Mozione
Data: 
Lunedì, 28 Luglio, 2014
Nome: 
Michela Rostan

Mozione n. 1-00291

Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho sentito fortemente il bisogno di intervenire oggi nell'ambito di questa importante discussione, che – mi auguro – possa portare in tempi brevi all'approvazione di una mozione sottoscritta da quasi 50 deputati, che, oltre a rappresentare una speranza per il nostro concittadino detenuto negli Stati Uniti, Enrico Forti, costituisce anche e soprattutto un momento di riflessione collettiva rispetto all'importanza e al valore del principio del giusto processo. Un principio, quello del giusto processo, che tanto bene la nostra Costituzione ha declinato nell'articolo 111 e che convintamente i trattati internazionali e le convenzioni bilaterali, ai quali il nostro Paese e gli stessi Stati Uniti hanno aderito in passato, affermano con altrettanta solennità e chiarezza. 
La storia di Forti, che – ne siamo certi – merita un serio e severo riesame da parte dell'autorità giudiziaria americana, si presta, oltre che a una lettura di carattere tecnico, anche e soprattutto a una visione politica; questo affinché la storia stessa e le vicissitudini di tutti i suoi protagonisti – non solo Chico, ma anche i suoi figli, i suoi congiunti – possano costituire un precedente storico utile per la collettività, per la nostra democrazia, per la democrazia americana. 
L'impegno della nostra discussione di oggi e quello che con l'approvazione della mozione porremo a carico del Governo non è diretto esclusivamente a realizzare l'interesse del singolo, che pure è centrale e sicuramente preponderante. Sbaglieremmo se limitassimo il taglio della nostra azione a questo singolo scopo. 
Il nostro lavoro, viceversa, deve essere diretto – e su questo credo che i colleghi converranno – a dare una risposta sul piano valoriale e volto ad affermare un'idea ben precisa, che deve essere elemento fondante di ogni Stato democratico, ovvero che nessuno può subire limitazioni irreversibili o durature della propria libertà personale mentre si professa innocente e mentre forti, anzi fortissimi sono i dubbi circa i presupposti processuali e probatori posti a fondamento di una barcollante dichiarazione di colpevolezza. 
Al di là della vicenda di Forti, al quale va tutta la mia personale solidarietà quale cittadina, avvocato e deputato italiano, ciò che dobbiamo affermare quest'oggi è l'universalità di questo processo e di tutte le garanzie che, seppur con varie sfumature, ogni ordinamento che abbia l'ambizione di definirsi progressista, moderno ed equilibrato deve essere in grado di garantire in modo eguale a tutti i soggetti ad esso sottoposti. 
Ecco, su questo aspetto, sul fatto che questa idea di giusto processo abbia trovato applicazione nel caso di cui oggi discutiamo, personalmente nutro fortissime perplessità, le stesse perplessità che, evidentemente, sono condivise dai tanti, tantissimi colleghi che hanno aderito alle mozioni che discutiamo questo oggi, dai numerosi comitati e movimenti di sostegno a Chico Forti sorti in tutto il Paese spontaneamente, per combattere quello che potrebbe essere potenzialmente uno degli errori giudiziari più gravi ed eclatanti. Perplessità condivise anche dai tanti uomini e dalle tante donne delle istituzioni e delle professioni, della cultura, dello spettacolo, che pure sono scesi in campo, in questi anni, per spingere l'opinione pubblica e per essa la politica italiana ad aprire gli occhi su quanto negli Stati Uniti stesse accadendo ad un giovane imprenditore, nostro concittadino, detenuto ancora oggi in un carcere di massima sicurezza della Florida con la pesantissima accusa di omicidio. Perplessità che trovano riscontro in tanti aspetti della storia processuale di Forti. 
Innanzitutto i tempi stretti del processo, per i quali mi domando: è possibile giudicare e costruire un quadro probatorio che porti alla condanna di un uomo incensurato e che si professa innocente all'ergastolo, senza condizionale, in pochissimi giorni ? 
Non so, davvero. Faccio molta fatica a credere che una pubblica accusa possa avere, in soli 25 giorni, il tempo materiale per leggere le carte, studiare le prove del reato, approfondire il movente, scartare le prove di una difesa. Faccio fatica a ritenere completo un processo che si conclude senza un secondo grado di giudizio, che in qualche modo dia il proprio imprimatur al primo grado. Faccio fatica a ritenere coscienzioso – ed è questo il punto più delicato della questione – un sistema processuale che consente all'organismo giudicante interpellato di rigettare un'istanza di revisione senza alcuna motivazione apparente e senza alcuna ragione giuridica. Faccio fatica, in poche parole, a credere che un meccanismo simile sia adeguato a quelle che sono le norme costituzionali del nostro Paese ed ai valori che anche la comunità internazionale ha ormai recepito ed assorbito e dei quali gli Stati Uniti sono da sempre baluardo anche oltre i propri confini nazionali. 
Credo pertanto sia stato ragionevole attivarsi per la riapertura del processo di Enrico Forti, non perché ritengo che sia innocente, sia ben chiaro – questo spetterà alla magistratura americana stabilirlo, magistratura nella quale continuo a nutrire piena fiducia – ma perché è giusto che un nostro concittadino possa avere la possibilità di difendersi, di dimostrare la propria innocenza, di ribaltare un verdetto drammaticamente celere e pertanto superficiale. 
Abbiamo iniziato un percorso da qualche tempo, spronati dalle leonesse di Chico, da Giulio Terzi, dal giudice Imposimato e dai tanti sostenitori di questa battaglia di civiltà. 
Nei giorni scorsi ho incontrato, non lo nego, il nuovo avvocato di Chico, Joe Tacopina, che mi ha molto rassicurata sulle possibilità di ben argomentare, dal punto di vista giuridico e processuale, una richiesta, l'ultima a disposizione di Chico, di riapertura del processo. 
È necessario tuttavia che all'azione strettamente legale si affianchi anche l'indispensabile attività del nostro popolo e di quella del Governo italiano, affinché una revisione vera e propria del processo possa essere decisa dalle autorità americane e non scartata, con fastidio o con superficialità, da chi in quel sistema è preposto a decidere dell'avvenire delle persone. 
Quella che dobbiamo portare avanti, in Parlamento e fuori, è in altre parole una battaglia da combattere con tutti i mezzi che la nostra democrazia ci mette a disposizione, su più terreni di scontro. In ballo non c’è solo il destino di un uomo, ma la salvaguardia di un principio universale, di fronte al quale non possiamo in alcun modo voltare le spalle. 
Un principio – e colgo l'opportunità di questa discussione – che dobbiamo imparare anche noi stessi a rispettare, nei nostri processi, nei nostri tribunali, nelle nostre carceri. Montesquieu diceva che giustizia ritardata è giustizia negata. Aveva pienamente ragione ed il suo pensiero è drammaticamente attuale. Lo grida la vicenda di Chico Forti, lo gridano i migliaia di Chico Forti che attendono da anni l'esito di un giudizio a causa di un sistema giudiziario, il nostro, inefficiente, farraginoso e privo di risorse adeguate. Sia questo di oggi un passaggio importante che spinga il nostro Paese anche verso una seria e non più rimandabile riforma della giustizia. 
Concludo: oggi siamo di fronte ad una mozione decisamente trasversale, segno che evidentemente il principio ed i valori di cui parlavo poc'anzi fanno ormai parte del nostro bagaglio culturale, sociale e storico. Il nostro Parlamento si batta per consentire ad un uomo che si grida innocente di poter subire un vero processo, e non sfuggire da esso. Chico Forti, in sostanza, chiede questo. Lo chiedeva qualche anno fa un altro nostro concittadino, assai più famoso, che ha insegnato a tutti noi in che modo ci si debba interfacciare con le leggi e con il sistema giudiziario, ovvero non sfuggendo ad essi, ma affrontandoli a viso aperto, specie quando la coscienza e la consapevolezza della propria innocenza sono elementi di forza d'animo imprescindibili. E mi riferisco ad Enzo Tortora. Orbene, questa universalità dei principi di cui stiamo discutendo oggi non è nuova. Ne affermava la solennità anche Voltaire che affermava, diversi decenni addietro, che il sentimento di giustizia è così universalmente connaturato all'umanità da sembrare indipendente da ogni legge, partito o religione. Sappiano in questo frangente il nostro Parlamento ed il popolo che esso rappresenta trovare la giusta unità di intenti e la capacità di agire all'unisono per tutelare un valore, quello del giusto processo, ed una persona, Enrico Forti, nello stesso modo in cui il popolo e il Parlamento americano in un caso analogo ci hanno insegnato a fare. È in nome dell'universalità di questa battaglia che personalmente sosterrò l'accoglimento di questa mozione ed è in nome di questa universalità che rivolgo a tutti voi, onorevoli colleghi, l'appello a fare lo stesso (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle e Misto-Minoranze Linguistiche).