diversi Ministeri. Per questo chiediamo una task force per l'occupazione femminile e chiediamo, Presidente, di aprire un cantiere, che è quello di una conferenza nazionale sull'occupazione femminile, da tenersi possibilmente in una città del Sud, dove maggiore e più drammatico è il fenomeno della disoccupazione, delle donne in particolare. Una conferenza dove si possa discutere di una strategia nazionale coinvolgendo. Posso Presidente ?
Coinvolgendo parti sociali, centri di ricerca, livelli amministrativi e politici diversi, nel solco degli orientamenti e degli obiettivi del semestre europeo, augurandoci che su questo punto specifico del lavoro e dell'occupazione femminile faremo sentire alta la nostra voce in Europa, perché raggiungere il 60 per cento di occupazione femminile significa 3 milioni di donne in più al lavoro, significa far crescere il prodotto interno lordo di diversi punti e significa e richiede una rivoluzione gentile, economica, sociale e culturale. 
A questo dovrebbe servire una conferenza nazionale sull'occupazione, per riflettere insieme sulle politiche, per fare il punto sugli strumenti, per condividere gli obiettivi, per monitorare le buone leggi che il nostro Paese si è dato, per capire di quali strumenti ancora ci dobbiamo dotare. Lo dico all'onorevole Tinagli, che sottolineava questo punto con grande forza. Io dico che c’è un nesso tra persone, democrazia e lavoro, perché la democrazia è a rischio se aumentano disoccupazione e povertà. Perché il lavoro è uno dei terreni su cui ci si afferma come persone e perché per tutti, ma un po’ di più per le donne, per le cose che ho detto, lavoro significa autonomia e libertà. 
Perché difendere la dignità del lavoro, che nella crisi si è impoverito economicamente e svalutato socialmente, significa stare dalla parte di chi la crisi l'ha pagata di più, e nello stesso tempo sostenere le ragioni della crescita. Per questo, signor Presidente, sono contenta che oggi in Aula voteremo le mozioni sul lavoro e sull'occupazione femminile, e le voteremo tutti in maniera unitaria.