Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 3 Aprile, 2017
Nome: 
Maria Amato

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Grazie, Presidente. Parliamo di AIDS e ne parliamo a quattro mesi dalla Giornata mondiale per la lotta all'AIDS; vi faccio riferimento, perché la mozione che abbiamo presentato cita nelle premesse questo passaggio ed è un bene, perché questo rappresenta un momento intermedio di discussione e di comunicazione e ogni momento è buono per accendere i riflettori su questa patologia.

L'idea di una Giornata mondiale contro l'AIDS ha avuto origine su spinta dell'Organizzazione mondiale della sanità al summit mondiale dei Ministri della salute, sui programmi per la prevenzione dell'AIDS del 1988 ed è stata, in seguito, adottata da Governi, organizzazioni internazionali e associazioni di tutto il mondo.

Il 1° dicembre del 1988 si è, quindi, celebrata la prima Giornata mondiale contro l'AIDS, il cui tema è stato la “comunicazione”, per sottolineare l'importanza dell'informazione nella lotta al virus dell'HIV, informazione che non si può limitare a siti da cercare, per quanto ricchi e per quanto chiari, ma il sistema della comunicazione deve raggiungere le persone, deve raggiungere una platea elevatissima per essere significativo come azione rispetto alle malattie virali.

La Giornata mondiale contro l'AIDS, indetta ogni anno il 1° dicembre, è, quindi, dedicata ad accrescere la coscienza dell'epidemia mondiale dell'AIDS dovuta alla diffusione del virus dell'HIV. Dal 1981 l'AIDS ha rappresentato una delle epidemie più distruttive che la storia ricordi, per quanto, in tempi recenti, l'accesso alle terapie e ai farmaci antiretrovirali abbia concesso un miglioramento in termini di sopravvivenza e, soprattutto, di andamento della malattia, in molte regioni del mondo.

L'epidemia di AIDS ha mietuto milioni di vittime, molte delle quali bambini. Erano gli anni di “Philadelphia” - il film che ha portato alla ribalta il fatto che una malattia virale non fosse solo una malattia dei poveri ed è questo che ha scosso le coscienze del mondo -, dell'annuncio al mondo della ferocia del virus HIV di Freddie Mercury, di Magic Johnson. Un'angoscia condivisa che, andando oltre l'assuefazione dei milioni di morti dell'Africa, ha avuto nella tragedia un formidabile impatto comunicativo.

Ora, quando lo stupore è passato, quando si passa dall'epidemia alla cronicità, si sono quasi spenti, pericolosamente, i riflettori, ma non si deve abbassare la guardia e non si può abbassare la guardia. Gli americani, che indicavano nell'AIDS la massima emergenza sanitaria per il 46 per cento, ad oggi, sono il 6 per cento. Le notizie che riguardano la sindrome da HIV sono ridotte ad un quinto rispetto al volume della fine degli anni Ottanta e le pubblicazioni scientifiche ci avvertono che i progressi nel trattamento della malattia stanno riportando un clima di pericolosissima spensieratezza.

Purtroppo, oggi, la bassa percezione del rischio di ammalarsi di AIDS è un problema sicuramente mondiale, così come il fatto che moltissime persone siano inconsapevoli di essere infette, anche perché, in alcuni casi, il virus non mostra sintomi anche per molti anni.

Non c'è una piena e consapevole percezione del rischio: servirebbe un ruolo più attivo della scuola, ma anche dei mezzi di informazione che hanno abbassato l'attenzione sull'AIDS, non raccontano più notizie e storie, ma, se capitano, usano termini come “peste”, “untore”, che non aiutano la presa di coscienza, ma esasperano l'esclusione. Così cala il sipario.

Con la nostra mozione chiediamo al Governo di ravvivare campagne informative e di pubblicità progresso rivolte soprattutto ai giovani per diffondere la cultura e la conoscenza delle patologie sessualmente e parenteralmente trasmesse, ma anche per educare alle buone pratiche e alla prevenzione; di attivarsi con iniziative di informazione e comunicazione sia verso i cittadini che nei confronti della classe medica, affinché sia garantito il rispetto delle linee-guida sulla gravidanza per quanto riguarda il test dell'HIV; di avviare, con il coinvolgimento dei Ministeri interessati, i programmi nazionali per la prevenzione della trasmissione e il contrasto dello stigma sociale, veicolando messaggi tra i cittadini, soprattutto rivolti alle donne, elemento debole su questo argomento, nel mondo della scuola e nel mondo sociosanitario; di adoperarsi affinché sia definitivamente operata l'unificazione dei due registri HIV e AIDS, al fine di poter rilevare con maggiore esattezza la diffusione dell'infezione. Non più, quindi, una malattia per popolazioni omogenee, tossicodipendenti e omosessuali: no, una malattia virale diffusa in ogni ambito.

Chiediamo soprattutto una più incisiva informazione, perché è la reale conoscenza del pericolo che ne riduce i rischi, in particolare, nella fascia degli adolescenti che non utilizza o utilizza poco il profilattico, come è evidenziato da indagini conoscitive condotte nelle scuole: non sono spaventati dal pericolo del contagio, lamentano un elevato costo del profilattico. Ma non sono gli adolescenti: l'Italia, infatti, è l'ultimo Paese in Europa per uso del profilattico.

Oggi, in Italia, le persone con HIV sono oltre 90 mila, attualmente, o in terapia o in contatto con centri specializzati. Si stima, però, che ce ne siano altre 20 mila o 30 mila che non sono consapevoli dell'infezione o non sono in contatto con i centri.

Delle circa 4 mila nuove diagnosi di infezione registrata ogni anno oltre la metà è diagnosticata quando l'infezione è già in uno stadio avanzato. Secondo l'ultimo rapporto dell'Istituto superiore di sanità, nel 2015, sono state segnalate 3.444 nuove diagnosi di infezione e le regioni in cui si è rilevata maggiore incidenza sono state il Lazio, la Lombardia, la Liguria e l'Emilia Romagna, a cui va aggiunto, però, un altro dato, che è l'incidenza rilevata su stranieri, che interessa Abruzzo, Molise, Sicilia e Sardegna, con la difficoltà, rispetto al rilievo della patologia su stranieri, legata alla mobilità sul territorio nazionale ed europeo.

I casi di HIV pediatrico a causa della trasmissione materno-infantile hanno avuto un incremento, tra il 2007 e il 2014, passando da quattro a nove casi. A tutt'oggi, resta scarsa la diffusione dell'uso dei test per HIV in gravidanza: associare un momento felice come la gravidanza e come l'idea di una nascita alla potenziale devastazione, che ancora è, come impatto comunicativo, quella della malattia trasmessa con HIV, rappresenta la difficoltà anche di approccio da parte dei ginecologi rispetto alle donne e, in questo caso, un ruolo forte lo giocherebbero i consultori, per cui, ancora una volta, si rappresenta la necessità di rafforzare la rete dei consultori nata proprio per sostenere le donne nel percorso di maternità responsabile e di prevenzione.

Il sistema di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV e il sistema di sorveglianza dei casi di AIDS costituiscono due basi di dati che vengono permanentemente aggiornate dall'afflusso continuo delle segnalazioni inviate al Centro operativo AIDS dell'Istituto superiore di sanità, con l'obiettivo di avere un quadro aggiornato della frequenza e della distribuzione dei casi di malattia e dei casi di affezione dei portatori di HIV.

Non esistono dati oggettivi su quanti test per l'HIV vengono somministrati nel nostro Paese, né sono in diminuzione, poiché l'Osservatorio riceve le segnalazioni dei casi positivi, ma non di quelli negativi. Sono gli stessi responsabili del sistema di sorveglianza a parlare di dati certamente sottodimensionati.

La sovrapposizione di due analoghi sistemi di sorveglianza istituiti da due diverse leggi, come afferma la direttrice del Centro operativo AIDS dell'Istituto superiore di sanità in un'intervista, rischiano di ostacolare un rilievo preciso del dato proprio per l'organizzazione della raccolta dati e per la rilevata mancata iscrizione nei due registri da parte degli operatori.

La precisione dei dati, la valutazione della incidenza di sieropositività nei luoghi di detenzione, l'associazione di HIV e dipendenza da sostanze stupefacenti, le problematiche acute dell'AIDS conclamato, la malattia in età pediatrica e in gravidanza, la terminalità in AIDS, la cronicizzazione dei quadri evocano la complessità del problema, che non si affronta solo con centri hub di malattie infettive, ma richiede una verifica delle reti regionali e dei modelli organizzativi per una risposta equa ed efficace; problematica che troverà il suo luogo idoneo di discussione in occasione della relazione AIDS al Parlamento.

Lo stigma sociale, nonostante le tutele normative, resta uno degli aspetti dolorosi da affrontare per una malattia che non fa più morire, ma per cui si vive costantemente monitorati e si invecchia prima e male. L'isolamento, la depressione, in un deficit immunitario, sono un cocktail pericolosissimo. La discriminazione viene raccontata, talvolta denunciata, in ambito prevalentemente sanitario, qualche volta in quello scolastico, per fortuna progressivamente di meno in ambito lavorativo. La paura di essere rifiutati, anche nelle relazioni di coppia, supera il dovere di informare il partner rispetto alla sieropositività.

Le persone con AIDS o affette da HIV, persone, ragazzi resi fragili da cure e paure, persone che non vanno lasciate sole e solo la conoscenza colma la distanza. Chiudo con le parole Henry Thoreau: “Non è mai troppo tardi per rinunciare ai nostri pregiudizi”